Medicina amara
Deflagrante scontro tra Provincia e Università. Le ragioni e i torti in un conflitto che ha dell’incredibile.
Pasticcio? Conflitto? Opportunità? La vicenda del nuovo corso di laurea in Medicina è stato commentato con uno (o due, o tutti e tre) questi appellativi.
Un pasticcio, perchè costerebbe una barca di soldi, per non risolvere il problema (il pretesto?) che l’ha originato: la carenza di medici. Un conflitto, perché ha scatenato una contrapposizione finora frontale tra le due massime istituzioni trentine, Provincia e Università. Un’opportunità, perché ne potrebbero nascere iniziative di grande importanza.
Mancanza di programmazione
Partiamo da un dato: l’Università non ha mai contemplato, anzi ha sempre vigorosamente rigettato l’ipotesi di una Facoltà di Medicina. Per motivi pratici, molto evidenti: costa tanto, troppo; e la coperta è quello che è, se si spende da una parte, bisogna risparmiare dall’altra. Quindi tutti i professori (quelli attuali) sono stati fermamente contrari. Lo stesso rettore Paolo Collini, allora ex-preside di Economia, così liquidava nel 2012 un progetto in tal senso della Giunta Dellai: “Scuola di Medicina: progetto incomprensibile”.
Erano però sette anni fa. Nel frattempo in tutto il paese è esplosa la carenza di medici. Soprattutto quelli specializzati, cioè non i medici di famiglia, ma gli ospedalieri.
“Non ci vengano a dire che sono sorpresi – si sfoga, a lato di una conferenza stampa, il presidente dell’Ordine dei medici Marco Ioppi – È stata una dinamica pianificata”. Per risparmiare sul sistema sanitario. Insomma, siano stati i ministri della Sanità e dell’Istruzione troppo stupidi oppure troppo furbi, sta di fatto che l’introduzione del numero chiuso a Medicina e soprattutto i numeri ristretti dei posti nelle scuole di Specializzazione (in cui gli “studenti” sono laureati in medicina, e quindi vengono pagati, di qui il primo risparmio nel tenere numeri bassi) hanno creato una situazione paradossale: “Totale fallimento della programmazione del numero di specialisti” rimarca il sindacato medico Anaao. Nei prossimi anni si laureeranno, con alti e bassi, circa 10.000 medici all’anno, ma di essi solo 8.000, perché quelli sono i posti, potranno accedere alle Scuole di specializzazione. Con due effetti negativi. Il primo è che i non ammessi alla specializzazione, che si sono accumulati negli anni e che ogni anno ritentano il concorso di accesso, raggiungeranno e supereranno (vedi il grafico) il numero di 20.000, molti dei quali andranno, accolti a braccia aperte, negli altri paesi europei, cui verranno così regalati i costi di formazione, sui 150.000-200.000 euro a medico.
Il secondo effetto è che gli specialisti non bastano ora, e non basteranno nei prossimi anni, quando andrà in pensione, anche con l’agevolazione di quota 100, un numero di medici ospedalieri superiore al numero di specializzandi. Se aggiungiamo che i tagli alla sanità pubblica hanno di molto peggiorato in termini di orari e di stress il lavoro negli ospedali, e che quindi più accattivante appare la sistemazione nella sanità privata (anche qui: ministri troppo stupidi o troppo furbi?) vediamo subito come la situazione si prospetta gravissima.
Questi i numeri dell’Anaao: dal momento che solo il 75% degli specialisti sceglie poi di lavorare nel servizio sanitario pubblico, dal quale si pensioneranno 52.500 medici da qui al 2025, gli ospedali si troveranno con una carenza di 16.500 dottori. Ottimo per le finanze pubbliche (i demagoghi potranno agitare il tristo slogan “abbassiamo le tasse!”), un disastro invece per la qualità della vita - e la vita stessa - della popolazione.
Lo sgarbo
Il Trentino è inserito in questa dinamica, ha bisogno di specialisti. Anzi, in alcune situazioni, come gli ospedali di valle, ne ha ancora più bisogno: i concorsi vanno deserti. “Quando nell’87 ho iniziato a lavorare in ospedale – ci dice Fausto Rizzonelli, primario al Santa Chiara - ai concorsi si presentavano decine di concorrenti per uno-due posti; ora a pneumologia, che peraltro è una specialistica minore, i primari sono arrivati ad implorare che i neolaureati partecipino a un concorso, e questi pongono condizioni”. In Alto Adige si reclamizza la vicinanza alle piste da sci, si offrono ottime soluzioni abitative, e ancora non basta.
Di qui il rimedio di Fugatti: a Trento un corso di Medicina, come sede staccata dell’Università di Padova. Il progetto poi subisce delle modifiche, ma la sostanza rimane quella.
Ad esso si contrappone rumorosamente l’Università, che vede nella delega a Padova da parte della Giunta provinciale trentina una clamorosa delegittimazione.
