Ida
Suore fra musica e cinema
Al solo digitare “suor” su Google appare la tendina con suor Cristina. Il fenomeno di questi giorni, la suora che canta al programma “The Voice”. Fino ad ora 33 milioni di visualizzazioni su You Tube. Che una suora canti non è straordinario, il canto liturgico esiste da tredici secoli. Nel mondo dello spettacolo suore ce ne sono state diverse: Julie Andrews, nel film “The Sound of Music” (“Tutti insieme appassionatamente”), impersonava la novizia Maria che ama cantare e ballare. Whoopy Goldberg, cantava camuffata da suora in “Sister Act”. In tv invece, a Sanremo, ci andavano i frati, ma siamo lì.
Altro è però, a mio parere, una vera suora che va ad un talent a cantare un brano soul. È vero, Papa Francesco ha invitato ad avere coraggio e aprirsi al mondo. Sarò un moralista, ma a me, per quanto ne abbia visto solo qualche frammento, pare che il talent “The Voice”, come mondo sia piuttosto discutibile. Una buffonata per la massa, con Pelù, Carrà, J-Ax e Noemi che si comportano, si sorprendono più esagerati, esagitati dei personaggi di un cartoon di Lupo Alberto. Insomma ‘sta parola la dobbiamo proprio portare nei contesti oggettivamente più finti e artificiosi che i giovani possano incontrare? Poi quale? Quella del brano di Alicia Keys “No One”? Un soul, musica di derivazione blues (storicamente la musica del diavolo, e vabbè...) incrociata con lo spiritual. Il che vuol dire che se da una parte c’è un’idea di “anima”, spirituale appunto, dall’altra si parla delle “profondità interiori”, che nell’ambito afro-americano possono voler dire molte cose, ma di spirituale c’è spesso ben poco e molto di più di carnale (guardatevi i video di Beyoncé e fatevi un’idea). Lo stesso testo di “No One” può riferirsi a Gesù, Dio o chi volete, può anche riferirsi ad un amante, un figlio o altro. Insomma, una musica molto ambigua, che ha sempre vissuto di questa ambiguità e che personalmente mi piace molto proprio per questo. Al che, vederla cantata da una suora mi produce un cortocircuito. Cosa c’entra una suora con questa musica e questo contesto? È patetica ingenua ignoranza? È manipolazione furbacchiona puntualmente esplosa? Tutte e due?
Forse è semplicemente la tv, i vari media, i social network che macinano di tutto purché produca clamore e dove certo non valgono molto coscienza e conoscenza.
Ma ci sono anche altre suore, al cinema. La diciottenne Anna, protagonista del film “Ida” di Pawel Pawlikowski, nella Polonia dei primi anni Sessanta sta per farsi suora presso il convento che l’ha raccolta come orfana e dove ha sempre vissuto in clausura. Alla vigilia dei voti, controvoglia, esce e incontra l’unica parente vivente, la zia Wanda, con la quale percorre un viaggio nel suo passato, scoprendo di essere ebrea e una serie di altre rivelazioni destabilizzanti. “Che sacrificio è il tuo - dice in una delle prime battute la zia Wanda ad Anna - se non hai mai provato il resto?”. Anna manca di conoscenza ed esperienza del mondo, ma in pochi giorni con la zia imparerà diverse cose del passato, della vita mondana, della sua realtà, dell’identità degli altri e sua. Conoscenze che la porteranno ad una scelta consapevole.
In un austero bianco e nero, perfetto scenario del socialismo reale, un cinema pulito, essenziale, privo di retorica sull’Europa dell’Est dell’epoca della divisione dei blocchi, una riflessione sull’identità che prevale sulla trama.
Questo è un film su una suora che nei suoi silenzi comunica molto, e il suo canto è più vero, limpido, emozionante di quello di suor Cristina.