Brennero: dal “confine di seta” al filo spinato
Hanno impoverito i poveri, massacrato la Grecia e ora, per difendere il malloppo, innalzano barriere.
Nel corso della campagna elettorale per le elezioni regionali del 1988, insieme a una ventina di ambientalisti nord e sudtirolesi, stendemmo un grande striscione al Brennero, su cui era scritto “Grüne überwinden Grenzen / I Verdi superano i confini”. In quell’occasione, i gendarmi di confine austriaci ci fermarono perché avevamo, sia pur pacificamente, sconfinato e minacciarono di arresto i nostri colleghi tirolesi.
Nel 1995 ci incontrammo nuovamente con Eva Lichtenberger davanti al cippo, per festeggiare la fine del confine, ovvero l’introduzione di Schengen. Magnago parlò di “confine di seta”, e così l’abbiamo percepito in questi ultimi vent’anni. È difficile spiegare quale effetto benefico ha avuto sui sudtirolesi la soppressione di quei controlli, che stavano lì a ricordare una separazione mai digerita. Di fatto le popolazioni anticamente unite si sono differenziate, come ha dimostrato con i suoi studi il politologo Günther Pallaver, ma poter transitare senza mostrare il passaporto o la carta d’identità è stato psicologicamente (e quindi politicamente) un grande fatto.
Un anno fa, nell’articolo di gennaio di questa rubrica, ho scritto della profonda differenza fra Austria (e quindi Tirolo) e Sudtirolo nello stato sociale, della reazione “socialista” del cancelliere Faymann alla crisi, con lo slogan “Distribuire il benessere con giustizia”, tanto diverso dal comportamento delle giunte altoatesine, che hanno anticipato le riforme renziane contro il welfare (vedi ad esempio gli altissimi ticket ospedalieri). Però quel non-confine stava lì a testimoniare la speranza che l’Unione Europea non fosse solo denaro, ma un’unione di popoli e genti fondata sui diritti. E per alcuni, confessi o non confessi, la speranza che il confine venisse prima o poi spostato a sud.
L’annuncio dell’Austria che in aprile, dopo Pasqua, verranno messe le barriere di filo spinato al Brennero, ha suscitato uno shock cui la gente fatica a reagire. Dominano inquietudine e incredulità. La speranza che a Prato alla Drava, passo Resia, passo Stalle e passo Rombo non si costruissero barriere, cade già il 5 di febbraio. Lo stato sociale oggi è possibile solo all’interno dei confini, scrive il filosofo viennese Konrad Paul Liessmann, che ricorda che in Europa tutto l’aiuto ai rifugiati viene fatto su base volontaria e che lo stato sociale di per sé deve andare oltre le elemosine e il lavoro gratuito legato alle emozioni del momento, mentre l’Unione Europea non si è mai interessata allo stato sociale, lasciandolo all’interno dei confini (appunto) di ogni stato.
Liessmann nel 2012 hapubblicato un libro intitolato “Lob der Grenze” - Lode del confine - e spiega che non intende affatto giustificare le barriere ai confini, ma indicare la necessità dei limiti. Liessmann usa il termine “fatale” per descrivere gli effetti della erezione di barriere ai confini fra i Paesi dell’Unione: fatale per il progetto di Unione Europea e fatale per il Tirolo.
I tre presidenti delle regioni che compongono o vorrebbero comporre l’Euregio Tirol hanno mostrato sorpresa “per non essere stati informati prima”. Quindi sono andati a Vienna e là hanno dovuto incassare la ferma indifferenza alle loro richieste di sospendere i provvedimenti presi.
In Austria vi è un’ampia concordanza sulla scelta del governo, nell’opinione pubblica e soprattutto nella politica: a cominciare dal cancelliere socialdemocratico Werner Faymann, primo responsabile della decisione, mentre Peter Jankovich, ex ministro degli Esteri, parla di “fitta al cuore”, che però non deve impedire l’attuazione di quella misura, ed Helmuth Kohl, grande “amico” del Sudtirolo, ora candidato ÖVP (popolari, conservatori) alle elezioni presidenziali del 24 aprile prossimo, ritiene “giusta la decisione presa” e come gli altri chiama il blocco dei confini “management dei confini verso i rifugiati”, un eufemismo, adeguato alla rincorsa della destra xenofoba.
Intanto la politica sudtirolese si aggrappa alle dichiarazioni del ministro dell’Interno, ma il 27 febbraio si trova di fronte alle affermazioni del sottosegretario Gozi, secondo il quale il governo non farà hotspot (i centri per l’identificazione dei rifugiati) né in Friuli né al Brennero. Che cosa significa?
