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QT n. 21, 9 dicembre 2006 Servizi

Le rivelazioni dell’ingegnere

Il “marcio in Comune”: retroscena, conseguenze e insegnamenti della debacle di Pacher e Andreatta. E la stolta lettura “politicista” di una ribellione al malgoverno. Intanto l’ex presidente della Commissione edilizia dice la sua, e così scopriamo che...

A Palazzo Thun è cambiato tutto. Quando in Consiglio Comunale si votavano gli emendamenti che “stralciavano dalla variante”, cioè bocciavano tre proposte della Giunta Pacher (ulteriori cementificazioni sull’Argentario e a Gardolo e un peloso baratto con la concessionaria automobilistica AutoIn), si sentiva la tensione nell’aria. E il silenzio, gelido, di chi ancora, vincitore o vinto, non riesce a capire appieno le conseguenze e ne è comunque impressionato, accoglieva le due (su tre) bocciature della Giunta.

Così il sindaco Pacher, eletto con il 70%, ma testardamente avvinghiato al suo assessore all’Urbanistica Alessandro Andreatta, si vedeva crollare un consenso in città e un’egemonia in Consiglio che sembravano a prova di bomba. Come mai tutto questo?

Le letture che ne hanno dato vari commentatori ci sembrano fuorvianti. E solo emotiva e al contempo politicante quella che ne dà lo stesso Pacher. Vediamo la situazione e facciamo il punto.

Dicevamo dell’egemonia di Pacher, e di Andreatta. L’assessore all’Urbanistica (vedi Trento, urbanistica e clientela in QT del 16 settembre), sfruttando le debolezze (e le voglie di piccola clientela) del centro-destra, era riuscito a costruire attorno alla sua variante un consenso generale. Con un metodo discutibilissimo, ma fortemente condiviso con l’opposizione (affamata di briciole di potere), aveva impostato il percorso delle “osservazioni” come un momento di accoglimento di ulteriori, frammentate domande di edificazione. Ne era uscito un mostriciattolo urbanistico-giuridico che però, a parte qualche mugugno in Trento Democratica (la formazione di sinistra, teoricamente facente capo al sindaco), aveva il pregio, tutto doroteo, di avere accontentato tanti, clienti e lobbysti.

Tanto per rendere l’idea: alla riunione dei capigruppo in cui si doveva predisporre l’iter in aula del provvedimento, le opposizioni stavano concordando di limitare consistentemente gli interventi, per non perdere tempo su un’approvazione del tutto scontata.

E invece il patatrac, innescato dal nostro servizio sul “Marcio nel Comune”, ma che si innestava su un malcontento già emerso nelle circoscrizioni (che alla variante avevano votato contro, o si erano astenute, o avevano approvato con mille distinguo); e soprattutto su una convinzione diffusa tra i cittadini: che l’amministrazione non è in grado – o addirittura non vuole – disciplinare i palazzinari, che in una maniera o l’altra hanno sempre via libera nel costruire, a prescindere da tutela del paesaggio e vivibilità urbana.

I consiglieri comunali, fiutata l’aria che tirava, decidevano di adeguarsi. Le opposizioni (non tutte) cominciavano ad opporsi, con interventi non collusi; e diversi consiglieri di Trento Democratica rialzavano la testa, esigendo dal sindaco (finora con scarsi risultati) spiegazioni sul “marcio”; e rifiutandosi di continuare ad avallare i “compromessi”, cioè le scelte clientelari più dirompenti.

Ma il colpo decisivo veniva proprio dalla Margherita, il partito dell’assessore; vista l’aria, i consiglieri margheritini si rifiutavano di votare i provvedimenti vivacemente osteggiati dalla popolazione, segnatamente gli abitanti di Gardolo, che grazie ad un’iniziativa di Andreatta si vedevano trasformato l’ultimo spazio verde nel solito ammasso di cemento, ai bordi di una stradina già congestionata. E così, quando su un ordine del giorno di Trento Democratica teso a bloccare tali schifezze, appoggiato dalle minoranze, erano proprio i consiglieri della Margherita a chiedere il voto segreto, era chiaro che tutta la costruzione di Andreatta stava per essere delegittimata. E così buona parte della maggioranza, l’opposizione, la stampa, i cittadini nei bar, ne festeggiavano l’affossamento.

Il sindaco Pacher

Da tutto questo il sindaco sembra non imparare alcunché. Per lui il problema non consiste nell’errore di aver impostato una politica urbanistica inadeguata, anzi, rovinosa e quindi impopolare; bensì nella “scarsa tenuta della maggioranza”. Siamo al politichese, anzi all’”autonomia della politica”, come si diceva un tempo: una distorsione mentale secondo cui non conta la concreta azione di governo, non conta niente la città, la sua vivibilità; contano solo i rapporti di potere tra forze politiche; per cui dei consiglieri di maggioranza ed opposizione che votano assieme, in sintonia con le richieste del 95% della città, sono un’aberrazione, un tradimento, “andrà fatta una seria verifica politica”. E infatti Pacher tenta di fare la “seria verifica” e riunisce i suoi consiglieri; che però lo mandano a quel paese: “Alberto, così non va”.

A illuminare la scena, invero di una luce fosca, ci pensa alcuni giorni dopo, sulla prima pagina del Trentino, un intervento di Rino Sbop, della cui gravità i distratti consiglieri comunali non ci sembra abbiano avuto contezza. L’ing. Sbop, che scrive in qualità di ex presidente della Commissione edilizia, è tutt’altro che uno sprovveduto (chi scrive ne fu compagno di studi all’Università): è stato massimo dirigente dell’Itea e, negli anni ’80, segretario provinciale del Pci, e i meccanismi tanto della politica quanto del mondo dell’edilizia li conosce alla perfezione (nei progetti dei Ds doveva essere assessore all’Urbanistica quando sindaco era Dellai, ma questi non volle proprio sentirne parlare, preferendogli l’ammanicatissimo e docile Sergio Niccolini, con i noti risultati).

