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La bomba atomica su L'Adige, tra il terrorizzante e il ridicolo

Nukemap è una app che consente di visualizzare su una mappa gli effetti di un'esplosione nucleare su un certo territorio. Si sceglie il bersaglio, si decide di quanti chilotoni deve essere l'ordigno, e si clicca su “Detonate”. Sopra il target appare una serie di cerchi concentrici che indicano il relativo genere di disastro che l'atomica avrà provocato: dalla totale vaporizzazione al centro fino alla sopravvivenza ma con garanzia di prossimo cancro nella fascia periferica. Un giochino ideato – sembra – con tutti i crismi scientifici, che ognuno può fare sul proprio computer. Una delle tante trovate informatiche a mezza via fra il didattico e il discutibile.

Cosa diversa è se a sganciare la bomba è un quotidiano (mezza pagina sull'Adige del 24 marzo, titolo: “Se l'atomica dovesse colpire la città di Trento”), contribuendo a un allarmismo isterico che comincia a serpeggiare. Su Huffpost leggevamo già il 3 marzo: "Le richieste di bunker nel nostro Paese sono in aumento da sei giorni, e quindi dall'inizio dell'offensiva russa, ma negli ultimi due è stato un vero e proprio delirio. La nostra azienda ha ricevuto circa duecento telefonate – spiega Giulio Cavicchioli, titolare della ‘Minus Energie’ di Mantova, azienda leader in Italia”.

L'inizio dell'articolo sembrerebbe tranquillizzante: “Il Nemico, in caso di guerra nucleare, non sprecherebbe una testata atomica per una città come Trento”. “Almeno all'inizio” - prosegue però l'articolo. Prima ci sarebbero infatti da distruggere gli aeroporti di Aviano e di Ghedi, le grandi centrali termoelettriche, le comunicazioni (Brennero, Verona...).

Dopo di che, però, “per qualche misterioso motivo” (?), potrebbero buttare un'atomica, “né troppo grande né troppo piccola: 100, 150 chilotoni potrebbero bastare” su Trento, proprio nel bel mezzo di piazza Duomo. Cosa succederebbe?

Il boato sarebbe fortissimo” - e questo lo immaginavamo. Ma vediamo i particolari: “Solamente la palla di fuoco che ne scaturirebbe avrebbe un raggio di circa 380 metri”, con il che la redazione di Questotrentino è spacciata; mentre nel raggio di 1.200 metri “morirebbero tutti nel giro di un mese”, Ma anche chi abita più lontano se la vedrebbe brutta: “Fino alla Vela, Campotrentino, Centochiavi, Martignano, Zell, Cognola, Povo, Villazzano, la Clarina, Ravina, Sardagna, gran parte degli edifici crollerebbero su se stessi. Il calore sarebbe così alto che potrebbero scoppiare incendi spontanei. I soccorsi alle vittime sarebbero impossibili”.

Infine, “nel raggio di 10 chilometri (Zambana, Lavis, Vigo Meano, Montevaccino, Civezzano, Vigolo Vattaro, Garniga Terme, Cadine e Baselga) i vetri delle case andrebbero in frantumi, ferendo la gente che, inevitabilmente, andrebbe alla finestra a guardare il bagliore dell'esplosione”.

Ciliegina sulla torta, “per via delle montagne, ci potrebbe essere un effetto del tutto particolare: l'onda d'urto rimbalzerebbe e la fascia collinare sarebbe colpita due volte. Sicché, per esempio, un cittadino di Povo avvertirebbe prima l'onda diretta, poi quella riflessa, originata dallo scontro della prima contro la parete del Bondone”.

Il cronista ha dimenticato di dire che per mesi o anni (vedi Chernobyl) dovremmo dire addio a funghi, fragole, asparagi e luganeghe, ma già così il quadro è abbastanza fosco.

Alle proteste ricevute l'indomani per questo articolo, il direttore Faustini sembra scusarsi: “Ho ricevuto molte lettere di simile tenore, ieri. Il che vuol dire che - e non fatico ad ammetterlo - abbiamo sbagliato. Perché quando un giornale non si spiega bene, deve riconoscerlo e basta”. Poi però si rimette l'elmetto: “Le cose vanno raccontate anche quando ci sembrano lontane e impossibili. Anche se pure a noi piacerebbe ovviamente parlare solo di cose belle. Piero Agostini (così come mio padre e altri autorevoli colleghi che mi hanno preceduto), infine, avrebbe forse fatto un titolo diverso, ma avrebbe dato la notizia, mi creda”.

Di grazia, quale notizia?

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