A chi daremo la nostra acqua 2
Entro il 31 dicembre dovremo prendere una decisione cruciale per l’idroelettrico.
Sul giornale del mese scorso ci chiedevamo “A chi daremo la nostra acqua?” Dando implicitamente per scontato che l’unico modo di gestire il nostro settore idroelettrico fosse l’affidamento in concessione a un soggetto terzo. Del resto “così fan tutti” nel mondo occidentale da almeno 30 o 40 anni: i beni pubblici vanno “affidati” al mercato.
Ma il virus sta cambiando i connotati delle nostre economie. Sono avvenute in questi ultimi mesi cose inimmaginabili solo a fine gennaio: senza fare un plissé abbiamo ri-nazionalizzato Alitalia. E si sta discutendo se lo Stato debba entrare nel capitale di grandi imprese come Fca, Autostrade e Ilva.
Un tabù si è rotto: l’impresa di proprietà pubblica non è più il diavolo da tener lontano con l’acquasanta di Wall Street. Per questo anche l’idea che sia la Provincia a prendere in mano direttamente la produzione di energia elettrica attraverso una sua società ad hoc, è diventata un po’ meno mera ipotesi di scuola. E ci costringe a farci una domanda diversa, che in termini logici precede quella che lanciavamo il mese scorso.
La vera domanda, spiega Gianfranco Postal, ex dirigente provinciale e magistrato della Corte dei Conti che segue la materia da anni, è cosa faremo della nostra acqua.
“All’origine c’è l’elemento acqua - afferma Postal - che è una risorsa pubblica in quanto proprietà del demanio idrico della Provincia. Quindi qualsiasi utilizzo dell’acqua va inquadrato nell’ambito di una politica delle nostre risorse.
Per farlo bisogna partire dalle politiche di tutela del territorio e dagli investimenti che vanno fatti, tenendo conto che le dighe non servono solo per la produzione idroelettrica, ma anche per usi agricoli, industriali, difesa del territorio. Per quest’ultimo aspetto, ad esempio, è importantissima la funzione di laminazione delle piene (l’uso dei bacini come camere di compensazione per evitare che le piene naturali dei corsi d’acqua siano distruttive, n.d.r.). Quindi la prima cosa è sapere quali utilizzi dell’acqua prevediamo per il futuro: in sostanza dotarci di una politica dell’acqua. Soltanto dopo possiamo decidere quale uso si fa dell’acqua per scopi idroelettrici. E come primo passo dovremmo verificare - cosa peraltro già scritta nelle leggi fin dal 2004 - che le attuali concessioni siano tutte ancora necessarie e utili per il pubblico interesse”.
Insomma, dovremmo dotarci anche di una politica energetica.
La questione non è banale in un tempo in cui tecnologie di accumulo dell’elettricità combinate con il cambiamento climatico potrebbero sconvolgere i modi di produzione e utilizzo dell’energia. Mentre noi, stando al disegno di legge provinciale che sarà presto discusso, resteremmo incatenati a concessioni lunghe trent’anni basate su presupposti che potrebbero diventare obsoleti.
Di tutto questo non c’è niente nel dibattito politico: né da parte della maggioranza, né da parte dell’opposizione, salvo qualche vago accenno.
L’opzione durata
Tenendo conto di tutto ciò, bisogna chiedersi che alternative ci sono rispetto all’affidare ai privati tutto il nostro idroelettrico per trent’anni. L’alternativa più semplice sarebbe accorciare tempo di concessione.
