O si cambia o si muore
Maradona è apparso a Napoli, la città è nel caos. Beppe Grillo si abbatte sul voto, l’Italia è in pieno marasma politico. Occorre forse paragonare lo tsunami provocato dal Movimento 5 Stelle a qualche evento calcistico capace di mobilitare milioni di persone in un’onda collettiva capace di travolgere tutto. A lungo si ricorderà il voto sotto la neve del febbraio 2013. Gli storici e gli psicologi sociali discetteranno sull’animo profondo del popolo italiano, capace di seguire fino alla morte politica e oltre un Berlusconi ormai sepolto da se stesso ma risuscitato dalla forza mediatica delle sue promesse e dei suoi lazzi a sfondo sessuale che piacciono a più del 20% degli italiani.
Grillo è il secondo fenomeno imprevedibile di queste elezioni. Tutti erano convinti di un suo successo, nessuno (probabilmente neppure i suoi) aveva ipotizzato le dimensioni della valanga. “Piazze piene urne vuote” era il motto irresponsabile di chi gli aveva lasciato un vuoto spaventoso da riempire. Senza soldi, col web e i comizi, con una capacità intuitiva e di mobilitazione senza precedenti, Grillo diventa il primo partito. Un movimento di cittadini, di gente pulita, con idee innovative, entusiasmo e freschezza cambia faccia al Parlamento e alla politica. Potremmo festeggiare questo. Così però non può essere, perché il grillismo è tecnicamente autoritario e non democratico. Le consultazioni on line, a prima vista il trionfo della partecipazione diretta, sono invece tutt’altro che strumenti di elaborazione di idee e di proposte, la cui strategia di fondo viene decisa altrove. Come leggere altrimenti le dichiarazioni di un personaggio che esclude qualsiasi alleanza, qualsiasi dialogo con chi non la pensa come lui: “Vieni nel Movimento”, è lo slogan. Che significa uscire dalla democrazia e avviarsi verso il partito unico, il leader unico. Fuori ci sono i nemici, dentro la verità. Autarchia nei numeri, nei seggi alle Camere, nella propria forza. Autarchia dall’Europa, dalla globalizzazione, dall’evolversi della storia. Qui sta la contraddizione più grande di Grillo: il massimo dell’innovazione della proposta politica con il richiamo e il riflesso incondizionato per rivoluzioni pericolose e ambigue, con l’eventualità di scossoni deleteri per il fragilissimo impianto istituzionale del Paese. Vedremo se 5 Stelle riuscirà a superare questo dissidio.
La sinistra vince alla Camera e prevale di poco al Senato: numeri in realtà peggio di una sconfitta. Il PD esce distrutto dal voto. Va dato atto a Renzi di aver compreso prima di altri la situazione, ora capiamo che la sua rottamazione era esagerata per difetto. Il cuore dell’Italia aveva bisogno di molto altro, non della tranquillità soporifera o dell’usato sicuro di Bersani, che pure in un Paese normale (Hollande dimostra) poteva risultare vincente: ma il peso della nomenclatura, la rigidità di un decrepito modo di fare politica, l’incapacità di cogliere l’esasperazione dei cittadini contro la Casta consegna al futuro un PD da rifondare in una sinistra ormai catastroficamente lontana dal popolo (disastroso il risultato di Ingroia, pessimo Vendola). Un’altra contraddizione emerge pesantissima: sulle spalle di questo PD, di questa sinistra incombe il macigno della gestione dei prossimi mesi (in un Paese normale avrebbe meritato 5 anni di opposizione). E invece dovrà traghettare la zattera dei naufraghi verso un destino ignoto, con l’eventualità di un inabissamento generale in seguito allo tsunami di Grillo. Dovrà tentare la formazione di un governo (di transizione? di scopo? di salvezza nazionale? Oppure per suonare il requiem alla democrazia?), dovrà eleggere il Presidente della Repubblica e reggere l’urto della crisi economica. L’Italia attraverserà settimane convulse. Impossibile dire come ne uscirà; ma nuove elezioni ci attendono ben presto.
Fallisce miseramente il progetto di Monti. Anzi, il suo velleitarismo è una causa della situazione attuale. Fallisce il centro politico e questo, se fossimo in una democrazia decente, potrebbe essere un segno di maturità. Fallisce pure una visione economica vecchissima seppur autorevole, certamente responsabile, ma prigioniera della logica dei mercati, delle banche, dei dogmi liberisti che hanno già ucciso la Grecia. Fallisce un modello, senza che ce ne siano altri a sostituirlo.
Fallisce dappertutto, ma non in Trentino. Dove pesa la presenza, debordante di debito pubblico di Dellai, percepito come la figura salvifica della Provincia, colui che “può difenderci” (se pensiamo al successo di Panizza e della SVP che elegge il trentino Ottobre, capiamo l’en plein autonomista, peraltro quasi cercato dal PD), il “nostro leader” anche da Roma. Una tentazione in più per il PD trentino che, in vista delle provinciali di ottobre, potrebbe rilanciare la sua perdente ma tranquilla “vocazione minoritaria”. Ma questa volta o si cambia tutto in sei mesi o si muore per davvero.