Il Vangelo secondo Matteo...
... e Maurizio. Per entrambi lo Stato, come nei Paesi islamici, non dev’essere neutro, ma fungere da braccio armato della conservazione dell’identità: uno Stato confessionale
Il fuoco alle polveri l’ha dato il presidente Fugatti nelle sue linee programmatiche di governo presentate all’aula del Consiglio provinciale il 27 novembre scorso. Una relazione breve e volutamente poco approfondita, lacunosa secondo i giudizi dell’opposizione. Non sono però mancati i cavalli di battaglia leghisti, quelli relativi alla “tradizione”. Dio, patria e famiglia nell’era di Salvini.
Il passaggio del discorso di Fugatti più incisivo su questo versante è il seguente: “L’Autonomia trentina deve essere insegnata ai nostri studenti se vogliamo tramandarne il valore di generazione in generazione. Ricordando ciò che diceva Enrico Pruner: ‘Noi siamo sì cittadini italiani, ma comunque di nazionalità trentina’. E a questo proposito, anche avvicinandoci alle feste natalizie, non possiamo non fare presente ai responsabili delle scuole trentine che il Natale dovrebbe essere ricordato nelle scuole con l’allestimento dei presepi, simbolo della nostra millenaria storia cristiana, e che nelle classi scolastiche, come in tutti gli uffici pubblici, non dovrebbe mancare il crocefisso”. Dunque la presunta “nazionalità trentina” si concretizza nell’allestimento del presepe a scuola e nel crocefisso nei luoghi pubblici.
La guerra del presepe
Scoppia così la guerra del presepe. Una vicenda dai numerosi risvolti e che va considerata nei suoi aspetti politici, sociali e anche ecclesiali.
Le reazioni contrarie al Fugatti pensiero sono maggioritarie, ma non inganniamoci: molti sono i suoi sostenitori, a volte silenziosi ma a volte baldanzosi propugnatori di una società tradizionale illusoriamente vagheggiata come via di uscita dalla crisi presente. Vedremo come su vari fronti si scontrano sensibilità profondamente diverse che uniscono parte del mondo cattolico con quello laico più attivo, contrapposti a un’altra parte della comunità ecclesiale (anch’essa silenziosa, ma che plaude all’iniziativa leghista), che si salda con un Trentino profondo, arretrato, timoroso dell’invasione islamica e della sostituzione etnica, un Trentino che si scopre razzista.
In mezzo il presepe. Che in Italia non ha soltanto una valenza religiosa. Il presepe napoletano è qualcosa di artistico, specchio della cultura, delle trasformazioni sociali. Non è un caso che l’opera letteraria in cui il presepe si staglia come elemento fondamentale è l’amara commedia di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello”. Indimenticabili i dialoghi tra il vecchio padre Luca che sta allestendo il presepe e il figlio Tommasino che non vuole saperne né di lavorare, né di sottostare agli ordini paterni, né del presepe.
Ecco qualche battuta. Luca: “Qua ci faccio il laghetto col pescatore, e dalla montagna faccio scendere la cascata d’acqua. Ma faccio scendere l’acqua vera!”
Tommasino: “Già l’acqua vera!”.
Luca: “Sì, l’acqua vera. Metto l’interoclisemo dietro, apro la chiavetta e scende l’acqua. Te piace, eh?”.
Tommasino “No”.
Luca: “Ma io non mi faccio capace! Ma lo capisci che il presepio è una cosa religiosa?”
Tommasino: “Una cosa religiosa con l’interoclisemo dietro? Ma fammi il piacere!”. Ecco, il presepe di Fugatti è una “cosa religiosa” o politica?
Andiamo con ordine. Cominciamo dalle reazioni del mondo scolastico. Che sono state quasi unanimi. Il rappresentante dei dirigenti, Paolo Pendenza, è stato diretto: “La scuola è un’istituzione laica e il crocifisso è un simbolo che non è necessario nelle aule. La valorizzazione della nostra cultura (che va riconosciuta e difesa) è importante, ma farlo attraverso i crocifissi sarebbe sbagliato. Le istituzioni formative devono far riflettere sulla storia della nostra cultura, che non deriva solo dal Cristianesimo, riconoscendo dunque tutti gli elementi. Siamo figli anche della tradizione greca, del Rinascimento e dell’Illuminismo”.
