Svp, doppio gioco
Una proposta di Cossiga mette in luce le ambiguità della SVP. Che, come partito etnico, ha sempre bisogno del "nemico", e del vago ricatto dell'autodeterminazione.
Perché quando l’ex-presidente della Repubblica, Cossiga, grande amico del Sudtirolo (un’amicizia dimostrata in tempi difficili) deposita in parlamento una proposta di esercizio di autodeterminazione, la SVP parla di "provocazione"?
Meno di due mesi fa 113 sindaci e vicesindaci, spinti dal segretario politico della SVP nonché vicesindaco di Bolzano, avevano firmato una petizione rivolta al Nationalrat di Vienna e consegnata allo pseudo-amico della minoranza sudtirolese Andreas Kohl, in cui si chiedeva che nella riformata Legge fondamentale austriaca venisse dichiarato il diritto all’autodeterminazione dell’Alto Adige (vedi La petizione). A chi mostrava meraviglia o tacciasse di impudenza gli iniziatori di questa strana cosa, veniva rivolta la solita generica accusa di nazionalismo o fascismo (qualche volta, in realtà, in queste materie fondata). Qualcuno ha chiesto: l’Austria metterà in Costituzione anche l’autodeterminazione di parte dell’Ungheria e forse la Germania potrà decidere se riprendersi l’Austria?
Di "provocazione" naturalmente ha parlato l’estrema destra italiana. E la sinistra italiana al potere nelle istituzioni e nei giornali locali si è richiamata all’accordo Degasperi-Gruber, come alternativa storica all’autodeterminazione, tralasciando di ricordare che, quando l’accordo di Parigi fu firmato, la popolazione di lingua tedesca chiedeva - poco importa se a torto o con poca ragione - la ricongiunzione all’Austria. La verità è che per molto tempo la questione sudtirolese è stata giocata anche in modo piuttosto esplicito, su due binari paralleli: la trattativa con lo Stato per costruire l’autonomia e il lavorio per portare avanti la possibilità di autodeterminazione. Ciò è stato permesso dalla stessa forma di partito, di raccolta, non solo sociale, ma anche ideologica.
Fondarono il partito i Dableiber antinazisti, ma dietro di loro c’erano gli optanti, che nel 1957 cacciarono la vecchia guardia e presero il potere. Nel 1969 vinse la proposta di autonomia del "pacchetto", ma a portarla avanti furono Benedikter e Brugger (padre), che erano francamente contrari; nel 1991 Riz e Magnago riuscirono a chiudere la vertenza e chi li seguì alla guida del partito inventò l’Euroregione secessionista. Qui sta la forza del partito, in cui c’è posto per - quasi - tutto. Con un solo punto debole: serve sempre un "nemico".
La proposta di Cossiga, pur nella sua forma un po’ sgangherata (votano solo i cittadini e le cittadine di lingua tedesca, perfino le opzioni furono più "liberali" e ammisero il voto degli italiani autoctoni; si sceglie fra Italia, Austria, Germania, o uno stato libero del Sudtirolo) ha il merito di avere messo a nudo, sia pure per un paio di giorni, la doppiezza della politica della SVP. "Cossiga vuole dividerci" si è detto. Ma come?
E quei 113 su 116 di qualche settimana fa non chiedevano proprio questo? Se si vuole l’autodeterminazione perché chiedere che sia l’Austria a farsene carico e non il parlamento italiano?
L’ambiguità del partito etnico nel corso della storia trovava giustificazione nella storica inaffidabilità dello Stato italiano. Tuttavia oggi la faccenda si presenta in modo del tutto differente: chiusa infatti la questione di fronte all’ONU nel 1992, l’autonomia è un’alternativa storica all’autodeterminazione. La riproposizione dell’autodeterminazione come opzione reale da parte della SVP costituisce un pesante segnale di sfiducia nel sistema autonomista e un incitamento alla perenne mobilitazione di segno etnico. Gli attuali dirigenti della SVP non pensano affatto a riunirsi all’Austria e hanno accantonato anche altre ipotesi come quella dell’Europa Region secessionista, ma non riescono a uscire dal ruolo tradizionale, incapaci di farsi carico come partito di maggioranza della responsabilità del bene di tutti gli abitanti e incapaci di pensare un futuro senza conflitto etnico. L’autodeterminazione è strumento di potere: la sua riproposizione serve a ricattare i governi e a rendere insicuri gli altri gruppi linguistici conviventi minacciandoli di sfratto. La proposta di Cossiga ha svelato questo segreto di Pulcinella.
Arnold Tribus sulla Tageszeitung si augura che si faccia il referendum, e si dice sicuro che questa volta vinceranno i Dableiber. Forse ha ragione. E forse no: anche nel 1939 sembrava improbabile una scelta in massa verso il Reich.
Cossiga, l’amico del Sudtirolo, si è offeso. Forse non aveva capito prima. Dopo certamente sì. La sua reazione è emozionata, ma umanamente comprensibile: a nessuno dei parlamentari SVP né tanto meno al presidente della giunta è venuto in mente di parlargli. Hanno preferito dileggiarlo pubblicamente.
Non si trattano così gli amici. La SVP è "trans": grandi affari con grandi opere inutili e dannose, toponomastica monolingue, fucili veri agli Schützen, ecco il programma dei prossimi mesi. Con l’arroganza di chi sa di non avere avversari e di chi sa gettare chi non "serve".