Socci? Sòcmel!
Mi ricordo che un paio di anni fa Giuliano Ferrara a Otto e mezzo lo aveva presentato come valente giornalista e uomo di cultura dell’area cattolica. Io ‘sto valente giornalista e uomo di cultura non lo avevo mai sentito nominare ma da allora, folgorato sulla via di Ferrara, ne ho seguito il fenomeno evolutivo.
Socci entra in RAI per condurre programmi di dibattito politico. Fa pochi ascolti, la critica televisiva lo stronca o lo snobba. Ma lui procede imperterrito. Gli affidano palinsesti sempre più importanti e posti di responsabiltà. Ora è tutto chiaro: il valente giornalista e uomo di cultura è stato designato dalla coalizione politica vincente a fare quello per cui la precedente coalizione politica vincente aveva designato Santoro: l’araldo della coalizione politica vincente.
Io gli araldi non so bene cosa siano, ma comunque mi stanno antipatici. Mi stava antipatico Santoro perché puoi essere schierato, ma non puoi sistematicamente sogghignare ogniqualvolta stai intervistando un uomo politico della parte avversa. Sarai pure di sinistra, ma non fai giornalismo corretto. E Socci? Socci ha uno stile diverso rispetto al suo rivale defenestrato. Pare più imparziale e, se ogni tanto sbotta, la sua sottile balbuzie condita di accento toscano lo rende un inconsapevole emulo di Benigni. Però, dopo aver seguito un pezzo di Excalibur, l’ultima sua trasmissione, (dico "pezzo" perché trovo umanamente impossibile seguirla per intero), l’unica immagine che vi affiora alla mente è quella della spadaccina della sigla che fa roteare nell’aria la sua Katana. Fendenti a vuoto, una serie di sciabolate di cui non si capisce bene il senso. Ecco il giornalista Socci.
Ma mi interessa più il Socci uomo di cultura. Scusate se nel Rondò mi ostino a insistere, come un vecchio rincoglionito, che anche la storia della musica fa parte della cultura universale. Un patrimonio che un acculturato come Socci dovrebbe condividere con pochi eletti. Eppure nella trasmissione del 3 maggio, parlando dell’Unione Europea, se ne è uscito più o meno così: "…l’inno europeo, cioè il tema della nona sinfonia di Bach…"
All’uomo di cultura, potremmo far notare che:
1. l’autore della Nona sinfonia non è Bach bensì Beethoven e il tema dell’Inno alla gioia è forse il brano più noto di tutta la musica occidentale.
2. La lontananza epocale e stilistica tra Bach e Beethoven è paragonabile a quella che intercorre tra Giotto e Leonardo, Dante e Ariosto, Gershwin e i Beatles. L’espressione di Socci avrebbe un equivalente nelle arti figurative in: La Gioconda di Giotto; nella letteratura in: l’Orlando Furioso di Dante; nella musica yè-yè in: Let it be è di Gershwin.
Il problema è sempre lo stesso: se la cantonata Socci l’avesse presa in un qualsiasi altro campo oltre a quelli già citati (storico: Bismark scatena la seconda guerra mondiale; sportivo: Schumi, eroe della Mc Laren; epico: Moana di Troia… che divertimento, non mi fermerei più), probabilmente il cameraman avrebbe fatto vacillare l’immagine, qualcuno degli ospiti si sarebbe messo a ridere, Blob e Striscia avrebbero impietosamente riproposto la scena… Invece niente. Perché?
Perché in Italia l’ignoranza sulla musica è endemica e abissale. La musica è fondamentalmente solo canzonetta, un prodotto commerciale, effimero, non cultura. E infatti la nostra scuola non considera la storia della musica tra le materie di insegnamento. Nessun dottore nel suo curriculum scolastico (a meno che non sia professore di Conservatorio) si è mai imbattuto in Bach, Beethoven, Mozart. A differenza dei suoi colleghi austriaci, tedeschi, inglesi (ed ora anche ungheresi e polacchi)… che l’Inno alla gioia lo conoscono perché a scuola ne hanno sentito parlare e forse lo hanno pure cantato nel coro dell’istituto.
Quando pensiamo all’integrazione europea dedichiamo un pensierino anche a questo minuscolo ma non indifferente dettaglio educativo che rende meno sensibili molti di noi (italiani, uomini di cultura) a condividere con i nostri cugini confederati la colonna sonora che ha accompagnato la nostra comune storia.