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QT n. 19, 9 novembre 2002 Servizi

Due laghi da curare

Un incontro per risolvere i mali che affliggono i laghi di Toblino e Santa Massenza.

I laghi di Santa Massenza e Toblino hanno perso le loro caratteristiche naturali da quando incominciarono a ricevere le acque gelide e limacciose del sistema idroelettrico Sarca-lago di Molveno. Non bisogna rassegnarsi ed accettare che a tale situazione non si possa porre rimedio. Mentre questo giornale è in edicola, oggi, a Trento, presso la Presidenza del Consiglio Provinciale, nella Sala Aurora di Palazzo Trentini, ne discutono alcuni esperti. Base della discussione sarà l’idea proposta nella tesi di laurea, dal titolo: "La riqualificazione ed il restauro territoriale della Valle dei Laghi e di Cavedine" degli architetti Michele Bortoli e Gabriele Venturini. La tesi, attraverso un’ampia ricerca sullo stato ambientale della Valle dei Laghi, propone un progetto per ridare ai due bacini l’antico splendore.

Il lago di Santa Massenza.

Come? Scaricando direttamente le acque turbinate dalla centrale dell’Enel di Santa Massenza, tramite un by-pass, nel torrente Rimone, il corso d’acqua a valle del lago di Toblino.

"Da quando, nel 1952, entrarono in funzione i sistemi di derivazione dell’acqua dall’alto bacino del Sarca e la centrale di S. Massenza, - si afferma nella tesi di laurea - i due splendidi laghi di S. Massenza e di Toblino, che nei secoli avevano ispirato narratori e poeti, non sono più gli stessi. Una simile triste sorte l’hanno subita anche il lago di Molveno, un tempo perla delle Dolomiti di Brenta, e il lago di Cavedine".

I laghi di Toblino e di S. Massenza si trovano al centro di un importante sistema di produzione idroelettrica che utilizza le acque del Sarca, raccolte nel lago di Molveno, trasformato a sua volta in un serbatoio idroelettrico. Le acque vengono poi fatte passare per le turbine della centrale idroelettrica di S. Massenza, che le scarica, poi, nel lago omonimo. Il flusso discontinuo d’acqua di origine glaciale e il forte incremento della velocità di ricambio d’acqua nei due laghi provocano uno scarso e semplificato sviluppo del plancton, cioè di quegli organismi microscopici (alghe unicellulari, crostacei microscopici, ecc.) che costituirebbero la base della catena alimentare. L’acqua introdotta artificialmente nei piccoli laghi è anche molto diversa da quella che naturalmente vi confluiva grazie all’apporto di alcuni rivi locali. L’acqua proveniente da Molveno è fredda, per cui la temperatura massima estiva del lago di Toblino raggiunge raramente i 16 gradi, mentre prima della costruzione della centrale poteva superare i 25.

Anche il colore dell’acqua è cambiato. Le tonalità grigiastre, che hanno sostituito l’originario colore verde, sono dovute all’elevata quantità di limo glaciale sottilissimo trasportato dentro il lago attraverso le opere di presa idrica, che si trovano molto vicine all’origine del Sarca. Il limo ha provocato la riduzione e la semplificazione del plancton, alterando alla base la catena alimentare; di conseguenza, anche i pesci (tinca, luccio, anguilla, alborella, ecc.) spesso non hanno più avuto fonti sufficienti di alimentazione e, soprattutto, hanno perso la possibilità di completare il ciclo biologico all’interno del lago.

La tesi di laurea di Bortoli e Venturini, dopo una lunga analisi sui fattori ambientali, storici ed economici che hanno influito sull’ecosistema dei bacini di S.Massenza e Toblino, passa all’elenco degli interventi necessari per rinaturalizzare la zona.

La proposta più forte è sicuramente quella di deviare lo scarico nel lago di S. Massenza e di Toblino delle acque prelevate dal lago di Molveno per la centrale idroelettrica. In sintesi, si ipotizza di deviare in una condotta subacquea le acque fredde trasferendole, quindi, direttamente nel Rimone I.

Il lago di Toblino.

"Questa soluzione", affermano i due architetti,"permetterebbe di ripristinare, almeno in parte, la situazione climatico-ambientale precedente alla costruzione della centrale sia nel Lago di S. Massenza, sia nel Lago di Toblino. Il progetto prevede la realizzazione di due tubature in acciaio inox lunghe quasi 3 km del diametro di 3 metri ciascuna, da collocare a circa a un metro e mezzo dal pelo dell’acqua. In tal modo, le acque provenienti dalle turbine della centrale, responsabili dell’attuale forte alterazione ecologica e paesaggistica dei due laghi, verrebbero riversate direttamente all’imbocco del Rimone I, dove potrebbero essere stabilizzate attraverso una "vasca di calma".

La fattibilità ingegneristica della soluzione è stata verificata, in via assolutamente indicativa, con l’ing. Scotton, docente alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Trento, che ha visionato i calcoli per verificare le pendenze e i diametri delle tubazioni in acqua, necessari al trasporto a pelo libero di una portata d’acqua pari a 50 m3 al secondo.

Nel progetto, inoltre, sono stati studiati gli aspetti naturalistici per un ripristino morfologico del lago, con lo spostamento, in sede ambientalmente compatibile, delle centrali di trasformazione e degli interruttori dell’impianto di S. Massenza, nonché l’interramento degli elettrodotti."

Fra i relatori al convegno sono stati invitati anche l’ittiologo Lorenzo Betti, direttore della rivista "Il Pescatore trentino" e il chimico Flavio Corradini, ricercatore presso l’Istituto Agrario di San Michele, ai quali abbiamo chiesto qualche anticipazione. Betti è lieto che si affronti finalmente il problema dei due laghi; non è sicuro che la proposta tecnologica dei due architetti sia l’unica fattibile o la più risolutiva ma ben venga...

Anche Corradini non si esprime sulla fattibilità tecnica dei due architetti; prende atto che in ogni caso qualche ingegnere si era impegnato in tal senso. Comunque, conclude, è ora che si tenti qualcosa di concreto per cercare di rimediare al problema, che peraltro era già stato autorevolmente sollevato anni fa da Gino Tomasi, allora direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali, anche lui fra i relatori del convegno di Palazzo Trentini. All’incontro interverranno inoltre Giuseppe Gorfer, autore di libri sul Trentino, Francesco Dellagiacoma del Servizio Parchi della Provincia, l’assessore Roberto Pinter, e, ovviamente i due neolaureati Michele Bortoli e Gabriele Venturini.

Il convegno di Trento, negli intenti degli organizzatori, dovrebbe dare un’accelerata verso una soluzione del problema.