Sposerò il dottor Zivago
Mamma racconta che avevo un anno e mezzo quando presi il morbillo da mio fratello più grande. Lui, pieno di macchie e con febbre altissima, proprio sul culmine scappò in terrazzo. A me venne in forma leggerissima con poche macchie e solo qualche linea di febbre. Il giorno dopo sarei uscita, ma durante la notte la mamma venne svegliata dai miei rantoli. Accesa la luce, mi trovò cianotica con 41 e mezzo di febbre. Ricoverata in ospedale, non c’erano molte speranze e il nonno consigliò alla mamma: “Portala a casa a morire quella bambina!” Quella notte, come la chiamavano allora, “girai la doia” (broncopolmonite) e mi ripresi. Ero una bambina buona e fiduciosa, davo la manina al primario che passava in visita chiamandolo nonno dottore. Forse per questo, fin da piccola, non ho mai avuto paura dei medici.
Quando poi a nove anni mi tolsero le tonsille, nonostante l’orrore della bacinella colma di ammennicoli sanguinolenti appartenuti a quelli prima di me, sprofondai felice nei bellissimi occhi azzurri del giovane dottore che mi operò. Rimasero radicati a lungo nella mia mente, erano come quelli del mio nonno materno. E poi c’era la promessa di mangiare un gelato dopo l’operazione. A quei tempi per un gelato fuori stagione si facevano carte false! A dire il vero appartenevo a quella generazione, per cui togliere le tonsille era considerato progresso e benessere per tutti, senza distinzione sociale. Sarà stata quella generazione senza tonsille che ha portato poi, nel bene e nel male, al sessantotto? Che fu anche l’anno dove vidi il Dottor Zivago al cinema, innamorandomene.
Fino a quando la mia vita si è dipanata normalmente, i contatti con medici si sono limitati ai controlli in gravidanza e al pediatra dei miei bambini. Ai quali trasmettevo la mia stessa tranquillità verso il dottore, evitando loro disperazioni inutili. Atteggiamento di fiducia che mi ha permesso anche di affrontare i tantissimi problemi di salute di mia madre. Ho iniziato a preoccuparmi per la sua salute da adolescente e non ho mai smesso. Mamma è stata un grosso debito per la sanità pubblica! Sanissima fino ai quaranta, ha poi accumulato una lunga sequela di malattie e operazioni superate grazie alla sua forza. Al gran coraggio e al carattere di ferro... anzi, di titanio come le protesi alle ginocchia. Elenca tutte le malattie con memoria ferrea, citando date, giorni di degenza, farmaci impiegati, amicizie nate in quelle occasioni, dando voti ai vari ospedali, al personale, alla mensa.
Fu proprio accompagnando mia madre a una visita molto seria che rimasi colpita dallo sguardo magnetico di un medico, anche se considerai inopportuno soffermarmi a pensarci. Mesi dopo da un sogno rivelatore scoprii che nell’inconscio quegli occhi azzurri erano andati avanti senza la mia volontà, occupando uno spazio rimasto libero. Una lunga cotta adolescenziale che non ebbe mai uno sviluppo reale, ma che faceva di nuovo battere quel mio giovane cuore maritatosi o troppo in fretta o male. Faceva ritornare a galla il dottor Zivago e tutti i sogni romantici che mi aveva ispirato. E poi l’inconscio non sa di certo lo stato di famiglia, probabilmente ha altri indicatori del benessere interno.
Poi finiscono anche i sogni, la vita subisce una brusca virata e diventi un’ex sana quasi senza accorgertene. Da allora ho avuto bisogno di consultare moltissimi medici e specialisti. Dalla medicina ufficiale a quella omeopatica, passando da quell’alternativa e a qualche pizzico di stregoneria. Direi che non ho fatto altro negli ultimi quattro lustri. Sì, sono un po’ stanchina! Convincendomi però che ho trovato moltissima umanità fra questi medici e che è l’unica cosa che alla fine conta. Persone davvero squisite che hanno alleggerito la mia croce prestandomi molta attenzione.
Forse non fu solo un incipit infantile, ma magari furono anche l’adolescenza e il dottor Zivago... anche se non credo che un destino machiavellico mi stia aiutando presentandomi medici e malattie nuove! Più banalmente sarò una delle tante donne che subiscono il fascino del camice bianco, che sembra se la giochi a pari merito con quello della divisa. Di sicuro so che non ho mai giocato ai dottori, come sembra abbia fatto gran parte dei miei coetanei. Magari sotto sotto svelerò solo una gran curiosità repressa. Uno strizzacervelli troverebbe senz’altro materiale per un’analisi, partendo dall’infanzia e passando per la magia del primo film visto al cinema. Finirebbe forse per concludere che la mia malattia è in realtà spasmodico e represso desiderio di giocare ai dottori? Chissà; di certo si sa che un dottore sa sempre dove mettere le mani...