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C’è peccatore e peccatore

Welby

Chi non ricorda la cassa di Piergiorgio Welby sul piazzale, fuori della chiesa chiusa, sbarrata? Lì è rimasta a lungo, sola, nel vento freddo. Inutilmente la moglie, credente, ha bussato alla porta della parrocchia. Non era degno di un funerale religioso perché aveva detto basta ad una non-vita, ad una interminabile dolorosa agonia. Un suicida in peccato mortale. Ora, nella mia città, un finanziere uccide la moglie, la suocera e si uccide. Per lui, pluriomicida e suicida, quella porta si è aperta e si sono tenuti regolarmente i funerali religiosi. Con tutta l’umana pietà per questa tragedia familiare, non si può non chiedersi il perché di questa differenza di trattamento.

La Chiesa presume di parlare e decidere nel nome di Dio, ma la divinità non è capricciosa. E non condanna una persona, un capro espiatorio, perché vuole condannare un principio, quello dell’autodeterminazione di fronte all’accanimento terapeutico. Riteniamo, religiosamente, che abbia la stessa infinita misericordia per tutti gli uomini che soffrono o che sbagliano.

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