L’insostenibile lentezza dell’essere
Quando si è aperto il sipario, il palco sembrava un quadro di Vermeer: una grande natura morta con esseri umani. Due finestre in prospettiva a sinistra, una porta sul fondo, ovunque oggetti senza vita animati dalle passioni dei personaggi, come nel "Geografo". Già questo dice molto sul lavoro certosino di Castri, formatosi su Pirandello e Ibsen prima d’approdare a Goldoni. La sua versione de "Gl’innamorati" è un’opera d’arte studiata nei minimi dettagli: alcuni (i costumi del Settecento, la pittura rinascimentale e secentesca) sono goldoniani; altri sono aggiunti per moltiplicare il testo, come l’imponente specchio sulla destra.
Chi ha notato la comparsata di "Eine kleine Nachtmusik", composta da Mozart ben dopo il 1759, l’anno degli "Innamorati"? Quel motivo è un messaggio cifrato: l’epoca dei nobili, tra cui il decaduto Fabrizio, s’arrende al secolo dei Lumi (artificio usato anche da Kubrick con l’anacronistico Schubert di "Barry Lindon"). Numerose le spie disseminate in tre ore di spettacolo: Succianespole si diletta alla spinetta, uno strumento già obsoleto nel ’700 e antenato del clavicembalo; il conte deve sorbirsi una collezione di croste, pessime imitazioni di Tiziano ed altri… anche il buongusto è in declino.
Punto forte e suggestivo è il rapporto oggetti-attori in un "dentro" allestito sul palco e un "fuori" evocato dai rumori di Milano: carrozze, vento, cani, temporali. Le finestre sono ponti che gli innamorati spalancano e chiudono durante le crisi come vie di fuga, specchi dell’anima. Castri lavora sugli attori "dal di dentro", fa vivere in loro i personaggi. Ne abbiamo avuto conferma all’incontro con la compagnia e Antonia Dalpiaz. Ecco la tenerezza di Flamminia, le capocciate di Fulgenzio, Eugenia che tortura la spinetta, il monologo all’unisono degli amanti e soprattutto la Lisetta di Stefania Felicioli: studia la padrona da freudiana con tanto d’occhialetti e vocina biascicata; commenta persino una copia de "Gl’innamorati" trovata per caso. Psicanalisi e metateatro.
Non crediamo, com’è stato detto, che Castri abbia appesantito una trama senza storia fatta di sentimenti. I continui capricci, le paci, i silenzi estenuanti sono il cuore della commedia; la lentezza dell’azione è piuttosto una velocità "normale". Certo il pubblico è assuefatto a ritmi hollywoodiani, da TV, che distorcono la percezione della realtà e le emozioni prima ancora del teatro che le rappresenta. Ma i trentini, in alcune serate, si sono comportati abbastanza bene, tanto che la Valgoi li ha definiti i migliori coi bresciani e i torinesi. Speriamo che sia vero e che la tournée, come merita, chiuda in bellezza il 25 febbraio.