Brecht e il “coraggio” di essere madre
Ottime musiche scenografia, regia, interpretazione della "Madre Coraggio" rivisitata da Marco Sciaccaluga per il Teatro di Genova. Gli unici appunti: alla pur brava Mariangela Melato.
Brecht: il mostro sacro, insieme a pochi altri, del teatro. Per affrontarlo "ci vuole tanto, troppo coraggio"; oltre a una bravura parimenti mostruosa. Dopo aver visto la rilettura, fedele e infedele, di Marco Sciaccaluga possiamo dire che la sfida è stata vinta sotto molti aspetti. Le musiche innanzitutto che, partendo dalla colonna originale di Paul Dessau, acquistano un sound più moderno ed orecchiabile ma senza tradire lo spirito di Brecht. Azzeccata e coinvolgente la scelta dell’esecuzione dal vivo, con un’orchestrina che il maestro avrebbe di sicuro apprezzato. L’espediente, infatti, è servito a smussare l’epicità decadente delle scene, aiutato in questo dalle facce di contadini, cuochi, cappellani che difficilmente riempiono i manuali di storia.
Ed è appunto la scenografia l’altro pezzo forte dell’allestimento. La stessa platea è divenuta uno scenario, campo di battaglia o, meglio, di imboscate. Tanto che in alcune occasioni è venuta a mancare la parete immaginaria che divide pubblico ed attori; vedendo i soldati al nostro fianco, è venuto spontaneo schierarci con o contro di loro, accettarne o meno le ragioni, le regole ferree e precise del loro universo. Davanti a noi un teatro barocco bombardato, che ricordava insieme il Seicento e il Novecento, ogni secolo… perché ogni secolo ha conosciuto la guerra. Che fosse dei Trent’anni o Mondiale poco importa. La "sola igiene del mondo" quasi mai è giusta, quasi mai, nella sua demagogia, difende gli interessi dei più deboli. Il suo effetto, togliendo qualche ritocco ai confini degli stati, è piuttosto dare il colpo di grazia a un consorzio umano lacerato fra chi è sempre più ricco e chi sempre più povero già in tempo di pace.
Il drammaturgo tedesco, e sulla sua onda Sciaccaluga e lo scenografo Langhoff (degno allievo di Brecht), ci mostrano ogni aspetto di quella che in fondo è la continua guerra dei poveri. Speculazione, opportunismo, vigliaccheria, corruzione… la vita, se così si può chiamare, di chi si barcamena fra leggi assurde che valgono oggi ma non domani, magari arruolandosi, barattando cianfrusaglie e generi di prima necessità, oppure pregando, il che, per chi non ha una lira, equivale a rassegnarsi. Ma l’occhio si sofferma anche sui barlumi di dignità che toccano questi "straccioni", uomini e donne capaci, nel loro piccolo, di grandi gesti eroici che forse nessuno ricorderà. Ma che a teatro possiamo rivivere, con altri nomi e altre date.
Ognuno, nella pièce, impara una lezione diversa, dal cappellano al cuoco fino al giovane contadino. Solo Madre Courage rifiuta qualunque insegnamento, ostinata nel suo vano tentativo di trasformare i conflitti in affari. E’ la Pace la sua vera grande nemica, un nome da pronunciare con paura e con disprezzo. Proprio come fanno gli ufficiali secondo i quali la guerra mette ordine e permette persino di fare i censimenti di ogni cosa, persone comprese. Più che coraggio, la loro è cecità.
Ma veniamo finalmente al terzo elemento dello spettacolo, che non a caso abbiamo lasciato per ultimo: la compagnia di attori. Davvero ottima, quale difficilmente si vede accanto ad un grande nome come quello di Mariangela Melato. Fra tutti, protagonista a parte, spiccano Arianna Comes (la figlia muta Kattrin), Frédérique Loliée (la prostituta Yvette) e Miodrag Krivocapic (il cuoco Peter). Gli altri, un gradino più in basso, non sfigurano affatto. Ciò che più ci ha colpito è la naturalezza con cui indossavano i propri personaggi, rendendoli autentici pur nella finzione; in poche parole, simili a noi. Persino la loro nazionalità - c’erano serbi, italiani e francesi - ha in qualche modo composto l’affresco di un’Europa un tempo divisa ed oggi unita, se non a Strasburgo almeno sopra un palco.
Un discorso a parte va fatto invece proprio per Mariangela Melato, che ha dato tutta se stessa per essere una perfetta Madre Courage e regalarci momenti davvero intensi. Talvolta, però, è parsa sopra o sotto le righe, forse per il semplice fatto che Anne Fierling, una delle figure più malinconiche del teatro brechtiano, contrasta con la solarità dell’attrice. Il personaggio è risultato perciò sbilanciato: più forte che fragile, più cinico che rassegnato. Ci spiace che in alcuni passaggi la Melato abbia sbagliato le dosi, ma si tratta in fondo d’un peccato veniale che le perdoniamo con più difficoltà proprio perché conosciamo la sua bravura, il suo impegno, il suo talento "mostruoso" per riprendere da dove eravamo partiti. Ma la sua, in ogni caso, resta una splendida interpretazione che ha lasciato un retrogusto amaro solo per via delle nostre (altissime) aspettative. Così come resta il suo coraggio nell’aver accettato e portato degnamente sulle spalle una parte che molte attrici avrebbero rifiutato.