L’ex commissario europeo per l’agricoltura (anche al tempo di Prodi), l’austriaco e tirolese Franz Fischler (intervistato dalla Taz) teme una catastrofe al Brennero, critica i capi di governo europei, responsabili della politica dell’Unione, ognuno dei quali “cerca di risolvere i propri problemi a spese degli altri”, e parla anche di “fallimento della Commissione europea”, che non ha attuato le decisioni prese in materia di distribuzione dei rifugiati; e consiglia di non aspettare che le cose accadano senza prendere iniziative. “Vi metto in guardia. – dice - Se si sta solo a guardare le migliaia che staranno lassù al Brennero, allora sarà tutto chiuso. I rifugiati saranno sull’autostrada, sui binari del treno”. E conclude: “Qui si dimostrerà se l’Euregio Tirol è solo un salotto per chiacchierare o qualcos’altro”. Ma con quali mezzi e autorità il “salotto” potrebbe far cambiare la politica della madrepatria (Austria)?
In Sudtirolo
Per quanto riguarda l’opinione pubblica, si deve dire che le prime ondate di migranti sono state accolte con uno slancio civico encomiabile e una grande generosità da parte della cittadinanza. Oggi ci sono poco meno di 900 rifugiati in provincia. Molte altre migliaia sono passati, sono stati rifocillati, e non si sono fermati.
La Provincial’anno scorso ha chiesto e ottenuto dallo Stato di poter gestire autonomamente le quote di rifugiati spettanti a ogni regione/provincia. Ha messo a disposizione diverse strutture (ex casa di riposo di Malles, l’ex centro di riabilitazione “Salus” di Tesimo, le case dei ferrovieri alla stazione di Merano, le caserme “Mercanti” di Appiano, un edificio delle terziarie francescane a Castelrotto, la “Fischerhaus” di Vandoies, le ex caserme “Gnutti” di Prati di val di Vizze, la “Josefsheim” di Brunico ), oltre alle due strutture già esistenti a Bolzano, e ha creato un centro di accoglienza (Flüchtlingsberatung/Consulenza profughi), tutto affidato al volontariato.
I rifugiati vengono aiutati a fare i documenti perla Questura, che li dota di un documento provvisorio, in attesa del permesso che attesta che hanno fatto richiesta di asilo. Con questo accedono a vari servizi e all’assistenza sanitaria per due anni. Infattila Commissioneterritoriale di Verona decide entro un anno se il diritto all’asilo esiste e chi fa ricorso contro una decisione negativa ha un ulteriore anno prima della decisione definitiva. A Bolzano in questi giorni ci sono 270 persone che aspettano (tutti uomini, perché le donne e le famiglie vengono sempre accolte) e dormono nelle strutture di “emergenza inverno”, che verranno chiuse in primavera. Dove andranno a dormire dopo?
Le persone che vengono fotosegnalate al Brennero arrivano al Centro di Bolzano. Dopo le formalità dovrebbero essere inviate alle strutture provinciali. Però nel frattempo lo Stato manda pullman di rifugiati, in base alla distribuzione nazionale delle quote (alla Provincia di Bolzano spetta lo 0,9%), e questi vengono accolti nelle strutture prima di coloro che vengono identificati qui. Arrivano dal Brennero, di solito respinti dalla Germania, Norvegia o Svezia, e in gran parte originari di Afghanistan e Pakistan, oltre a qualche famiglia dall’Iraq, circa 200 persone al giorno. Spesso hanno avuto rifiutato il diritto di asilo in altri Paesi o credono che in Italia sia più facile ottenerlo.
Fra coloro che lavorano nei centri di accoglienza si pensa che sarebbe necessario avere più strutture di accoglienza e soprattutto abbreviare il tempo di definizione del diritto di asilo. La politica teme di avere troppi posti liberi per non incoraggiare altri arrivi e la burocrazia italiana è lenta e ha poco personale. Ma come si fa a rimandare indietro persone che hanno fatto viaggi apocalittici e dietro di sé non hanno lasciato niente?
In attesa di decisioni più efficaci e sagge, che dovrebbero essere prese anche e soprattutto a livello mondiale (come la fine delle guerre), sarebbe importante istruire chi arriva e inserirli in un contesto che non sia solo dormire, mangiare, lavarsi.
Sui blog, oltre ai razzisti e agli estremisti di destra nonché ai secessionisti i quali approvano i confini ma si augurano di trovarsi dall’altra parte, si trovano centinaia di giovani o meno giovani, e molte donne che affrontano in modo ragionevole e generoso, concreto e tranquillo, un fenomeno che anzitutto mette a nudo la miseria della politica europea, imbelle, prepotente e ignara della vita dei cittadini.
Hanno impoverito i poveri, massacratola Greciae ora, per difendere il malloppo, stendono fili spinati.