In favore di Previti una sentenza stupefacente
La Cassazione e il processo SME.
Adducendo la incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, la Corte di Cassazione, la sentenza è di questi giorni, ha trasferito il processo SME (dove erano stati condannati in primo e secondo grado imputati eccellenti di cui non ripeto i nomi tanto sono noti) a Perugia, condannandolo a morte certa, come scrive Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica dei 10 dicembre, dopo undici anni di processo e due sentenze di condanna.
La motivazione della Cassazione è contorta, e contraddice se stessa (16 aprile 1996) e perfino le Sezioni Unite, che considerarono Milano la sede competente.
Come ha osservato il prof. Franco Cordero, la procedura penale è molto chiara sul punto. C’è una regola generale (articolo 8) secondo cui la competenza territoriale è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato . A questo criterio si sono attenuti nel caso SME durante undici anni la Procura, il GIP, il GUP, il Tribunale, la Corte di Appello, la Cassazione (16 aprile 1996), la Cassazione a Sezioni Unite (28 gennaio 2003). Con la nuova sentenza, pur riportando come non contestati i fatti oggetto delle precedenti condanne, la Cassazione, ai fini della competenza, dà la massima importanza ai pagamenti della corruzione giudiziaria avvenuti su conti esteri, e ne indica le date, l’importo, il nome del conto, la sede bancaria, scoprendo che l’ultimo è avvenuto all’estero. Può anche darsi (non conosco le carte), ma ciò non cambia nulla, perché l’accordo delittuoso non si è certo concluso oltre confine. In ogni caso se l’ultimo pagamento è avvenuto all’estero, la competenza, quando non può essere determinata dalla residenza, dalla dimora o dal domicilio degli imputati, l’articolo 9 al suo comma terzo stabilisce che spetta al giudice del luogo dove ha sede l’ufficio del Pubblico Minsitero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo335, cioè Milano !
Non si capisce come alla Cassazione sia sfuggita questa norma. Franco Cordero ricorda malinconicamente la questione “come decidere quando le possibili ipotesi sono più o meno equiprobabili? “ discussa da Leibniz nella “Dissertatio de casibus perplexis”, e da Ludovico antonio Muratori nei “Difetti della giurisprudenza”, e conclude che “sono sempre esistiti i cosiddetti ‘casus pro amico’, così aperti che lo iudex gratifica chi vuole”.
Che si tratti davvero di un caso del genere ?
Stento a crederci, anche se probabilmente è la verità. In ogni caso è indubitabile che la certezza del diritto è rimasta ancora una volta un mito infranto.