“Il motivo per cui le concessioni originarie erano lunghissime stava nell’enorme costo di costruzione delle infrastrutture che veniva sostenuto dal concessionario - spiega Postal -. Costi che oggi sarebbero nell’ordine di qualche decina di miliardi. Ma i nostri impianti, sia dighe - che sono già nostre - che centrali per cui la Provincia dovrà decidere se acquistare o meno, sono tutti in buono stato di utilizzo. Io non vedo grandissimi investimenti da fare su queste infrastrutture, salvo un’ottima manutenzione. Per questo si potrebbe anche dire: siccome siamo incerti, diamo concessioni molto più brevi, ad esempio dieci anni”
Però più breve è la concessione, minori sono i canoni che un gestore privato è disposto a pagare. Il vantaggio è una flessibilità che forse ci servirà o forse no, lo svantaggio certo sono i minori introiti. Il quadro normativo ci offre però anche altre soluzioni.
Partnership pubblico-privato
Il disegno di legge che andrà in discussione a breve prevede che le concessioni possano anche essere assegnate a società a capitale misto pubblico-privato.
“Se dovessi scegliere personalmente - afferma Postal - io comprerei anche quest’ultimo pezzo mancante della filiera (le centrali, n.d.r). In questo modo la Provincia verrebbe ad acquisire tutti gli asset collegati alla produzione idroelettrica. Poi andrei a prendermi un partner privato per la gestione industriale. È una formula prevista dalla legge sia nazionale che nelle nostre norme statutarie. In questo modo avremmo sia il potere pubblico che riguarda programmazione, investimenti, standard di sicurezza eccetera, che abbiamo per legge, sia gli asset e potremmo essere presenti direttamente nelle decisioni su investimenti e manutenzioni”.
Ci sono però alcuni svantaggi. Primo, la società mista dovrebbe comunque comprare le centrali dal concessionario uscente a cui devono essere pagate.
Secondo, il partner privato va individuato per legge con lo stesso processo previsto per le concessioni pure. Quindi l’ente pubblico potrebbe trovarsi a dover coabitare con un socio che non sceglie liberamente, anche se determina i criteri con i quali viene scelto. Non è detto che il matrimonio d’interesse funzioni.
Terzo e più importante, si rimane comunque dentro la formula giuridica della concessione, che ha gli svantaggi di cui abbiamo già detto.
Gestiamoci le nostre centrali
C’è un’ultima formula, quella a cui nessuno pensa perché considerata superata e poco funzionale. Sia perché quando era in auge - il modello è quello delle partecipate di stato con tutte le distorsioni dell’occupazione partitica che sappiamo - non sempre ha dato grande prova di sé, ma anche perché ci siamo abituati a pensare che il mercato sia l’unica soluzione per ogni cosa.
Tutto questo però non impedisce di pensare che sia la Provincia a farsi imprenditore in modo diretto. È un’ipotesi possibile dal punto di vista delle norme, con sorpresa di molti, ma ha bisogno di due condizioni.
Primo, l’acquisto delle centrali idroelettriche per essere padroni assoluti della filiera.
Secondo, un bagaglio di competenze sofisticate sia in campo tecnico che del mercato dell’energia. Una parte di queste competenze, secondo Postal, la Provincia le ha già. Quello che manca - soprattutto riguardo alla gestione del mercato dell’energia - si può sempre integrare. Inoltre, sul piano generale, il corpo amministrativo della Provincia ha una storia di competenze tecniche non da poco. Lo svantaggio di questa soluzione è che comunque dovrebbe esserci un progetto articolato. Non proprio detto-fatto.
Il grandissimo vantaggio è che il Trentino avrebbe le mani totalmente libere per quanto riguarda la sua acqua. Libero di farne energia se serve e altrettanto libero di usarla per altro quando e quanto serve.
I tempi
Per decidere tutto quello di cui abbiamo parlato finora non abbiamo più molto tempo. Ci sono due scadenze cruciali molto ravvicinate. Entro il 31 ottobre dovremo approvare la legge che determina parametri e procedure per affidare le concessioni idroelettriche. Anche se scegliessimo una strada diversa, quella legge va fatta. Altrimenti il governo la farà per noi.
