Una Campana stonata
Patetici e insopportabili i fascisti con le loro odiose nostalgie alla Campana dei Caduti di Rovereto. Ma anche ridicoli e irritanti gli anarchici che vorrebbero giocare alla guerriglia.
"Se oggi voi avete scelto di riunirvi qui, allora il messaggio di Maria Dolens vi ha toccato. Siete i benvenuti e io vi esorto a lasciare la via della violenza, dell’odio, del rancore". Così Alberto Robol, reggente della Fondazione Opera Campana dei Caduti, si è rivolto speranzoso agli antichi repubblichini e ai loro giovani simpatizzanti radunati davanti alla Campana. Ed ecco alcune delle considerazioni di questi ultimi in tema di pacificazione degli animi e ripensamento del passato: "Ricordo ancora l’emozione del 1936 quando ci fu l’annuncio della conquista di Addis Abeba: a piazza Venezia si respirava una gioia collettiva che ci faceva sentire veramente un popolo. Ora non siamo più una nazione…".
Il ventennio "fu l’epoca in cui si toccò il punto più alto dell’unità nazionale e il nostro Stato arrivò sul tetto del mondo. La guerra fu necessaria per fermare il comunismo".
"E’ ora di finirla di fare disinformazione sulla storia d’Italia… onorare la memoria dei tanti caduti durante una guerra che li ha visti schierati dalla parte giusta,in difesa dell’Italia e dei suoi ideali".
"Sa cos’è stato il 25 aprile? Ne ha un’idea? Fu terribile…"
"I giovani dovranno capire che la parentesi… aperta il 25 aprile 1945 si dovrà chiudere presto, riconoscendo la verità e la validità del nostro modello di spirito e di pensiero".
E se non bastasse, "Mussolini è stato il primo al mondo a debellare la Tbc".
Pochi saluti romani, va bene, nessun eccesso, per fortuna, ma sulle magliette i giovani esibivano scritte significative: "L’eternità del mito si incarna nella lotta"; "Nessuno ha potuto fermarci, nessuno ci fermerà"; e soprattutto, il più esaustivo: "Difendi il tuo simile, distruggi il resto".
Eppure il camerata Piergiorgio Plotegher ha osato ripetere che obiettivo della manifestazione era quello di "ricordare i morti e mettere da parte odi immotivati"!
Sul Corriere del Trentino, Sandra Dorigotti commenta: "La gente che ha partecipato alla manifestazione, nonostante siano passati 60 anni, non è ancora disposta a mettere in discussione niente. Sono ancora capaci di ricordare la conquista coloniale di Addis Abeba come un fatto da celebrare ed esaltare". E Pietro Monti, predecessore di Robol, le fa eco: "Il sentimento di rivincita che mi pare sia uscito dall’adunata non mi pare sia nel segno dello spirito di Maria Dolens… Le teste rasate sullo sfondo della Campana non erano esattamente un bel vedere". Un giudizio che gli vale, da parte del solito Plotegher, l’accusa di essersi "messo in coda al corteo degli anarcoricchi… impegnati nella consueta crociata contro il nemico, il fascismo, che non c’è più da 60 anni". Il fascismo a Dio piacendo no, ma i fascisti sì!
Ma Alberto Robol non s’è accorto di niente: "E’ stato un momento di presa di coscienza. – insiste a dire - Si è aperta… una fase interessante… Questo è un avvio, un inizio".
Ciò significa dunque che l’appuntamento si ripeterà negli anni a venire? Macché! "La Campana suona per tutti – precisa Robol - ma l’idea di un appuntamento annuale mi trova contrario". Chi ci capisce è bravo.
E il corteo antifascista che voleva impedire ad ogni costo il raduno? "E’ stato pacifico" – riassume sbrigativamente il Trentino, commentando che "la vittoria maggiore è stata quella di riunire le diverse anime dell’antifascismo in una manifestazione che non ha trasceso i limiti. E ha saputo unire dagli anarchici alla Tana, a Rifondazione".
Vittoria di chi? Forse degli anarchici che sono riusciti a egemonizzare l’evento, non certo dell’antifascismo, che è qualcosa di più serio di una compilation di anarchici, disobbedienti e un pizzico di Rifondazione.
Qualche cattiveria, ma anche qualche verosimiglianza in più nella cronaca dell’Adige, con gli insulti ai poliziotti, gli slogan sullo "Stato di polizia", i petardi contro il Tribunale e tutta la paccottiglia di circostanza. Irresistibile la puntuale cronaca dello scorrazzare del corteo attraverso una città che pensa ad altro, nel consueto gioco a rimpiattino coi poliziotti. "Alla fine di via Mazzini, Massimo Passamani ha dato l’ordine ai suoi di svoltare verso via Stoppani", fino a corso Rosmini, dove si stava svolgendo un torneo di pallavolo all’aperto. Presso il bar Posta alcuni immigrati "guardavano con disincanto i manifestanti che scandivano slogan del tipo ‘Siamo tutti clandestini’. Uno, un macedone, diceva: ‘E allora noi che siamo a posto con i permessi? Perché questi difendono i clandestini?’" Rispetto alla città, insomma, "un distacco completo e infastidito".
Infine, davanti al Risto 3, che avrebbe dovuto dar da mangiare ai repubblichini (che invece sono andati a pranzo a Valeggio) il bollettino della vittoria del generale Passamani "Qui (i fascisti, n.d.r.) non ci sono, e questa la possiamo considerare una vittoria della nostra mobilitazione".
Tradotto in slogan: "I fasci non vanno cibati ma appesi" ; ovverosia, "Dieci, cento, mille foibe".
Se lo scopo era ridicolizzare e sputtanare l’antifascismo, missione compiuta.