Poveri, noi
Specchio di un’Italia pregressa Marco Revelli, Torino, Einaudi, 2010, pp. 127, euro 10.
In questo saggio Revelli collega note vicende di cronaca con dati statistici; con questo metodo, con obiettività, senza pretendere di dare soluzioni ai problemi del Paese, riesce a creare un quadro complessivo del sistema economico e sociale italiano vivido, preciso, umano. Il maggior contributo al testo viene dalle indagini svolte dalla Commissione d’indagine sull’esclusione sociale, di cui Revelli è stato presidente dal 2007 al 2010, che diversamente da quanto solitamente accade, non sono punto di partenza su cui creare le proprie tesi, ma il punto d’arrivo dell’analisi. Ed è proprio in questo aspetto che “Poveri, noi” risulta un testo differente dai soliti saggi di approfondimento: nella capacità dell’autore di analizzare prima la realtà sociale, sondare gli umori della collettività, e poi tentare di instaurare un rapporto consequenziale con i dati a disposizione. Grazie a questa tecnica Revelli fa indossare a ciascun lettore gli occhiali della diottria a lui necessaria per riuscire a vedere che cosa sta succedendo nel nostro Paese, a scorgere la povertà in ogni sua declinazione, anche nascosta, anche inaspettata.
In particolar modo, egli evidenzia un nuovo tipo di povertà, quella “morale”, in cui il cittadino si trova per la prima volta a competere non tanto per risalire verso una classe sociale più alta e migliorare il proprio status, ma per emergere dalla massa indistinta, affossando in ogni modo il più debole. Dal modello a bòtte (ceto medio numericamente prevalente) siamo passati ad una particolare clessidra con una base (i poveri) larghissima e una cima (i ricchi) ristretta, in cui il passaggio diventa impossibile e la polarizzazione ricco/povero è a livelli estremi. E l’analisi è puntata proprio su quest’enorme popolazione alla base della piramide, che benché abbia continuato a lavorare e vivere come ha sempre fatto, negli ultimissimi anni si è ritrovata più povera, e si sente delusa ed ingannata.
In particolar modo, l’autore dimostra come la situazione economica del nostro Paese sia nella realtà totalmente opposta a quella che pseudo telegiornali e statistiche ben manovrate vogliono farci credere, e soprattutto come l’Italia sia oggi uno dei Paesi che investe meno non solo in innovazione e ricerca, ma specialmente nella formazione dei suoi operai e nel loro potere d’acquisto. Una “modernizzazione regressiva”, di cui pochi sembrano accorgersi e che nel giro di pochi anni non solo rischia di portare la nazione ad essere surclassata dalle potenze emergenti, ma di farla ritornare a quello stato di arretratezza che ci distingueva dal resto d’Europa ancora 150 anni fa.