“Siamo stupiti, – scandisce il rettore Collini – questo è un radicale cambio di politica verso l’Università. Lo vediamo come un tradimento. Se avessimo voluto fare così con Informatica avremmo chiamato il Politecnico, invece l’abbiamo fatta noi e mi sembra che i risultati ci siano; e con Biologia, invece di dare vita al Cibio, chiamavamo un altro ateneo, e invece oggi per ogni posto alla nostra Biologia ci sono dodici giovani che vorrebbero iscriversi, e il Cibio è un’eccellenza assoluta. Al contrario qui si dà vita a una sede staccata, che è una soluzione misera: la gente più brava non va nella sede staccata”.
Un autentico sgarbo quindi, all’Università. Uno schiaffo in faccia. All’ateneo si elencano gli episodi di conclamata ostilità da parte di questa maggioranza. Dapprima una proposta di modifica di legge per far scegliere il presidente dell’Opera Universitaria direttamente dalla Provincia emarginando il rettore. Poi le polemiche sulle contestazioni a Sociologia alla conferenza del giornalista Fausto Biloslavo, di cui viene ritenuto responsabile, anche da un’interrogazione dei deputati leghisti, lo stesso rettore, “quando invece io ero lì ad arginare i contestatori, e mi sono preso un pugno in faccia – evitato, e un’ombrellata in testa andata a segno”.
Insomma, una ripetuta insofferenza della giunta leghista verso un’istituzione che ritiene estranea e quindi nemica.
Ma queste erano solo avvisaglie; con l’importazione di Medicina da Padova si è andati molto oltre lo sgarbo, si è minato il rapporto politica-università-territorio, rischiando di fare danni permanenti.
Il progetto di Fugatti
Quali i motivi della scelta dirompente di Fugatti? “Alla gente interessa che ci siano i medici, che invece scarseggiano – risponde il presidente – E per vent’anni di una facoltà trentina di Medicina si è sempre e solo parlato, senza mai arrivare a nulla di concreto”. Una motivazione che ha la sua logica. Ma che all’Università contestano.
Nella scheda a lato riportiamo la ricostruzione del rettore di come si è evoluto il tema Medicina-Università-Provincia. Abbiamo chiesto in merito anche un’intervista al presidente Fugatti per avere la sua versione, ma nonostante iniziali ampie assicurazioni, non lo abbiamo mai trovato libero, né ha risposto o fatto rispondere a nostre, concordate, domande via mail.
Appurata la frattura istituzionale, vediamo le due proposte.
Quella della Provincia parte dall’assunto che per avere medici per gli ospedali trentini occorre prepararli, e quanto prima, a Trento. Da qui il progetto di una Scuola di Medicina inter-Ateneo “facente perno sull’Università di Padova” - recita il comunicato stampa - con il coinvolgimento (se ci staranno) di Trento e Verona (che peraltro ha già chiarito che senza l’ateneo trentino, lei a Trento non viene).
Si inizia subito, ad ottobre, “per dare risposte concrete il prima possibile” rimarca Fugatti. Quindi da ottobre 2020 (cosa possibile, in quanto Padova non ha bisogno di autorizzazioni ministeriali per le sedi staccate) parte il I° anno e anche il V°, cui si conta convergano gli studenti trentini del quarto anno di Padova, e magari quelli di Verona, come pure gli altoatesini. Più avanti si vedrà di istituire le scuole di specializzazione, in sinergia con gli istituti di ricerca presenti sul territorio, a iniziare dal CIBIO, il cui direttore Quattrone, peraltro, si è subito dichiarato “esterrefatto” per tale coinvolgimento su cui non è stato interpellato e a cui non crede (“le scuole inter-ateneo non esistono”).
La proposta dell’Università
La proposta dell’università invece parte da un diverso presupposto: siamo carenti di medici non tanto perché non ci siano abbastanza laureati trentini, ma perché il nostro sistema ospedaliero non è abbastanza attrattivo. “Oggi il medico per restare deve innamorarsi di un progetto, deve crescere, utilizzare le tecnologie all’avanguardia – sostiene il Presidente dell’Ordine Ioppi – I giovani vanno alla ricerca del meglio, un progetto tradizionale non attira più nessuno”.
“Perchè non si riescono a trovare medici per Cavalese? – si chiede il primario Rizzonelli – Il fatto è che un giovane medico non va in una situazione con poche possibilità di arricchimento professionale; si cercano posti di grande prestigio, all’avanguardia, di grande volume di attività e quindi a rapida crescita professionale. Poi ci sono anche i fannulloni, certo, ma evidentemente, per fortuna o per sfortuna, sono pochi”.
Questo l’assunto di fondo. Cui si aggiunge il problema del medio termine: l’attuale carenza di medici non è rimediabile con i corsi trentini di laurea in Medicina anche perché, supposto che gli specializzati poi restino, arriveranno in corsia fra 13 anni (o tra 8 quelli del V° anno della proposta patavina), quando l’emergenza, stando alle proiezioni demografiche, risulterà attutita.
