Sait: una coop padronale che senso ha?
Si tenta di superare la crisi del consorzio praticando ricette capitaliste. Una cooperazione così, può avere un futuro?
Il movimento cooperativo trentino è inciampato nel Sait. Ora deve stare attento, perché rischia di cadervi.
È inciampato, dicevamo: almeno due volte.
Primo atto: il consorzio che gestisce l’ingrosso per le Famiglie Cooperative, in un delirio di onnipotenza si allarga a dismisura, in operazioni tanto grandiose quanto dilettantesche, che sembrano del tutto prescindere da logiche commerciali. Attua attorno alle nuove sedi imponenti speculazioni immobiliari, tutte risoltesi con clamorosi invenduti; apre nelle città propri punti vendita, di cui si rifiuta di fornire i conti e che probabilissimamente annaspano; apre due superstore, a Trento e Rovereto, non solo in concorrenza con le vicine Famiglie Cooperative (che il consorzio dovrebbe sostenere, non affossare) ma che chiudono i bilanci in rosso profondo; si lancia in una lunga campagna di assunzioni dal sapore clientelare, finendo con un organico decisamente sovradimensionato; si costruisce una nuova, megalomane sede dal magazzino troppo grande e non facilmente gestibile. Parallelamente il settore commerciale si rivela debolissimo, gli acquisti vengono fatti a prezzi sensibilmente superiori a quelli della concorrenza.
Atto secondo: quando i nodi vengono al pettine, e il consorzio non riesce a fornire alle Famiglie cooperative prodotti a prezzi di mercato, il vertice si blinda. Ridicolizza in assemblea chi osa criticare, fa varare una norma capestro che rende onerosissima l’uscita dal consorzio. Il sistema cooperativo mostra una anomala, preoccupante incapacità di cambiare rotta, e soprattutto di valutare e quindi cambiare i vertici: il presidente Renato Dalpalù, responsabile dei disastri degli ultimi anni (oltre a quelli in altre cooperative) viene riconfermato.
In questo quadro (le Famiglie Cooperative si trovano fuori mercato, alcune preferiscono pagare la penale capestro d’uscita, pur di lasciare Sait ed associarsi alla concorrente Dao) si tenta una svolta: durissima ma ineludibile. Viene chiamato come nuovo direttore generale Luca Picciarelli, famoso per la fama da duro. E qui la cooperazione rischia di cadere: perché Picciarelli non solo dà una rude sistemata al traballante settore commerciale (che finalmente riesce a spuntare prezzi più convenienti); non solo mette in riga i dipendenti, che bruscamente passano dal lavoro facile e tranquillo a quello rigidissimamente controllato; ma prende anche di petto il problema del soprannumero degli stessi, annuncia 130 licenziamenti e gestisce il conseguente conflitto sindacale con estrema asperità.
E qui nascono i problemi: “Lo ho già detto e lo rivendico, il Sait si sta comportando peggio di una multinazionale – dichiara il segretario della Cgil Franco Ianeselli - Non si possono trattare le persone come fossero numeri. È il discorso della cooperazione: non si possono fare i bei discorsi solo quando le cose vanno bene.”
Appunto: di fronte a una crisi, come si comporta il movimento cooperativo?
Due sono gli addebiti espressi dai sindacati. Il primo è gravissimo: diversi lavoratori in Cassa Integrazione sarebbero sostituiti da altri, che costerebbero meno, per di più dipendenti di un’altra cooperativa specializzata in logistica, la Movitrento, presieduta da Marina Castaldo che è anche vicepresidente di Federcoop. Insomma il movimento cooperativo provvederebbe al suo interno a sostituire i lavoratori a tempo indeterminato con altri precari: ovvia la dura opposizione dei sindacati, che potrebbe sfociare in sede giudiziaria.
Il secondo addebito è la mancanza di prospettive: “Non è finora apparso un piano industriale, che ci faccia capire il senso di questi sacrifici – prosegue Ianeselli - né si vede un piano sociale; come sindacato abbiamo attivato un servizio di riorientamento dei lavoratori, anche se il compito sarebbe dell’imprenditore per di più cooperativo. L’ente pubblico interverrebbe, ma solo se c’è una compartecipazione dell’imprenditore, che qui invece non c’è stata.”
Marina Mattarei, presidente della Famiglia Cooperativa Vallate solandre, storica “dissidente” ed entrata ora sull’onda della recente ventata rinnovatrice nel cda del Sait, concorda parzialmente: “Nelle modalità con cui si sta affrontando questo passaggio, concordo: più sensibilità è doverosa. E naturalmente sono vere le grossissime responsabilità delle precedenti gestioni. Detto questo, il problema di un soprannumero di dipendenti è indubbio, va affrontato e risolto.”
É un passaggio stretto quello in cui si trova il Sait e anche il movimento cooperativo. Che per di più si trova a dover fare i conti da una parte con assunzioni clientelari, dall’altra con l’esigenza di non compromettere il disteso rapporto, talora decisamente amicale tra il personale dei negozi e i clienti\soci, che finora è stata la carta vera in mano ai punti vendita cooperativi.
“In questo passaggio la Federazione dovrebbe essere più presente, curare meglio la regia del movimento - prosegue Mattarei - Va dato un segnale in questa direzione, che Federcoop deve dimostrare di avere la capacità di gestire il problema, anche se di mezzo ci sono personaggi di peso”.
Marina Mattarei in un rilancio del Sait ci crede e lo ritiene possibile, anche attraverso la professionalità di Picciarelli, magari da smorzare nei suoi eccessi padronali. Perché è chiaro, se il sistema cooperativo, alla ricerca della managerialità perduta, assume contorni padronali, perde del tutto di significato.
Così, al contrario di Mattarei, c’è chi crede che Sait in quanto tale sia una partita ormai persa. E pensa ad una sua unificazione con Dao, l’altra cooperativa centrale d’acquisto (anche se soprattutto per negozi privati) sotto le cui ali le Famiglie coop staccatesi da Sait sembrano rifiorire.
C’è poi chi è ancora più estremo. E non ritiene che il consumo sia un settore in cui la cooperazione possa ancora misurarsi propositivamente, e debba invece rivolgersi, più realisticamente e con lo sguardo in avanti, verso nuovi ambiti, come il welfare.
A questo si è arrivati dopo le male gestioni di questi anni. Unica consolazione: non si indora più la pillola, e si cercano soluzioni. O vie d’uscita.