NOT, sprechi e potere
Sul nuovo ospedale di Trento dossier di Italia Nostra: come e perché si è scelto il progetto più scadente?
Il NOT (Nuovo Ospedale Trentino) è un’impresa costosissima, di cui abbiamo già denunciato la vacuità: costruire un nuovo ospedale ogni 20 anni (o ancor meno, il Santa Chiara è stato testé ristrutturato da capo a fondo) è un lusso di cui non si capiscono le motivazioni, soprattutto nei frangenti attuali. Se non nella bulimia costruttiva dellaiana, per cui si risparmia non assumendo infermieri, tenendo i medici sotto la pianta organica, ma si sperperano centinaia di milioni in nuovi muri. Una follia in tempi di crisi, ingigantita dal meccanismo messo in moto nel tentativo di reperire centinaia di milioni, attraverso il project financing, cioè consegnando per 25 anni la gestione dell’ospedale, dalle pulizie agli adeguamenti dei macchinari, alla ditta vincitrice dell’appalto. Una toppa peggio del buco: dal momento che non ci sono i soldi da buttare nella pretenziosa costruzione, si rimedia consegnando l’ospedale, cioè la sanità, ai privati.
Queste le critiche di fondo. Alle quali con un recente documento Italia Nostra ne ha aggiunto altre, sulla validità del progetto e sul suo senso urbanistico. Critiche tanto argomentate quanto pesanti: il consigliere provinciale Mario Magnani, a suo tempo assessore alla Sanità e quindi corresponsabile della decisione, sbuffava in sala: “Queste obiezioni bisognava presentarle prima, adesso è tardi!”.
“Veramente quando noi chiedevamo di vedere i progetti ci si diceva che era presto, che il vero progetto sarebbe stato presentato dai concorrenti all’appalto. Adesso che, visti i progetti, diciamo che sono inconsistenti, è curioso che ci si risponda che dovevamo attivarci prima” - ha replicato il presidente di Italia Nostra arch. Beppo Toffolon. Insomma, la solita storia: per gli amministratori non c’è mai il tempo della critica, o è troppo presto e quindi è prevenuta, o è tardi e quindi dilatoria, “si è già deciso”. I risultati infatti, anche a uno sguardo profano, appaiono sconfortanti dal punto di vista architettonico, inesistenti da quello urbanistico.
Il plastico del progetto vincitore (della società Impregilo) presenta “dei volumi casuali, sparpagliati sul terreno... sembra l’esercitazione di uno studente ai primi anni di Architettura” o, peggio, il risultato del gioco con le casette e gli alberelli di un bambino. Il fatto che abbia vinto il progetto peggiore (all’interno dei 4 brutti progetti concorrenti) non è, secondo Toffolon, un caso: il vincitore veniva scelto in base a parametri quasi esclusivamente economici, la qualità architettonica era irrilevante, e quindi le imprese concorrenti l’hanno trascurata quando non penalizzata. In pratica, consapevoli o meno, si è deciso di disinvestire in bellezza, cioè di fare una bruttura.
La questione non è secondaria, né una mania da architetti. La bellezza, l’attrattività di una città è un bene di grande valore, una ricchezza che contribuisce a formare il senso identitario del cittadino; il NOT inoltre sarà il primo grande edificio visibile per chi giunge a Trento da sud, per strada o ferrovia, sarà il biglietto da visita per il forestiero: una costruzione sciatta, bruttina, “un’eterogenea accozzaglia di frammenti edilizi” farebbe un pessimo servizio alla città.
C’è poi l’aspetto urbanistico: per il NOT il Comune ha riservato un’area di ben 17 ettari all’interno di una zona di oltre 23 ettari (il vecchio ospedale ne occupa meno di 6, tutta l’ex-Michelin col Muse, il parco, il quartiere di Piano solo 16), senza collegamenti costruttivi col resto della città. Non si capisce cosa si farà dei rimanenti 6 ettari ritagliati in qualche maniera; si capisce invece benissimo che quei 17 ettari sono sprecati; gli altri tre progetti (i perdenti) avevano almeno il decoro di occuparne solo una parte, mentre Impregilo li occupa tutti, sparpagliandovi le sue case, casone, casette. “Un ospedale deve avere l’ingresso che si apre su un marciapiede” afferma Renzo Piano, più volte citato da Toffolon, a significare che l’ospedale è una struttura del tutto urbana, che deve vivere dentro il contesto cittadino. A Trento invece, povera di suo di territorio, lo si spreca costruendo un ospedale sparpagliato e piazzato nel nulla. Forse pensano di fare qualcosa di moderno.
Italia Nostra presenta anche l’alternativa. Un ospedale madrileno, il Rey Juan Carlos, di analoga grandezza (570 posti letto contro i 600 del NOT), costruito anch’esso in project financing (230 milioni contro i nostri 250). Ma su 9 ettari, non su 17. E con una qualità progettuale - vedi foto - che ne fa un edificio di pregio, non una schifezza.
Il fatto è che gli spagnoli sono partiti con le idee chiare su cosa volevano dal punto di vista urbanistico, da quello architettonico, e hanno coinvolto i massimi costruttori e gestori di ospedali a livello mondiale. Mentre a Trento, con le idee urbanistiche confuse e una marchiana sottovalutazione degli aspetti architettonici, si sono coinvolte grosse imprese italiane di costruzioni, ma per nulla specializzate in ospedali. In altre parole, si è sbagliato praticamente tutto.
E come mai alla gara non hanno partecipato le imprese europee? La risposta è triste: come appaltatori, all’estero non abbiamo credibilità. Si sa benissimo che da noi chi vince, magari con consistenti ribassi, ottiene poi la remunerazione presentando varianti in corso d’opera. Cioè legandosi mani e piedi all’assessore, alla politica. E allora le grandi imprese estere se ne stanno alla larga.
Hanno purtroppo ragione. Lo dimostra appunto l’appalto del NOT, impostato e condotto in maniera discutibile anche dal punto di vista della correttezza amministrativa, con diversi conflitti di interesse all’interno della commissione giudicante, tra cui quello più clamoroso, il caso del responsabile del progetto, l’ing. Giuseppe Comoretto, director di Impregilo dal 1995 al 2007. Una serie di situazioni che hanno portato una delle imprese soccombenti a contestare l’appalto chiedendone l’annullamento al Tar.
E così il NOT, travolto dalle contraddizioni, va in alto mare. Ma non c’è da rallegrarsi: la vicenda evidenzia una gestione del potere tanto arbitraria quanto approssimativa, plastica rappresentazione del peggio del dellaismo. Dellaismo in senso lato: l’assessore alla Sanità, Ugo Rossi, che il progetto lo ha sposato in pieno, è tra i più accreditati successori, all’interno della paludosa continuità dellaiana.