Ecco quindi il progetto dell’Università: creare un sistema forte, attrattivo, un ambiente all’avanguardia, prima di studio e di ricerca, e poi di lavoro e sperimentazione. Che serva non solo e non tanto per rimediare all’attuale carenza di specialisti, ma per creare un intersecarsi tra l’università e la sanità dalle solide radici e dai frutti duraturi. Per questo, fondamentale è la collaborazione con i molteplici centri di ricerca, dal citatissimo CIBIO anche alla robotica del Dipartimento di Ingegneria Industriale in sinergia con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ecc.
Le ipotesi di lavoro prospettate da Collini in una presentazione di due ore hanno abbracciato molteplici intersezioni tra la medicina (anzi, la salute: non ci si è dimenticati di nutrizione e prevenzione), la tecnologia, la ricerca. Un bel libro dei sogni, certamente; ma reso plausibile dalla solidale presenza fisica dei responsabili dei tanti enti coinvolti, trentini, tirolesi, extra-regionali, in un momento che in fondo era anche di non facile scontro con il potere provinciale.
Rimane un dubbio: il progetto dell’Università non prevedeva – almeno inizialmente – il corso di laurea, ma solo le scuole specialistiche. Come mai questa successiva conversione? E non rischia di risultare troppo costosa?
“È vero, ma dal territorio viene questa istanza, e l’Università deve tenerne conto – risponde Collini - È una richiesta non solo della politica, ma soprattuttodel sistema sanitario. E poi ora il punto, in brutale sintesi è questo: il corso di laurea o lo facciamo noi o lo fa Padova”. E i relativi fondi, o rimangono in Trentino, o vanno in Veneto.
C’è da chiedersi perchè mai Fugatti, quello del “prima i trentini”, si sia infilato in una simile deriva. Ma questo è un altro discorso.
La cronologia di Collini
Marzo 2019: Prima conversazione tra il rettore e il presidente dell’università Finocchiaro: si intende istituire a Trento delle scuole di specializzazione medica, legate agli istituti di ricerca dell’Univesità (CIBIO – Dipartimento di medicina preclinica per le malattie infettive, neurodegenerative altre ancora; CIMeC per le patologie funzionali, strutturali e psicologiche della mente e cervello; il Centro di Riabilitazione Neurocognitiva; poi altri centri, l’elenco è lungo) e del territorio (FBK, San Michele, Microsoft Research ecc).
Estate: Un decreto governativo rende possibile l’attivazione di nuovi corsi di laurea (precedentemente non era possibile, si sarebbe dovuto per forza essere sede staccata di un altro ateneo).
Agosto: esce sulla stampa un’intervista del nuovo dirigente generale del Dipartimento salute Giancarlo Ruscitti (testè arrivato dal Veneto dove occupava analoga posizione: è lui, si dice, la mente dietro il progetto con Padova) in cui si preannunciano corsi di laurea in Medicina. Il rettore, che non ne sa niente, chiede lumi in Provincia, dove gli rispondono che si tratta di una boutade estiva.
30 settembre: in un incontro informale, il rettore comunica a Fugatti di essere pronto a presentare una proposta, a questo punto già discussa con alcuni partner universitari (Verona e Ferrara). Fugatti non pare particolarmente interessato.
10 ottobre: il rettore, il presidente Finocchiaro, il direttore generale dell’Università Pellacani incontrano ufficialmente Fugatti e i due assessori competenti (Bisesti per l’università e Segnana per la sanità) e spiegano le grandi linee del progetto e il coinvolgimento ormai molto forte di Verona. Li si ascolta con interesse, si risponde “vediamo”, ma non c’è un seguito.
Fine ottobre: Fugatti incontra il rettore di Padova e concordano le grandi linee del loro progetto.
Inizio novembre: Padova presenta a Fugatti una proposta preliminare, il rettore di Padova e Fugatti lo comunicano a Collini.
Fine novembre: annuncio pubblico di Fugatti. Progetto con Padova. A questo punto è tangibile la divaricazione tra le istituzioni.
18 dicembre: maxi conferenza stampa in rettorato, presenti il Senato accademico, i centri di ricerca, l’Azienda Sanitaria, l’Ordine dei Medici, le Università di Verona e Ferrara. Collini presenta le grandi linee della proposta dell’Ateneo.
30 dicembre: in Provincia mini conferenza di presentazione della proposta patavina con il direttore Stefano Merigliano.
A rimarcare il baratro che si è creato, il rettore puntualizza: “Abbiamo contattato l’Università di Verona, che ci ha confermato di essere sempre pronta a lavorare con noi sul progetto, e così Ferrara con cui abbiamo relazioni da anni. Il presidente Fugatti invece li ha chiamati e li ha invitati ad unirsi al progetto con Padova: ha chiamato loro e non noi, a presentare un progetto. Insomma, non solo non invita noi, ma invita i nostri partner a lavorare a prescindere da noi. In tutto questo, mai che ci abbia detto ‘fateci una proposta’, mentre agli altri, a Verona ad esempio, inviava lettere in tal senso”.