Si è poi innestata un’ulteriore questione: Fugatti ha rivolto un gentile invito o ha dato un ordine insindacabile?
Naturalmente tutto è stato presentato come un invito. Ma l’assessore Mirko Bisesti l’ha dovuto specificare davanti alla platea di insegnanti e dirigenti scolastici incontrati due giorni dopo l’intervento presidenziale. “La scuola trentina - ha detto Bisesti - deve basarsi sui valori della cultura e del territorio trentino. Serve sapere chi siamo per capire dove vogliamo andare, in un mondo sempre più globalizzato e che per questo richiede una forte consapevolezza identitaria”, ma quello dei crocifissi e presepi era “un auspicio senza obblighi”. Impossibile affermare una cosa diversa.
Chi però credeva in una sorta di retromarcia si sbagliava di grosso. Perché, implacabile, in una lettera ai dirigenti della Provincia datata 5 dicembre, Fugatti torna con il suo invito “a considerare la possibilità di allestire negli edifici pubblici della Provincia e in ogni scuola del Trentino, il presepe”. E ancora: “Il presepe è emblema spirituale che nella sua semplicità esprime valori universali di pace e di amore in cui tutti possono ritrovarsi. Valori cristiani che sono indubbiamente alla base della cultura europea. Credo, pertanto che nessuno possa sentirsi offeso o a disagio per la rappresentazione della Natività, anche se professa altre religioni”.
La questione diventa insomma prettamente politica. Luca Pianesi annota su ildolomiti.it: “Non si capisce per quale ragione il presidente della Provincia debba spendersi direttamente in questo senso. Chi vuol fare il presepe già lo faceva anche prima (…) e chi non vuol farlo ora dovrà decidere se scontentare Fugatti, che gli ha scritto direttamente, o farlo contento”. Sulla stessa linea il segretario della Funzione pubblica Cgil Luigi Diaspro: “Anche se sotto forma di invito, pare inequivocabile il carattere alquanto impositivo della nota del presidente Fugatti, visto che i destinatari sono dipendenti pubblici sottoposti”.
Il giorno dopo è il senatore Pillon, leghista tradizionalista a 360 gradi, in città per il Festival della famiglia, a chiarire il substrato reazionario di queste prese di posizione. Intervistato dal ildolomiti.it afferma: “Ci riempiamo tanto la bocca di due parole nobili, solidarietà e accoglienza. Chi ce le ha insegnate? Il segno della nostra cultura e tradizione bimillenaria è un segno specifico, il crocifisso. E di cosa ci parla il crocifisso? Di qualcuno che è venuto con la scimitarra a imporre il suo punto di vista o di qualcuno che si sacrifica perché altri vivano? Il crocifisso è un segnale di civiltà, accoglienza e tolleranza”.
E poi la stupefacente analisi sul presepe: “Il presepe ci parla della stessa cosa. Il nucleo familiare, con la mamma, il papà e il bambino, che si apre al mondo. Sono due segni che fanno parte profondamente della nostra cultura. Non capisco perché li dobbiamo espungere”.
Il fatto che Gesù, Giuseppe e Maria siano il prototipo della famiglia “tradizionale” (contrapposta a quella “arcobaleno”) dimostra quanto si possa stravolgere qualsiasi narrazione e qualunque simbologia; ma da decenni, complice la massima autorità cattolica, la “sacra famiglia” è divenuta sempre più emblema del cristianesimo più intollerante e retrivo. In questo senso la devozione è sfuggita di mano.
A livello politico, i più accesi critici sono gli esponenti di Futura2018. Il presidente dell’associazione, Piergiorgio Cattani, scrive una lettera a Fugatti chiedendo se bisogna reinterpretare il racconto evangelico, i consiglieri Coppola e Ghezzi ribadiscono la laicità dello Stato e se la prendono con l’ipocrisia del governatore che parla di valori universali di pace e di amore, mentre vara provvedimenti di stampo salviniano che colpiscono migranti, stranieri ed emarginati. Il contrario della semplicità accogliente del presepe di S. Francesco. Ghezzi riassume in Aula l’intervento di Fugatti: “Valdastico e crocefisso”.
Ma non sono soltanto quelli di Futura a reagire. Persino l’ex presidente Rossi finisce per essere annoverato tra i laicisti giacobini. Possibile che il consigliere del PATT si scagli contro la tradizione e irrida i simboli cristiani? Si può criticare su tutto Rossi ma imputargli questo è veramente incredibile.
