Consigliere di opposizione: un mestiere inutile?
Gli sconfortanti bilanci nei comuni della val di Fiemme.
In Trentino i cittadini più attenti rimangono sbigottiti nell’osservare la leggerezza con la quale il Consiglio Regionale cancella dall’agenda dei lavori l’emergenza democrazia nei comuni: non solo abbiamo più di sessanta municipi privi di opposizione, ma dove questa è presente per lo più si è adagiata, rassegnata ad attendere la conclusione della legislatura. In alcuni casi, dove grazie a singole individualità rimane alto il valore della dignità del consigliere, si viene costretti ad accentuare solo l’aspetto del conflitto: sedute di consigli comunali abbandonate, toni forti e totale assenza di un momento propositivo. Quest’ultimo aspetto non è responsabilità dei consiglieri, ma delle regole costruite dal legislatore regionale in questi ultimi anni, regole che di fatto impediscono al consigliere di minoranza ogni agibilità e rapporto con i vari uffici comunali, che impediscono l’aspetto propositivo ed impediscono perfino il compito principale dell’opposizione, il dovere del controllo sugli atti amministrativi.
La discussione sul bilancio preventivo è l’unica occasione che rimane ad un consigliere di minoranza per affrontare l’insieme di un progetto amministrativo diverso: non è possibile, neanche su aspetti secondari, modificare la struttura o qualche obiettivo del bilancio.
La tornata amministrativa in valle di Fiemme è stata, ad essere benevoli, deprimente. In alcuni comuni, nei comuni- polvere, tutto è filato liscio, soffermandosi su chiarimenti riguardanti asfaltature stradali, arredi urbani o la sistemazione di un marciapiede. In quelli importanti, invece, ormai prevale la rassegnazione.
Certo, le minoranze elencano parte del loro progetto alternativo, vedi Tesero o Predazzo, ma il tutto rimane inserito in uno stanco rituale, in un gioco delle parti che non appassiona e coinvolge più nessuno.
Un primo dato unisce questi comuni: nonostante le dichiarazioni di Dellai sull’obiettivo strategico del partito territoriale è evidente come questi comuni, tutti, siano privi di autonomia decisionale. Ogni sindaco attende le decisioni dell’assessore provinciale di turno, per vedere se finanzia o meno un’opera; è costretto a ripetere da anni bilanci in fotocopia che si rileggono e strutturano con la stanca liturgia del copia-incolla, costruiti su progetti di massima (i libri dei sogni citati a Predazzo) perché si rimane in attesa dei finanziamenti della Provincia.
Un secondo aspetto ancora più preoccupante riguarda la totale assenza di una lettura dei problemi veri della valle. Si scaldano gli animi sull’innevamento artificiale della pista della Marcialonga (fra tutti i comuni viene stanziato quasi un milione di euro) o per l’ampliamento di qualche area sciabile. Sulla mobilità, sulle questioni scolastiche, sulle politiche energetiche, sulle prospettive del turismo di montagna, le politiche culturali, invece, ognuno segue logiche proprie e cerca di assecondare i voleri del corpo elettorale al quale crede di dover rispondere. Non c’è anima, non c’è passione civile.
I progetti condivisi fra più comuni, come viabilità o assistenza all’infanzia, si arenano nelle sabbie burocratiche, in quanto nessun amministratore li eleva a rango di priorità. Nella discussione sui bilanci non una parola viene dedicata al tema del lavoro (e questo in una valle dove certo non c’è disoccupazione, ma trionfano la precarietà e l’offerta di prestazioni a basso profilo professionale), non un accenno alle politiche per la salute, all’assistenza o alle politiche scolastiche.
