Abbondanza-Bertoni, o della tragedia quotidiana
La compagnia di Michele Abbondanza, con la drammaticità di "Polis", ultimo atto della trilogia classica sul sacrificio, e l'apertura alla speranza di "Try", chiude un ciclo e ne apre un altro, entrambi all'insegna dell'intensità emotiva.
La compagnia nata dal sodalizio artistico tra Michele Abbondanza e Antonella Bertoni è sicuramente tra le formazioni più rappresentative della scena del teatro-danza nazionale, molto amata anche a livello locale grazie alle immancabili apparizioni nelle più importanti rassegne regionali, in primis Drodesera e Oriente Occidente. La collaborazione di Michele Abbondanza con il festival Drodesera - favorita probabilmente dalle origini rivane del coreografo- comincia nel 1989 con la produzione dello spettacolo La Notte degli inganni e prosegue con la creazione di altri tre lavori: Terramara (1991), Pabbaja (1994) e Spartacus (1995). Quest’ultimo anno segna un momento di svolta nella carriera artistica dei due ballerini che, dopo la fugace ma significativa apparizione nel film di Bernardo Bertolucci Io ballo da sola, decidono di concretizzare il loro lavoro di coppia con la fondazione della Compagnia Abbondanza/Bertoni (Associazione Trentina Formazione Produzione Danza e Spettacolo). Dal 1997 comincia anche la collaborazione con il festival Oriente Occidente, dove viene presentato Mozart Strasse, spettacolo di strada con musiche eseguite dal vivo.
La compagnia sceglie dunque, nonostante i numerosi impegni a livello nazionale ed europeo, di radicarsi ancora più profondamente nel territorio trentino, alternando alle fasi di creazione anche un’intensa attività di formazione e insegnamento, connotata da un profondo impegno etico - e quasi eroico - per la promozione della danza contemporanea. Stupisce infatti l’enorme capacità di attrazione esercitata da una forma di teatro-danza diventata nel tempo sempre più estrema e drammatica, di cui sfugge forse ai più il significato profondo ma alla quale tutti vogliono egualmente partecipare. Grande successo di pubblico hanno riscosso anche le ultime due produzioni della compagnia, a cui gli spettatori trentini hanno potuto assistere a distanza ravvicinata la scorsa settimana: pubblico di abbonati e di fedelissimi al Teatro Sociale di Trento per Polis (già presentato nell’edizione 2005 di Oriente Occidente) e pubblico più giovane e ‘alternativo’ al Teatro la Cartiera di Rovereto per Try (nuova creazione 2006).
Polis conclude la trilogia di spettacoli dedicati al tema del sacrificio per amore, progetto che porta il titolo Ho male all’altro e che si è precedentemente concretizzato in una rielaborazione in chiave attuale della tragedia classica, grazie alla messa in scena delle esistenze tormentate di Alcesti e di Medea. In Polis il sacrificio non riguarda un singolo personaggio, bensì un intero popolo e, nonostante l’ispirazione provenga sempre dal mondo della tragedia antica, non sono riconoscibili in questo caso vicende paradigmatiche: le forme del mito si legano così in maniera indissolubile ai drammi dell’uomo contemporaneo, allo stesso tempo vittima e carnefice di se stesso.
Lo spettacolo comincia con l’improvvisa entrata in scena di Michele Abbondanza che, a luci ancora accese, appare sul palco sistemando gli ultimi particolari tecnici prima del vero inizio; il look è un po’ da generale e un po’ da burattinaio e sarà effettivamente lui a muovere i fili dell’azione scenica, controllando tutto (dalla musica, alla narrazione, alla posizione dei danzatori) con fare da vero e proprio deus ex machina. Centro della ‘città’ è un cubo di legno, rifugio totemico della comunità disgregata di Polis, le cui assi vengono scardinate e riassemblate, trasformandosi infine in una scialuppa che, dopo il sacrificio, offre in extremis un barlume di speranza. L’effetto generale è comunque estremamente drammatico e riesce difficile allo spettatore riconoscersi nell’umanità macchiettistica che si muove sul palcoscenico, agitata da incontrollabili impulsi frenetici o, al contrario, congelata in pose statiche e alienanti. Non ci sono mediazioni sociali che tengano e l’essere umano è messo a nudo - nel senso più letterale del termine - nella sua desolante idiozia. Anche le frasi lapidarie pronunciate dal coreografo-burattinaio (ricavate dagli scritti del filosofo Michelstaedter) non offrono alcuna consolazione all’osservatore ma, al contrario, accentuano l’insensatezza del suo vivere quotidiano: “Ci muoviamo come se gli altri non esistessero…Ci cerchiamo come particelle capaci di permeare lo spazio della nostra micidiale nullità”.
Solo una figura emerge da questo scenario desolante, in una danza sfrenata e discinta sulle note del Dies Irae di Verdi: si tratta ovviamente di Antonella Bertoni e solo per lei si intravede una possibilità di salvezza, un’assoluzione che si compie appieno nell’assolo Try. Anche in quest’ultima intensa creazione, la tensione è palpabile in ogni istante e in ogni angolo di una scena spoglia e silenziosa, ma si risolve inaspettatamente con un finale colmo di speranza e di ironia, che segna forse per la coppia l’inizio di una nuova fase creativa.