Eppure è avvenuto in Consiglio provinciale nella seduta dell’11 dicembre. In quell’occasione si è udita per la prima volta la voce del consigliere della Lega Denis Paoli che si è sentito in dovere di intervenire per difendere presepe e crocifisso dai presunti attacchi e ironie dell’esponente autonomista che aveva parlato poco prima. Paoli comunque è un pluridecorato della battaglia cattolico tradizionalista della Lega. Il nostro si era segnalato fin da studente come integerrimo cavaliere crociato (penso che Paoli sia contento di questa definizione) perché, quando frequentava l’Istituto Martino Martini, aveva combattuto per l’affissione dei crocifissi nelle aule scolastiche. Fugatti naturalmente era al suo fianco. Ma cosa aveva detto Rossi di tanto grave? Aveva soltanto accennato al fatto che alcuni “parroci di periferia” hanno criticato l’invito presidenziale.
Le critiche del mondo cattolico
Giungiamo così alla posizione del mondo cattolico. La posizione prevalente è quella di una severa critica al presepe leghista. Non sono i soliti preti “borderline”, come don Marcello Farina o padre Alex Zanotelli, a scagliarsi contro Fugatti. Con diversi accenti la linea è comune. Ecco una carrellata.
Don Lino Zatelli, parroco di S. Carlo a Trento: “Usiamo il crocifisso, che è l’immagine di un sacrificio per amore dell’umanità, per dividere”.
Don Albino Dell’Eva, parroco di Cavalese: “Fugatti non può fare riferimento a me quando parla di parroci di periferia che sostengono il suo pensiero. Non facciamo diventare il presepe luogo di divisione. In una scuola eventualmente l’idea di esporre un presepe va condivisa con le diverse realtà che compongono l’istituzione scolastica dai genitori al corpo docente agli stessi ragazzi se grandi abbastanza”.
Don Nicola Belli, sacerdote a Canal S. Bovo: “Qualsiasi sia la mentalità non bisogna far scadere il simbolo del presepe nell’esclusivismo”.
Le polemiche si sono rinfocolate quando, il 14 dicembre, fuori dalla chiesa del Santissimo a Trento, è apparso un presepe del tutto particolare, dove un telo azzurro avvolge una zattera di legno su cui ci sono Giuseppe con un remo e Maria che accudisce un bambino, posato all’interno di salvagenti di colore arancione. Apriti cielo. L’assessore Bisesti lancia l’allarme e si sprecano i commenti odiosi e odianti sul web: “I clandestini si sono impossessati anche del Natale”. “I soliti preti di sinistra”...
Ma i fedeli sono tutti d’accordo con l’iniziativa. Il dissenso – sicuramente presente – resta silenzioso. Il parroco, Don Giuseppe Mihelcic, spiega: “Il presepe è stato realizzato da alcuni genitori legati all’oratorio e verrà anche benedetto con una preghiera assieme ai bambini. Il materiale per farlo lo hanno portato loro. Non vi è alcun messaggio politico, ma bensì religioso, per ricordare questo grave problema, quello della migrazione, che va avanti da molto tempo. È fondamentale ricordare tutte queste persone”. La linea di papa Francesco.
E la Curia cosa dice? All’inizio della querelle, un corsivo del direttore Diego Andreatta uscito sul numero di Vita Trentina di giovedì 29 novembre, afferma chiaramente che il simbolo della croce “non deve essere brandito a fini politici”. Non ci si poteva aspettare molto di più dal prudentissimo direttore.
Dal vescovo nessun pronunciamento. Monsignor Tisi, celebre per prediche infocate e retoricamente accompagnate da ampi gesti scenici di braccia, occhi e voce, un Francesco in sedicesimo, quando si tratta di scendere sul concreto delude quanti credono che alle parole seguano i fatti. Di fronte alla questione dei vigilantes per “difendere” il decoro della Basilica di Santa Maria Maggiore, con una nota pilatesca invita a evitare le “strumentalizzazioni” politiche, senza specificare da che parte venivano e quindi mettendo sullo stesso piano le provocazioni leghiste e l’opposizione che veniva anche da cristiani impegnati.
