Una politichetta al quadrato
Durante la campagna elettorale la politichetta dà il peggio di sé. Nessuna sorpresa, comunque. L’avvicinarsi del voto è segnato dalla frenesia degli aspiranti candidati, che non pensano ad altro se non al modo di conquistare o riconfermare un seggio.
Se poi pensiamo che qui in Trentino alle elezioni politiche di marzo si assommano quelle provinciali/regionali di ottobre, capiamo che le manovre si moltiplicano. Una politichetta al quadrato. Da sbellicarsi dalle risa, oppure da accompagnare con alti lai.
Lo scenario nazionale è abbastanza chiaro. Soltanto la coalizione di destra ha la possibilità di raggiungere la maggioranza per garantire un governo omogeneo. Sarà tuttavia molto difficile, perché la legge elettorale era stata studiata da Renzi proprio per non far vincere nessuno ma per far diventare il Partito Democratico primo gruppo parlamentare ed essere così indispensabile per qualunque maggioranza. La frana dei consensi al partito – per ora solo nei sondaggi, ma tutti hanno capito che la discesa è irreversibile – disegna un altro quadro: la “sinistra” in tutte le sue forme è condannata alla marginalità.
La domanda è questa: riuscirà la coalizione di destra a recuperare una parte del suo elettorato che negli ultimi cinque anni ha votato M5S? Se sì, potrà vincere alla grande, soprattutto nei collegi uninominali. Altrimenti le elezioni ci consegneranno il caos. Non si sa cosa sperare dunque.
L’omicidio-suicidio della sinistra è un altro fatto conclamato. Renzi ne è il primo responsabile. Il secondo sono gli elettori delle primarie del PD che lo hanno riconfermato. Terzo, sono gli odi reciproci, i personalismi esasperati. Quarto, le anime belle che sognano la palingenesi attraverso il voto a “Liberi ed eguali”. Forse la sconfitta collettiva farà bene e magari rinascerà un largo partito della sinistra, sicuramente migliore dei democratici di Renzi. Così pensa Maurizio Agostini, già segretario del PD Trentino, nella sua sconfortata analisi. Ma la strada sarà lunga.
Intanto godiamoci (si fa per dire) l’avvilente spettacolo di questi giorni. Incredibilmente sembra che nessuno conosca neppure il funzionamento della legge elettorale. E così si fanno proiezioni sul probabile esito del voto, si punta ad essere candidati in collegi presunti sicuri mentre si vorrebbe lasciare agli altri le posizioni più difficili. C’è poi la variabile quote rosa. Anche in questo caso è abbastanza triste osservare come la presenza di donne sia una questione vissuta con grande fastidio, come un’incombenza poco comprensibile invece che come un’occasione di rinnovo della classe politica.
Da noi
Venendo al Trentino Alto Adige, rispetto alle altre regioni (e al Rosatellum nel suo complesso), da noi il maggior numero di eletti sarà scelto attraverso collegi uninominali: la nostra circoscrizione elettorale porterà a Roma 18 parlamentari così ripartiti: alla Camera 11 onorevoli (6 nei collegi uninominali più 5 sul proporzionale), al Senato 7 senatori (6 nei collegi uninominali e soltanto uno sul proporzionale). In Trentino ci sono 3 collegi uninominali per la Camera e 3 per il Senato. Come scegliere i nomi? Quante donne sono necessarie? Come verranno ripartiti i collegi tra le forze in campo?
Ancora una volta dobbiamo registrare l’assoluta opacità del processo di selezione delle candidature. Non meravigliamoci troppo, visto che, con il nuovo regolamento, anche nel M5S alla fine tutto è già deciso da Grillo e Di Maio. Dalla sinistra si aspetterebbe qualcosa di più. Nel 2012 – sempre a fine dicembre – il PD aveva organizzato in tutta fretta una sorta di primarie interne al partito per scegliere i candidati. Oggi anche questa parvenza di coinvolgimento dei cittadini è stata archiviata. Al suo posto il tentativo, in extremis, di sentire il parere dei circoli. Insomma decidono le solite trattative tra i vari maggiorenti. Contano gli scambi di promesse, i rapporti di forza. Che in questo frangente vedono il PATT in posizione dominante: più per demeriti altrui che per capacità propria.
Tutte le giravolte di Dellai & Co. (incredibile come sia l’ex presidente della Giunta il punto di riferimento del PD Trentino) manifestano una grande debolezza. Il PD destinato alla sconfitta si aggrappa a Dellai – paradossale l’incontro con Pinter e Pacher – che a sua volta non sa che pesci pigliare, in quanto la sua galassia centrista è letteralmente scoppiata. Il nuovo partito della ministra Lorenzin non cambia di una virgola la situazione. Dellai rischia addirittura di non venire eletto.
Qualcuno potrebbe dire: e allora? In realtà ciò avrebbe una ripercussione davvero notevole alle elezioni provinciali, in quanto Dellai si presenterebbe lì come consigliere (o come presidente?). Da tempo l’ostilità verso Rossi è astiosa e conclamata, peraltro ricambiata, ma del tutto vuota di contenuti. Per esempio, nessuno parla della svolta decisamente anti-ambientalista (abbandonato il mantra “niente nuovi impianti, solo adeguamento di quelli esistenti, il turismo invernale deve andare oltre lo sci”, ora nuovi impianti a tutto spiano; rilancio e ampliamento dell’Interporto a Trento e non a Verona come la tutela dall’inquinamento pretenderebbe). Ed essendo tutto incentrato sulle poltrone, cioè sui destini personali degli esponenti politici, il cosiddetto dibattito è particolarmente puntuto, il tavolo della coalizione potrebbe davvero saltare. E l’esito sarebbe un governo di centro (destra) alla guida della Provincia.
La “campagna acquisti” del Patt è significativa: imbarcare il consigliere Viola vuol dire imbarcare Mario Malossini. E il PD come ha risposto? Ha abbozzato una reazione sui giornali (per un giorno) per poi incassare. Ma cosa ci si potrebbe aspettare da un partito che nel corso della legislatura ha visto cacciare una sua assessora senza colpo ferire? Da sempre subalterno, il PD corre ancora da Dellai.
Con tutta probabilità la coalizione del centro sinistra autonomista riuscirà a trovare l’accordo sulle candidature alle politiche nell’ambito di un’intesa più generale che contempli anche le elezioni provinciali.
Inutile fare pronostici. Rispetto agli anni scorsi tuttavia qualcosa potrebbe davvero cambiare. Alle elezioni del 4 marzo potrebbe verificarsi un terremoto simile a quello del 1994, quando candidati autorevoli e preparati vennero travolti da sconosciuti berlusconiani. A quel cataclisma si rispose con la nascita dell’Ulivo; adesso non si intravedono nuove soluzioni.
Tutto potrebbe anche rimanere così com’è, almeno a livello di politica provinciale. I problemi resterebbero sul tappeto e il distacco dei cittadini dalla classe dirigente è destinato a crescere con esiti imprevedibili. Il Partito Democratico avrebbe dovuto colmare questo distacco trovando nuovi strumenti di partecipazione (come le primarie): oggi siamo al punto zero. Il primo mattone su cui ricostruire una sinistra “di governo” (che non vuol dire inseguire a tutti i costi la destra) è quello del coinvolgimento dei cittadini, ora esclusi da qualsiasi scelta. Anche da questo si capisce il consenso del Movimento 5 stelle.
Come invertire la rotta? Al momento non ci sono soluzioni. Forse una sconfitta servirà, ma dubitiamo che certi politici capiscano le lezioni.