Impegnato, con ironia
Giacomo Gardumi, un cantautore molto speciale
Giacomo Gardumi è il classico ragazzo della porta accanto: schivo, sorridente e dalla battuta pronta. Cantautore per passione (ha iniziato suonando la batteria in un gruppo), trentino di Sardagna ed è balzato all’onore delle cronache per l’inno “Resto en Bondon”, che in soli due giorni ha raggiunto 8.000 visualizzazioni su Youtube, e che ora ha superato le 40.000. L’autore è lui, Giacomo, 27 anni, che quasi per scherzo ha preso la melodia di una canzone di Michael Bublé, “Home”, e ci ha messo parole sue, tutte rigorosamente in dialetto trentino. Creando quello che oggi è l’inno ufficiale della montagna del capoluogo trentino, e facendo propaganda anche alle altre località sciistiche della regione, che vengono dall’autore pedissequamente citate. Ma “Resto en Bondon”, della quale peraltro nemmeno l’Apt ha mancato di cogliere le potenzialità, non è l’unica sua composizione.
Giacomo si sperimenta e, attraverso l’usuale dose di ironia e dialetto trentino che lo contraddistinguono, unite ad un’attenzione non comune al sociale, si cimenta anche con temi di non immediata facilità, ma sicuramente di impegno ed interesse collettivo rilevanti, come in “Ciapo el tram”, un invito ai trentini ad affidarsi ai mezzi pubblici anziché alle automobili, o in “Me fago del Acqua2O”, che in modo scanzonato mette il dito sui rischi dell’alcol e stimola invece a “farsi di acqua”, dato che “credeme a mi, l’eroe che sta ben l’è senza dubio l’astemio Lupin”.
Oltre alla piaga dell’alcol ti sei dedicato anche al tema del gioco d’azzardo, con il brano “Zugo ale slot”.
“Ho fatto un corso a Rovereto organizzato dall’Associazione Ama (Auto Mutuo Aiuto) sugli stili di vita, all’interno del quale ho partecipato ad un gruppo sul gioco d’azzardo e in quell’occasione ho avuto la fortuna di sentire la storia personale di alcune persone che hanno iniziato per gioco, e poi hanno cominciato ad avere problemi, ad accorgersi che rovinavano i rapporti, e si rovinavano economicamente. Questo gruppo era facilitato da un ex giocatore: sono persone che conoscono le sensazioni che si provano, le difficoltà a cui si va incontro”.
Quando componi un brano, scrivi le parole e le rime e ci inventi poi la musica, o fai il contrario? Come ragioni, nel comporre un pezzo?
“Mi invento prima il giro della chitarra, la musica, e dopo, in base all’argomento, vedo cosa ci sta bene. Poi succede che vorrei dire tantissime cose nella stessa canzone, però devo selezionare, non posso dire troppo. E poi mi piace farlo in modo ironico”.
Ci guadagni sopra qualcosa?
“Con “Mi resto en Bondon” l’APT ha voluto fare delle magliette, dei cappellini, perché era un po’ il tormentone di quel periodo (2012). Ho anche scritto a Youtube, ma mi hanno risposto che le mie produzioni non sono sufficientemente originali. Nel caso dell’APT ho registrato un marchio, guadagnando qualcosina”.
Nel caso di “Zugo ale slot” hanno usato la tua canzone per qualche campagna di sensibilizzazione?
“Vado ogni tanto nelle scuole, alle serate, agli incontri informativi a canticchiarla e, anzi, se qualcuno organizza contesti di questo tipo sono ben disposto ad andare a suonare”.
L’arma dell’ironia la utilizzi per stemperare la drammaticità del tema?
“Sono uno che cerca sempre la battuta, di mettere sul ridere qualsiasi cosa, e questo, affrontando temi che potrebbero apparire pesanti, serve ad alleggerire l’impatto. Purtroppo la gente ascolta non chissà che canzoni impegnate, si guarda Frank Matano su Youtube! Ci sta la risata divertente, io cerco di trattare con leggerezza temi di questo genere, però in fondo il messaggio c’è sempre. Non voglio neanche essere il guru che dice come vivere, come comportarsi, ma solo lanciare degli input. E dirlo così, brutalmente, sarebbe un’azione da moralizzatore, e non voglio esserlo. Dico le cose, ma con un po’ di sarcasmo, come fa Caparezza”.
Hai in cantiere qualche nuovo progetto musicale?
“Ho addirittura tre canzoni, che realizzo con Simone, un amico. Una è una ‘eco-canzone’dove parlo di ecosostenibilità, in cui credo molto. Una è sull’interculturalità, e poi un rap di protesta sulla socialità a Trento, sul fatto che tanti sono insofferenti rispetto alle forme di aggregazione dei giovani”.
Riguardo a quest’ultimo tema, la socialità a Trento, l’aggregazione giovanile, che idea hai?
“La gente potrebbe spegnere ogni tanto la tivù e scendere in strada a incontrarsi con altri, a bersi qualcosa, invece di lamentarsi tanto. Poi, capisco, tutti hanno il diritto di stare tranquilli, ma non penso che si chieda il mondo pretendendo di stare in un posto fino a mezzanotte. Poi ci si lamenta che non c’è in giro niente... Anche per quanto riguarda la sicurezza, un conto sono i dati, un conto è la percezione del fenomeno. Certo, il mondo e la società cambiano, ci sono gli extracomunitari che, per la percezione che se ne ha, fanno paura (le risse, la droga...). Ma è più la paura percepita che la realtà”.