La Chiesa: un’ erogatrice di servizi?
Intervista al sociologo (ed ex-prete) Piergiorgio Rauzi.
Iginio Rogger è stato, per decenni, docente di Storia della Chiesa al Seminario di Trento, ma anche all’Università di Padova. Ha diretto l’Istituto di Scienze Religiose, presso l’Istituto Trentino di Cultura. Oggi, a più di ottant’anni, è una delle coscienze critiche della Chiesa trentina. Della sua recente intervista a l’Adige discutiamo con Pier Giorgio Rauzi, docente di Sociologia della Conoscenza all’Università, e direttore de L’Invito, una rivista che, ispirandosi al Concilio, segue con attenzione le trasformazioni del mondo cattolico.
La grave crisi della Chiesa trentina di oggi dipende, secondo mons.Rogger, dall’incapacità, o dalla mancanza di volontà, di realizzare le direttive del Concilio Vaticano II. Eppure la riforma liturgica (le celebrazioni in italiano e non in latino, il sacerdote e l’altare rivolti ai fedeli…), il coinvolgimento dei laici, la lettura della Bibbia, hanno fatto dei passi notevoli. Nel rapporto con le altre religioni si è diffuso l’ecumenismo. E’ stato abolito il culto del Simonino, che era stato per secoli il simbolo dell’antisemitismo. Quanto è riuscito, con il Concilio, lo sforzo della Chiesa di aprire un dialogo con quei "tempi moderni" che essa aveva combattuto in modo intransigente?
"Le denunce, e le accuse, di mons.Rogger rispetto all’attuale ‘governo’ della Chiesa trentina sono condivisibili. Ma non è con un atto di buona volontà che si risolvono questi problemi. Il clero trentino non era preparato a realizzare, nei suoi valori profondi, il Concilio, dove i vescovi italiani si erano schierati, in gran parte, con la minoranza conservatrice. Da allora sono passati quarant’anni, e a quel deficit di volontà si sono aggiunti altri cambiamenti, nella società e nella Chiesa. La secolarizzazione ha provocato in molti preti crisi d’identità, involuzione, chiusura, una perdita di motivazione rispetto al loro ruolo.
Nella società contemporanea la Chiesa è percepita come un’agenzia di servizio fra le tante, in una logica di mercato. Il Battesimo, la Prima Comunione, la Cresima non sono vissuti come segni di una progressiva assunzione di responsabilità in un cammino di fede, ma come feste utili in un percorso di socializzazione. La preoccupazione dei genitori non è che la catechesi sul sacramento, per i bambini e per gli adulti, sia fatta con impegno, ma che la data e l’ora della cerimonia garantiscano un comodo incontro con i parenti, la prenotazione del ristorante…Il tentativo, ad esempio, da parte di qualche parroco, di celebrare la Prima Comunione la sera del giovedì santo, per ricordare con la comunità parrocchiale l’ultima cena di Cristo, è stato respinto.
La Chiesa è incapace di sottrarsi a questa percezione di agenzia di servizio, che funziona secondo la logica della domanda e dell’offerta. Se lo facesse, oltre tutto, perderebbe le uniche occasioni di fare in qualche modo catechesi verso quei ‘cristiani anagrafici’ con i quali solo in queste occasioni riesce a stabilire un contatto. Dopo la Cresima, infatti, i ragazzi se ne vanno, come se scoprissero, finita la socializzazione, che la religione è inutile, una cosa da bambini".
Se la catechesi, dei bambini e degli adulti, si riduce a socializzazione in una logica di mercato, a chi spetta l’educazione etica?
"Storicamente la Chiesa ha assunto questo compito, ma la fede non è riducibile a etica. Molti genitori, che hanno abbandonato ogni rapporto con la fede, iscrivono i figli all’ora di religione, nella convinzione che spetti alla Chiesa insegnare che non si deve rubare e bestemmiare, e che si deve pagare le tasse e aiutare i poveri. Ma in una società secolarizzata la Chiesa sempre meno può essere fattore di coesione sociale: spetta a quei genitori, e alla società, tentare di insegnare a distinguere il bene dal male. La Chiesa ha altre testimonianze da dare".
Con il crescere dell’età, però, la secolarizzazione diventa sempre più visibile. I matrimoni civili tendono a superare quelli religiosi, anche nei paesi, non solo nelle città. E anche il responsabile diocesano della famiglia, don Sergio Nicolli, giudica la loro crescita come una scelta responsabile, che va favorita.
