A proposito di “libertà eguale”
Posto che non sono né sciocco né illuso (almeno presumo), avevo capito da un pezzo che il mio amico Gigi Olivieri si candiderà alle regionali di novembre, così come conferma il "fido" Paolo Gasperi ai giornali.
Nulla di strano in ciò, Gigi è dall’88 che mira a piazza Dante, e forse ce la farà, perché, come dice la canzone, "uno su mille ce la fa". Se questo pone dei problemi nel collegio in cui Olivieri è stato rieletto (anche con il mio voto), solo nemmeno due anni fa, chi se ne frega; in Parlamento ci manderemo qualcuno che si è comprato la casa a Roma, tanto così per unire l’utile al dilettevole, o il suo competitore di allora. E le regole? I cittadini elettori? Solo numeri da contare?
E’ questa un’impostazione che non condivido e che anzi mi fa venire più di un mal di pancia. Questa "libertà uguale" in cui alla fine uno è sempre più uguale di un altro non mi convince. In base alla legge elettorale, un sindaco di un Comune sopra i 5.000 abitanti (che voglia candidare) deve dimettersi, in quanto considerato, giustamente, ineleggibile: non può abbandonare il presidio del suo territorio e bla bla discettando come si fece cinque anni fa. Invece deputati, senatori e tanti altri sono solo incompatibili (art. 17 legge sull’elezione del Presidente e del Consiglio provinciali), risultato questo di quell’orribile pastrocchio che è la nuova legge elettorale, voluta in fretta e furia per evitare quella norma transitoria, che tanto piaceva ad Olivieri.
E’ questa la semplificazione della politica? La trasparenza? Il conflitto d’interessi, nei casi di elezioni in Trentino, non esiste? E’ normale che gli eletti mantengano comunque le loro professioni e facciano i politici a tempo pieno? Perché allora, a novembre, non candidiamo tutta la pattuglia di deputati e senatori che a Roma fanno solo i peones? Non solo: qualcuno fa anche danni in commissione, come chi ora propone di modificare la legge sull’immunità parlamentare e la Carta costituzionale. Oltre ad una diaria più alta, si vedrebbero garantiti anche prebende e vitalizi maggiori, considerato che non dovrebbero andare a Roma tutte le settimane. A Roma, mandiamoci qualcuno della quota in rosa di diritto, così, tanto per cambiare aria.
Questi di Libertà Eguale dicono anche che il nuovo soggetto politico deve formarsi prima sulle regole e poi, a maggioranza, anche sul programma. Geniale, solo a dei politici di mestiere può venire una tale idea. E se il Gigi non sarà eletto? Pazienza, continuerà il su e giù da Roma.
C’è un che di surreale in tutto ciò. Ma il gruppo di Libertà Eguale, se ho ben capito, è quello che mira a correggere, temperare, moderare (e magari governare) gli effetti catastrofici del modo di produzione del capitale maturo (oggi chiamato semplicemente liberismo) senza incidere di un’unghia sulla crudeltà delle nuove forme di globalizzazione monetaria e merceologica e sottraendosi ad una critica radicale del modo di produzione stesso, praticandone l’accoglimento e lasciandolo sussistere come condizione originaria (cioè eterna), come disegno trascendente, come il migliore dei mondi possibili.
Sposare questo metodo della "ibertà eguale" che riprende una formula nata con l’Illuminismo francese, nel Trentino del terzo millennio, a me, del popolo di sinistra, sembra una ben architettata castroneria; non solo per il termine quasi ossimorico, e leggermente assurdo, ma per quel che ne consegue: qualità dello sviluppo, consapevolezza del limite, equità nella redistribuzione, diritti politici e civili (lavoro e salute), i valori e la solidarietà, la pace, solo per citare alcune idee cardine che contrastano con i modelli cari a Libertà Eguale e al suo leader. Ma di questo parleremo più avanti; per ora a Trento, a Trento, tutti alla ricerca di un posto nelle sale di quello che fu l’hotel Imperiale.