Una perla la troviamo a Carano, il comune che ha realizzato il più importante impianto provinciale di produzione di energia fotovoltaica in zona Calvello. In pochi anni questo impianto avrebbe dovuto venire ammortizzato dei costi di costruzione e funzionamento e avrebbe potuto fornire energia a basso prezzo ai suoi cittadini. Le cose sono andate ben diversamente: infatti il sindaco, non avendo concordato e contrattato la realizzazione con il Servizio energia della Provincia, in assenza dei previsti contributi, si trova a dover ammortizzare il costo dell’opera in tempi lunghissimi, quindici anni se tutto andrà bene, con tempi che cadranno proprio nell’imminenza di dover ristrutturare l’impianto dovendo investire ulteriori risorse economiche.
In una simile situazione era pura utopia pensare ad un confronto che arrivasse solo a sfiorare le ormai prossime comunità di valle. I sindaci di Fiemme-Fassa, in gran segreto e fra non trascurabili tensioni, stanno discutendo dei prossimi statuti delle comunità, del loro avvio. Ma non una parola dell’argomento è rimbalzata nei consigli comunali. E’ questo un segnale che dimostra come il progetto riformista dei territori trentini imposto dalla Margherita si riveli fallimentare, una caricatura degli attuali comprensori, un progetto per nulla sentito e vissuto dai territori.
Il capolavoro del degrado democratico delle nostre municipalità è comunque stato costruito a Cavalese, grazie all’inventiva del sindaco Walter Cappelletto che ormai in più occasioni ha dimostrato la sua assoluta incapacità di sostenere il confronto con opinioni diverse dalle sue o da chi lo regge, di rispettare i diversi ruoli interni alle istituzioni.
Dopo oltre un’ora di stucchevole e ragionieristica presentazione del suo bilancio, visto che aveva la parola, come ha dichiarato di suo, ha approfittato dell’ingenuità di un consigliere di opposizione che aveva lasciato agli atti la sua relazione di minoranza. Negandogli il diritto di illustrare preventivamente il documento, si è permesso di criticarlo con un sarcasmo che più volte è scivolato nel puerile. Oltre venti minuti di inutile a aggressivo intervento e si è ritrovato con le minoranze costrette ad abbandonare l’aula e ad evitare, perché offese, ogni confronto sul bilancio.
Anche nel bilancio di Cavalese si trovano poi gli stessi limiti riscontrati negli altri grandi centri della valle: bilancio fotocopia, gonfiato da realizzazioni lontane nel tempo e da presunte alienazioni di beni come terreni ed edifici, assenza di obiettivi strategici che riguardino la qualità del vivere o della cultura. In pratica, un bilancio di sopravvivenza, basato sull’ordinaria amministrazione e che raccoglie dalla Provincia qualche sollecitazione, specie sul tema del risparmio energetico. Dimostrando poi, su questo tema, un’assoluta incapacità progettuale.
Il mese di dicembre ha così dimostrato ancora una volta la fragilità, l’inconsistenza della democrazia nei nostri comuni. Se non si riescono a mantenere percorsi corretti all’interno di una istituzione, immaginiamoci poi come questi amministratori possano ampliare il loro raggio ed investire nella democrazia partecipata, nella costruzione di bilanci più condivisi, o almeno compresi dai cittadini.
Circa due anni fa il Consorzio dei Comuni Trentini, su sollecitazione dei presidenti dei consigli comunali di Trento (Pattini) e Cavalese (Zini), avevano promosso un interessante convegno che aveva messo in evidenza molti dei limiti qui presentati. Ottenuto il riconoscimento della indennità ai presidenti, tutto è ricaduto nella palude: i contenuti emersi sono ormai evaporati e le promesse dei due consiglieri sono destinate a rimanere indirizzi privi di ogni concretezza ed azione. La distanza del cittadino dalla politica non cresce solo a livello nazionale, ma anche nei nostri comuni. E nel caso nostro le responsabilità ricadono tutte sul sistema istituzionale voluto e creato dalla Margherita trentina, da Dellai in prima persona.
Lo si va ripetendo ormai da anni: 223 comuni in una realtà come quella provinciale sono una follia, la negazione della democrazia, la negazione dei diritti dei cittadini.