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Working Class Zero

La retorica del precariato

Che le stagioni teatrali siano ormai giunte al termine lo dimostrano la scarsa affluenza di pubblico e anche la scarsa qualità degli spettacoli. Le due cose si sono manifestate assieme in occasione di “Working Class Zero”, visto al teatro Cuminetti lo scorso 15 aprile, penultimo appuntamento in calendario della rassegna TrentoOltre del Centro Santa Chiara.

In scena due giovani attori, Laura Formenti e Cristian Stelluti, per la Compagnia degli equilibristi, che porta in scena un testo originale sui giovani d’oggi, sul lavoro precario e dintorni. Va detto subito che la letteratura teatrale sull’argomento è già enorme, sia a livello di teatro di narrazione (da Ascanio Celestini in giù), fino al cosiddetto teatro sperimentale e d’avanguardia. Basti citare un nome come quello di Babilonia Teatri, presenza costante nelle ultime edizioni di Drodesera, che ha aperto un’autostrada nel raccontare il nord-est, le sue contraddizioni e il suo impatto sul mondo giovanile.

Al confronto, il lavoro visto al Cuminetti non può che trascolorare. Ma anche preso per quello che è, il gioco regge poco. Lo è già fastidiosa nella vita di tutti i giorni, ma se poi la retorica sale in prima persona su un palcoscenico, e per di più per raccontare un tema così trito, difficile tirarne fuori qualcosa di buono. “Working class zero” ha parecchi peccati di gioventù, dagli attori fino alle scelte registiche. Ma quello che non regge, come spesso accade nel teatro contemporaneo, è la drammaturgia: il precariato giovanile è una cosa troppo seria per essere banalizzata. L’alternativa è dissacrarla (Celestini) oppure farne a pezzi proprio la retorica (Babilonia Teatri). Nel mezzo, tutto il resto.

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