Per capire meglio occorre andare a vedere le lettere inviate al settimanale diocesano. Anche in questo caso persone “normali”, credenti semplici che non ricoprono alcun incarico, sono costernate dall’abisso esistente tra i proclami leghisti e il dettato evangelico: “Caro Fugatti, basta che leggi il Vangelo…”, questo in sintesi il senso di numerose prese di posizione. Per esempio Raffaele Ballardini in una lettera aperta inviata al Presidente della Provincia, ricorda gli inviti biblici a sostenere il povero, lo straniero, “l’orfano e la vedova” che oggi sarebbero il senzatetto, il rifugiato, l’emarginato. E conclude così: “Qualcuno auspica che questo tempo di Natale sia ricordato con i presepi. Forse dovremmo invece augurarci di vivere questo tempo con un’attenta riflessione sulla Parola, chiedendoci cosa significhi per le nostre vite di credenti questo Dio che viene alla luce durante un viaggio, senza un tetto sulla testa, e che poco dopo la sua nascita sarà migrante in terra d’Egitto. Forse dovremmo interrogarci sui valori che la nostra fede comporta, sulla responsabilità alla quale ci chiama, per provare a fare della croce non una tradizione, ma uno stile di vita. Rispettosamente”.
Chi ha un ruolo invece si fa inesorabilmente più guardingo. È il caso di Ruggero Morandi, ispettore scolastico per l’Insegnamento della Religione Cattolica presso la Provincia di Trento, che si impegna in un ragionamento sulla “vera laicità”. Terreno scivoloso e ambiguo, ma che sembra essere quello privilegiato dalla Chiesa “istituzionale”. “Non dobbiamo però usare i simboli dell’eredità – scrive Morandi – per un nostalgico ritorno al passato, ma come preziosi strumenti che abbiamo a disposizione per una analisi critica e una migliore interpretazione e trasformazione della contemporaneità. In questo senso anche il crocifisso e il presepe - simboli carichi di storia, di arte e di cultura - possono essere visti con ‘simpatia civile’, per un discorso che riguarda la scuola di tutti e la società”.
Questa simpatia civile deve essere piaciuta a Renzo Gubert, soddisfatto di trovare nell’intervento di Morandi “traccia di un diverso modo di concepire la laicità rispetto a quella adottata da tanti cristiani, mutuata da quella giacobina francese”. Inutile riassumere la posizione del professore, secondo cui le radici cristiane della nostra società devono essere difese dall’ente pubblico.
L’dentità ad ogni costo
Qui forse arriviamo al nocciolo del problema, sotteso a polemiche spesso di bassa lega. La visione che salda la destra più razzista ed eversiva con settori del cristianesimo tradizionalista è quella della difesa della propria identità ad ogni costo. La Chiesa dovrebbe presiedere ai “riti”, totalmente staccati da una convinzione interiore; dovrebbe insistere sui “buoni costumi” davanti a individui che nel privato fanno quello che vogliono; dovrebbe salvaguardare una tradizione formale, scagliata contro gli assalti dei diversi. Lo Stato invece, un po’ come avviene nei Paesi islamici, non potrebbe essere neutro – come nei fatti è secondo i principi liberali classici – ma sarebbe il braccio armato della conservazione dell’identità. Uno Stato confessionale. L’abbiamo già visto tante volte nella storia europea.
Il cristianesimo non potrà però mai essere omologato completamente a una “religione civile”. Perché ci sarà sempre una spinta che va nella direzione opposta. Per un motivo molto semplice.
Analizzando,anche solo da un punto di vista della storia delle religioni, la figura di Gesù di Nazareth si colloca tra i riformatori che accentuano la reale intenzione del cuore contro il formalismo dell’autorità religiosa. Derivano da questa impostazione i durissimi attacchi di Gesù contro l’ipocrisia del potere religioso del tempo, contro i “sepolcri imbiancati” e la “razza di vipere” di chi si fa vedere super religioso, difensore della tradizione, tutto dedito a Dio e poi dimentica l’oppresso, umilia il debole, distilla l’odio.
Tutto potrà accadere, tutto potrebbe essere distorto, ma il dato evangelico è ineludibile. Una volta, non tanti decenni fa, qualcuno aveva pure inventato il “Cristo ariano”. Per qualche tempo moltissimi cristiani – forse la maggioranza – ci avevano creduto. Ma alla fine quell’idolo è scomparso.