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QT n. 6, giugno 2011 Cover story

Referendum: come e perché

Quattro sì per una società più partecipata, equa, sicura. Contro le caste, i privilegi e l’indifferenza verso i beni collettivi.

I referendum del 12 e 13 giugno dovevano rivestire un chiaro significato di sfiducia nei confronti del governo Berlusconi. Questo nelle esplicite intenzioni dei promotori, che avevano salutato con favore l’accorpamento di quesiti abbastanza diversi, dal nucleare, alla gestione dell’acqua, al legittimo impedimento. Ma anche nei timori dello stesso governo, che si è dimostrato terrorizzato dall’idea di doversi confrontare su terreni sdrucciolevoli, anzi impopolari; ed ha fatto di tutto, ma proprio tutto, per impedirne o depotenziarne lo svolgimento: negare l’accorpamento con le amministrative del 15 maggio (e quindi buttando al vento 300 milioni di euro); approvare leggine furbette, che sospendendo temporaneamente i provvedimenti (come la costruzione di centrali nucleari) oggetto di referendum, sperando di evitare il pronunciamento popolare.

Mentre scriviamo non sappiamo se la Corte di Cassazione avallerà quest’ultima degradante trovata. Pensiamo comunque che proprio questo accanimento nel voler impedire il pronunciamento debba fornire un motivo in più per spingere al voto i tanti che in Italia vogliono voltar pagina, come dimostrato nelle recenti amministrative.

Infatti i quesiti referendari riguardano alcuni temi centrali in quella che, secondo noi giustamente, viene definita “cultura degli anni ‘80” e di cui il berlusconismo è grande parte ma non esaustiva: la cultura del privilegio e dell’esaltazione dell’interesse individuale a scapito del - disprezzato - interesse collettivo.

Così è, platealmente, per il legittimo impedimento, in cui si pone il vertice della casta, il Presidente del Consiglio, al di sopra di tutte le istituzioni e di tutti i cittadini. Ma così è anche per il nucleare, con il disprezzo che esso comporta da una parte per gli immani rischi cui si espone la collettività, dall’altra verso forme di produzione energetica non solo compatibili, ma decentrate. Il risparmio energetico e il comportano una visione partecipata e responsabilizzante della società, dove ognuno è spinto a migliorare la propria abitazione, ad acquistare vetture più parche; al contrario il nucleare implica una visione fortemente centralizzata e autoritaria, una supertecnologia (e conseguenti profitti) concentrata in pochissime mani, il pericolo incombente dell’incidente o dell’attentato che autorizzano segretezze e militarizzazioni.

Analogo discorso infine per l’acqua, bene comune per eccellenza, la cui privatizzazione ha prodotto effetti pesantemente negativi già misurabili in diverse realtà. Ma ha anche innescato un processo sociale pernicioso, già oggetto di approfonditi studi (vedi “I servizi pubblici locali nella prospettiva economico-aziendale” di Giuseppe Grossi e Riccardo Mussari): la costituzione di ricche società parapubbliche che in situazione di monopolio gestiscono il bene comune con criteri propri. Gestite da personale in varie maniere proveniente dalla casta politica, diventano di fatto del tutto indipendenti dalle istituzioni che formalmente le possiedono, eludono le patetiche autorità di controllo, si trasformano in spa, espropriano i cittadini di risorse fondamentali.

Non è forse ora di fermare questa deriva? Questa la posta in gioco nei referendum.