Dunque Sbop, da bravo funzionario pubblico, scrive in difesa dei suoi colleghi, gli architetti Codolo e Penasa degli Uffici tecnici del Comune, pesantemente accusati da QT di essere i responsabili più immediati del “marcio”, e dal consigliere comunale Nicola Salvati, che in aula li ha definiti “killer della collina”.

Solo che le argomentazioni prodotte da Sbop sono gravissime: “La ‘cattiva’ edificazione della collina (ma non solo) avviene secondo il principio del ‘diritto ad edificare’; è passata cioè l’interpretazione interessata di avvocati e legali, supportati da qualche sentenza, che autorizza il costruttore a realizzare il massimo di cubatura teorica ammessa senza vincoli di tipologia, o idoneità della viabilità.” Non contento, Sbop conclude con una sentenza tombale: “Il Comune di Trento, adeguandosi a questa tesi, ha praticamente rinunciato a governare la qualità del costruire”.

Insomma, per l’ing. Sbop, presidente della Commissione edilizia, il fatto che si tengano chiuse in un cassetto le parti del Prg che limitano le altezze, e che comunque subordinano l’edificazione a tutta una serie di condizioni tese a garantire la vivibilità della città, è una cosa normale. Nella prassi del Comune di Trento, l’unica norma che vale è quella che stabilisce la massima cubatura ammessa, che automaticamente diventa cubatura da garantire a qualsiasi costo; tutte le altre norme non contano.

L’assessore Andreatta

Con queste parole, che riteniamo dovrebbero essere verificate dalla magistratura, si salvano – forse, ma dubitiamo – gli architetti degli Uffici. Sono però una chiamata in correo per tutti: assessori all’urbanistica, membri delle commissioni urbanistica ed edilizia. Non riteniamo si possa impunemente decidere che certe norme siano da stracciare.

Ma più che un discorso giudiziario (anche se ci risulta che molti cittadini, sull’onda delle nostre rivelazioni, si apprestano a intentare cause) è il discorso politico che viene aperto dalle dolenti rivelazioni/confessioni di Rino Sbop. Il Comune – afferma l’ingegnere - ha sistematicamente disatteso le proprie stesse norme, ha solo badato a consentire, sempre e comunque, la massima edificabilità. Ha costruito un regime di illegittimità per poter permettere la massima redditività alle imprese immobiliari, infischiandosene delle esigenze della città.

A questo punto è chiara una cosa: tutti i discorsi sull’urbanistica, la qualità urbana, le consulenze al pianificatore di grido, i dibattiti “culturali” sullo sviluppo della città, sono solo fumo negli occhi. Le norme che ne conseguiranno andranno diritte nei cestini degli Uffici.

Vogliamo vederli, i consiglieri comunali al prossimo dibattito sull’urbanistica, contendere su questo o quell’aspetto della pianificazione, sapendo (ormai) che è tutta una finta. Diciamolo pure, una pagliacciata.

Il punto è che ora a queste conclusioni è arrivata anche la cittadinanza; che sembra stufa di vedersi ammannire grandi progetti e grandi discorsi, e poi trovarsi la città crescere nel disordine.

Alcuni consiglieri comunali sembrano averlo capito. Il sindaco invece, no.

E d’accordo, è tutt’altro che semplice ribaltare un andazzo consolidato da decenni, e da interessi fortissimi, ammanicati con la politica a diversi livelli. Ma a questo punto riteniamo che anche una brava persona come il sindaco Pacher abbia solo una scelta: o rompere il meccanismo perverso, o essere nei fatti complice.

E io mi dimetto

Forse il maggiore sfregio della “variante Andreatta” ai principi che lo stesso Comune si è posto è stata la localizzazione di un’area artigianale in una zona verde incontaminata. La cosa, al termine di un contrastato iter, è passata. Ma non in maniera indolore: riportiamo qui le motivazioni delle conseguenti dimissioni dalla Circoscrizione del Consigliere Vincenzo Calì.

Il sottoscritto Vincenzo Calì, nella ferma convinzione di avere condotto con linearità e coerenza la battaglia per porre un freno alla cementificazione collinare, preso atto che sia il Consiglio Circoscrizionale che il Consiglio comunale di Trento hanno convenuto di introdurre in seconda adozione della variante al Piano Regolatore l’edificazione di via dell’Albera (ciò in contrasto con le indicazioni del Piano Urbanistico Provinciale che indicano l’area alle pendici del monte Argentario come agricola pregiata), rassegna le dimissioni dal Consiglio Circoscrizionale dell’Argentario. Il superamento di quella linea di confine, definita invalicabile dai due ultimi Presidenti della Commissione PRG Bitteleri e Dalla Fior, avvenuta in concomitanza con il proliferare di costruzioni in atto e in previsione (via dei Castori e Missioni Africane), suona come un serio campanello d’allarme: è legittimo dubitare della capacità di esprimere pareri sui processi di pianificazione territoriale da parte di un organismo elettivo a così stretto contatto con corposi interessi privati.

A questo declino delle Circoscrizioni, aggravato dalla recente improvvida scelta della monetizzazione delle cariche, non intendo partecipare, convinto come sono che questi organismi erano nati 25 anni fa con l’intento di realizzare un di più e non un di meno di partecipazione responsabile rispetto ai vecchi Comitati di quartiere.

Vincenzo Calì