Aldo Schmid: “Astrazioni cromatiche”
Colore e percezione a Riva
A cavallo fra 2013 e 2014 a Pergine s’è tenuta una mostra monografica su Luigi Senesi; adesso (dal 12 aprile al 20 luglio) a Riva, presso la Rocca, se ne tiene una di Aldo Schmid, organizzata dal MAG (Museo Alto Garda), e curata da Daniela Ferrari. Le due mostre si completano a vicenda, non solo perché i due artisti trentini, fra i maggiori del nostro Novecento e fra i più consapevoli, sono morti nello stesso incidente ferroviario il 15 aprile 1978. Anche il loro lavoro era strettamente intrecciato, come lo è stata la morte. Il loro esito finale, quello di una ricerca astratta sul colore e sulle forme della percezione, era parallelo, anche se provenivano da percorsi molto diversi: territoriale e figurativo quello di Senesi, più internazionale e rarefatto quello di Schmid.
A metà degli anni ‘70 si erano così trovati assieme nel gruppo di Astrazione Oggettiva, praticamente l’unico gruppo programmatico, legato ad un manifesto, prodotto dalla cultura trentina in quegli anni. Gruppo forgiato soprattutto da Schmid - la personalità più incombente e definitoria - la cui influenza è notevole anche nell’ispirare la direzione dell’ultima stagione di Senesi, che a Schmid senz’altro molto aveva guardato, pur mantenendo - anche nel parallelismo - una sua più forte carica immaginifica, più movimentata, tramite il gioco della luce, di quella di Schmid, ferocemente programmatico invece, inflessibilmente rigoroso. Il rigore ‘oggettivo’ era proprio l’ideologia del gruppo di AO: nel manifesto del 1976 si teorizza la “tendenza ad operare sui presupposti e sui fini di una riflessione oggettiva e metodologica della realtà pittorica, secondo una prassi che si realizza sull’analisi delle procedure operative e dei mezzi espressivi subordinando le ‘intenzioni soggettive’ cioè personali ed evidenziando al contrario le ‘condizioni oggettive’ cioè dell’oggetto, della realtà pittorica come essere oggettivo”. Dopo la stagione del soggettivismo sessantottesco (“Siamo realisti, chiediamo l’impossibile”), il loro manifesto annunciava una nuova epoca di rigore ‘oggettivo’, ed un rapporto col mondo che passava per la tecnica, direi proprio l’epoca che stiamo vivendo oggi.
Ed il rigore tecnico nella modulazione cromatica, affidata a procedure da ‘arte programmata’(in cui la preparazione di un quadro si concretizzava in formule matematiche atte a guidare il miscelamento delle tonalità del colore), trova splendidi esempi nelle opere mature in mostra a Riva. Non molte opere, degli anni che vanno dalla fine dei Sessanta all’anno prima della morte, tutte di grandissima qualità, che offrono una sintetica panoramica su una personalità che chissà cosa avrebbe ancora potuto produrre, se non fosse stata troncata, a 40 anni, dall’incidente ferroviario. Il visitatore viene rapito in una dimensione puramente mentale del colore, che si muove secondo progressivi, graduali e trasparenti, cangiamenti. In cui s’aprono però, a volte, fenditure di luce che squarciano il quadro, come aveva fatto fisicamente Fontana, che qui invece giocano solo con la nostra percezione. Ma l’effetto di trapasso in un altrove non è meno forte.