Il termine originario era fissato al 31 marzo, ma causa virus il governo l’ha spostato. Però, tanto per dare l’idea di quanto importante sia la questione, la Lombardia ha approvato la sua legge l’8 aprile scorso, in pieno caos epidemico. (Il settore della produzione idroelettrica è in via di regionalizzazione a partire da una decisione del primo governo Conte, a fine 2018. Le concessioni delle altre regioni però scadono solo nel 2029. Le nostre a fine 2023). Per mantenere il pieno controllo della situazione dobbiamo comunque fare una buona legge. Per ogni evenienza.
Poi, e soprattutto, entro il prossimo 31 dicembre dovremo dichiarare se vogliamo comprarci le centrali oppure no. Nel caso, le pagheremmo solo a fine 2023, ma l’impegno - e il conseguente problema di trovare i fondi - va preso adesso. E visto tutto quanto detto finora, è chiaro che questa è la decisione che ci lascia la libertà di decidere.
I soldi.
Del costo di acquisto delle centrali abbiamo detto nello scorso numero che è stato valutato intorno ai 350 milioni. E su questa cifra dobbiamo fare il conto della serva.
Dal punto di vista minimo costo-massimo ricavo, per il Trentino la soluzione più semplice sarebbe che Dolomiti Energia, attuale concessionario, ottenesse il rinnovo della concessione.
I perché. La Provincia, in quanto ente, incassa un canone di concessione. Poi la Provincia stessa assieme a una serie di Comuni, in quanto soci di maggioranza di Dolomiti Energia, incassa la propria quota di dividendi. Terzo, Dolomiti Energia, società che paga tasse consistenti, ha sede legale in Trentino e quelle tasse finiscono nelle casse provinciali.
In questo scenario non abbiamo ragione alcuna per sborsare 350 milioni, che andrebbero sì a una controllata della Provincia, ma solo per la quota di proprietà, circa il 70%. Invece il restante 30% - circa 100 milioni di euro - servirebbe solo ad ingrassare il valore delle quote di partecipazione dei soci privati, senza ritorni.
Ma per la finalità di controllo totale della nostra acqua nemmeno questa ipotesi è la migliore. Anzitutto perché non abbiamo la certezza che Dolomiti Energia vinca le gare. Il nostro idroelettrico è un bel boccone che fa gola a molti. Poi perché, sia pur a maggioranza pubblica, Dolomiti è una società di diritto privato che concluderebbe con la Provincia un contratto di concessione. Ed è più facile sciogliere un matrimonio che un contratto di questo genere. Quindi, nell’ipotesi di comprarci le centrali e metterci in prima persona a gestirle, dobbiamo capire come trovare quei soldi.
Non è un periodo felice, serve dirlo? La Provincia però ha la possibilità di fare debito. E visto che ormai siamo usciti dal seminato neoliberista, azzardiamo l’ipotesi che siano i Trentini, prevalentemente, a finanziare il progetto. Sulla base di una visione politica alta, che superi le beghe di bottega, la Provincia potrebbe emettere obbligazioni irredimibili o a lunghissima scadenza dedicate a finanziare questo progetto. Due anni fa Banca d’Italia diceva che i Trentini avevano in banca oltre 10 miliardi. Difficile che li abbiano spesi tutti, nel frattempo. Con la quasi certezza che queste obbligazioni potrebbero avere ottimo mercato anche sopra Salorno o sotto Borghetto.
Il dibattito pubblico
I tempi sono stretti e il periodo complicato, ma su tutto questo pensiamo serva un ampio dibattito pubblico. Che coinvolga i singoli cittadini, ma anche tutti i soggetti istituzionali locali, dai Comuni - che dovrebbero essere protagonisti in questa fase - al Consiglio delle Autonomie, ai BIM che hanno funzioni molto importanti nel sistema di controllo delle acque. Nonché le associazioni che a vario titolo si occupano di ambiente e territorio e infine, ma non per ultime, le associazioni di categoria. Insomma: tutti. Noi, per parte nostra, proveremo a fare domande e a sottoporre ipotesi di lavoro. A cominciare dai rappresentanti politici.