Palestre di culto
Era inevitabile che accadesse. Appena la Giunta comunale di Trento ha stabilito di concedere l’uso alternato di due palestre (Vela e Gardolo) alla comunità islamica per la preghiera del venerdì, la Lega Nord ha sollevato un vespaio. Per quattro motivi.
Primo: perché la scelta della giunta è arrivata quasi all’improvviso, senza che nella recente campagna elettorale il candidato sindaco Andreatta si fosse sbilanciato al riguardo. Bene ha fatto la Lega a rinfacciare la pusillanimità del sindaco, che invece avrebbe dovuto dettare chiaramente la sua linea politica, senza timori di inseguire (in silenzio) la destra, in cerca di qualche manciata di voti, risultata inutile per la sua elezione.
Secondo: perché la moschea toglierebbe spazio alle associazioni sportive che il venerdì utilizzano le palestre. Anche in questo caso l’attacco alla giunta è giustificato, ma per un ragionamento opposto rispetto a quello leghista: non è assegnando in via temporanea e precaria due palestre che si risponde al bisogno della ampia comunità islamica trentina di avere un luogo di culto (come garantito dalla Costituzione), ma cercando di trovare, con l’intervento diretto degli stessi musulmani, un luogo stabile e definitivo.
Terzo: perché la moschea sarebbe il paravento per attività illecite che nulla avrebbero a che vedere con la religione. Il senatore Divina si spinge addirittura a fornire delle cifre (improvvisate lì per lì, tanto per gradire): la moschea rappresenterebbe solo per il 20% un luogo di culto, mentre per il restante 80% sarebbe utilizzate per altri scopi, a volte illegali. In questo caso la posizione leghista mostra tutta la sua fragilità. Quelle cifre a cosa si riferiscono? Forse che su 10 ore di frequentazione della moschea, 2 sono dedicate alla preghiera e 8 ad altro? E in cosa consiste quell’ “altro”? Crimini? E quali di preciso? Come sempre la politica della paura portata avanti dal Carroccio si limita ad insinuare, a gettare fango e scatenare paure irrazionali, senza un briciolo di serietà d’analisi e di corrispondenza alla realtà.
Quarto: perché nelle moschee si farebbe politica. L’ultima motivazione fa sorridere. Perché se il far politica in un luogo di culto fosse una giustificazione valida per chiudere il luogo stesso, allora i sindaci e i prefetti dovrebbero intervenire innanzi tutto contro le chiese cattoliche che dalla nascita della repubblica in avanti non hanno lesinato prediche altamente “politiche”, se non addirittura “partitiche”. In occasione del referendum sulla fecondazione assistita pochi anni fa la Chiesa ha fatto politica strada per strada, chiesa per chiesa. Perché nessuno ha sbarrato il sagrato, in quell’occasione?
In realtà la questione è più sottile. Se da un lato c’è il rischio che la società si desecolarizzi, tornando preda degli isterismi religiosi, dall’altro non è chiudendo i luoghi di culto che si può reagire, bensì garantendo il diritto di ciascuno a professare la propria religione in un sistema plurale e democratico, al cui vertice stia il rispetto della Costituzione. E non quella fantomatica Tradizione, cui la Lega si aggrappa nel tentativo di raccogliere voti e disseminare paure e sospetti.