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QT n. 3, 9 febbraio 2008 Monitor

Ogni lasciata è persa

Veramente un peccato perdere il convincente "Andrea Chénier" messo in scena al Teatro Sociale di Trento (regista Paul-Emile Fourny del Teatro dell'Opera di Nizza). Eppure in sala le poltrone vuote non mancavano...

Ogni lasciata è persa. Parliamo delle opere liriche, naturalmente. Quando il recensore scrive, a posteriori, spesso è troppo tardi per raccogliere il suggerimento di assistere allo spettacolo di cui egli scrive. Tutt’al più insorge nel lettore (lettrice) una specie di senso di colpa, per non esser stato/a presente, e forse si genera in lui/lei un buon proposito per la prossima volta, col rischio che non sia quella buona.

Elena Zelenskaja

Insomma, l’"Andrea Chénier" di Umberto Giordano (1867-1948), lettrice/lettore, te lo sei perso. E’ così rara la lirica a Trento – due/tre opere intere all’anno, oltre a sporadiche opere-concerto e/o opere ridotte – che dovrebbe valer la pena accogliere tutte le proposte del Centro S. Chiara.

Questo capolavoro di Giordano, risalente agli ultimi anni del XIX secolo (prima: Milano, Teatro alla Scala, 28 marzo 1896) meritava, almeno domenica 3 febbraio, un Teatro Sociale gremito fino all’ultima poltrona. Così non è stato, chissà perché. Forse i prezzi non aiutano (platea e palchi centrali 54 euro, palchi laterali 48-28, loggione 28); ma per vedere e ascoltare dal vivo i cantautori – Vecchioni, De Gregori, Britti, Nannini, D’Alessio) prossimamente si spenderanno dai 28 ai 40 euro). Forse la lirica non interessa più di tanto, specialmente ai giovani; domenica, infatti, tra il pubblico predominavano le chiome brizzolate.

Consideriamo l’"Andrea Chénier". La storia narrata da Luigi Illica si svolge all’epoca della Rivoluzione Francese, intricata abbastanza da rendere difficile una comprensione approfondita dei riferimenti storici.

Gianluca Zampieri

Il linguaggio dei libretti, come si sa, non è dei più amabili, nonostante l’ausilio delle soprascritte, che distolgono peraltro continuamente l’attenzione degli spettatori dall’azione sul palco. Fortunatamente c’è la musica di Giordano, radicata nel XIX secolo quanto tangibilmente ormai protesa nel XX. E non si può dire che non meriti il successo riportato nei suoi 112 anni di vita. Ma se la messa in scena si avvale di un regista come Paul-Émile Fourny (sovrintendente e direttore artistico del Teatro dell’Opera di Nizza dal 2001), di un direttore come Gianluca Martinenghi, delle efficaci e suggestive scenografie di Poppi Ranchetti, dei costumi originali dell’Opéra di Nizza..., si può dire che le prospettive sono promettenti. Infatti, il cast della seconda serata non ha sfigurato, al contrario: si è meritato applausi a scena aperta, spontanei, generosi e convinti, a dimostrazione di un non scontato coinvolgimento del pubblico nella rappresentazione di quest’opera dai toni forti.

Essa è infatti improntata, analogamente al 99% delle altre opere liriche, al binomio amore-morte, suggellata com’è dalla scelta finale di Maddalena (l’azeirbagiana Elena Zelenskaja), aristocratica travolta dalla Rivoluzione, che sceglie di morire a fianco del suo amato poeta Andrea Chénier (il tonante Gianluca Zampieri, da Venezia). Sullo sfondo, le smanie di riscatto e di giustizia sociale, ottenebrate da amore e gelosia, incarnate in Gérard (l’ottimo ed egualmente acclamato Dimitri Platanias) e nell’armonico vociare del Popolo (il Coro del Teatro Sociale di Rovigo).

Insomma, una festa per occhi e orecchie, per nulla guastata dalla spensierata immagine finale di Silvia Balistreri (apprezzabile Bersi, in scena), artista dall’eclettico curriculum, che si godeva gli applausi sul palco, masticando vistosamente un meritato chewing-gum. Ormai si vede di tutto, nei teatri e fuori, perché scandalizzarsene?

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