Lasciate che i barbari vengano a noi
Mariano Rigillo in “Romolo il grande”
Un “piccolo imperatore”, Romolo Augustolo, è vituperato dalla Storia per aver ceduto all´orda barbara di Odoacre, re degli Eruli, nel 476. Ma lo svizzero Friedrich Dürrenmatt, erede di quei “barbari” che Roma sottomise e cercò di tenere in sudditanza, ne ha fatto un eroe: un eroe filosofico però, capace di testimoniare la volontarietà della propria inerzia, in nome di un necessario ricambio morale e politico nel teatro della Storia. Un primo atto costituito anche da gag e caratterizzazioni comiche, con anacronismi surreali e allusivi all´attualità, viene seguito da un secondo atto in cui emerge la tesi dell´opera di Dürrenmatt: Romolo non tradisce, ma condanna Roma, essendone il giudice e il carnefice, incaricato dalla stessa Storia di liquidare un impero ormai in decomposizione, per dar spazio a nuove genti e nuove idee. Alla fine, scrosci di applausi, meritati, per Rigillo, misurato e spontaneo filosofo della catastrofe, assistito a dovere dagli altri suoi validi compagni di scena.