"Certo, il matrimonio civile è un fatto che inquieta la Chiesa, ma essa oggi lo accetta, lo propone a chi non crede nel sacramento. C’è, al momento del matrimonio, un tentativo di sottrarsi da parte della Chiesa alla funzione di pura agenzia di servizio, attraverso il corso obbligatorio per chi vuole accedere al sacramento. Ai corsi prematrimoniali partecipano coloro che credono nel sacramento, coloro che li ritengono comunque utili se svolti bene, coloro che ancora si sposano in chiesa per condizionamenti sociali (far contenti i genitori e i nonni, godere di una scenografia più attraente della sala comunale). Che la vita di coppia esiga una preparazione psicologica e sessuale, lo provano i corsi che si diffondono in ambito comunale. Da una ricerca nel comune di Trento, negli ultimi trent’anni, dopo la legge sul divorzio, sappiamo che la probabilità di riuscita è superiore del 20% nel matrimonio religioso rispetto a quello civile. La frequenza alla confessione è del resto inversamente proporzionale al diffondersi della psicoterapia. La modernità, e la secolarizzazione che ne è un aspetto, ha reso l’individuo più libero, ma anche più solo e insicuro".
La tesi di Paolo Prodi è che la Chiesa abbia svolto nella storia un’importante funzione di disciplinamento interiore, di coesione sociale. Con la secolarizzazione, e la conseguente crisi della Chiesa, è venuta a mancare proprio la dialettica fra peccato e reato, fra foro interno della coscienza e foro esterno del diritto, per cui il diritto è divenuto onnipresente. Ma la scomparsa del senso del peccato, e la moltiplicazione dei reati, sono il segno della crisi, non la risposta: la soluzione va ricercata nel recupero del dualismo fra i due poli, la Chiesa e lo Stato, di quella dialettica che è stata il respiro della civiltà occidentale, l’antidoto al totalitarismo.
"La ricostruzione storica di Prodi è interessante, ma oggi è difficile creare coesione attorno alla ‘civiltà occidentale’, che si qualifica come sede delle diseguaglianze sociali, dello sfruttamento nei confronti del Terzo Mondo, dell’istupidimento delle persone attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Soffriamo di alienazione e anomia: la violenza, anche fra i giovani, contro gli altri e contro se stessi, e l’altra sua faccia, la depressione, sono i sintomi della crisi profonda della modernità.
E’ di critica che abbiamo bisogno. Il Cristianesimo, nei momenti alti della sua storia, ha favorito il mutamento, è stato critica dell’assetto esistente, non certo in nome del disordine e dell’anarchia, ma della ricerca di un ordine nuovo, più giusto. Nella modernità, esauritosi il cristianesimo anagrafico di massa, va recuperato del Cristianesimo l’elemento profetico, il suo essere lievito".
Dopo la nascita e il matrimonio, il terzo tradizionale momento di presenza della Chiesa è quello della morte. Mi pare che qui, a differenza del matrimonio, la scelta del funerale religioso resista ancora.
"La società secolarizzata con maggiore fatica sa elaborare rituali capaci di far fronte ad eventi che accrescono l’angoscia, ed allora è inevitabile affidarsi ai riti codificati dalla religione. Forse solo in qualche funerale civile nell’esercito ho visto una scenografia solenne e consolatrice paragonabile a quella religiosa. Del resto, la stessa Chiesa, nel passaggio dall’universo simbolico premoderno, di prima del Concilio, a quello attuale, si trova in difficoltà. Oggi il Dio misericordioso, nelle letture, nei canti, nella omelia del sacerdote che celebra la messa di suffragio, ha cancellato il Dio giudice. La parola ‘giudizio’ non ricorre quasi più. Del passato, del Dies irae che terrorizza, non dobbiamo avere nostalgia, ma è ancora da fare l’elaborazione di un rito che sia anche ‘bilancio di vita’, in cui ognuno si interroga, di fronte alla salma del defunto, sulle modalità dello stare in comunità, e sulle ragioni che lo legano alle generazioni passate e a quelle future".
Ho saputo di un gruppo di amici, che con la Chiesa non hanno alcun rapporto, ma che hanno raccolto i denari per far celebrare le messe in suffragio della madre di uno di loro...
"E’ la concezione magica della religione che sopravvive".
L’intervista di mons.Rogger ha suscitato consensi, ma anche critiche, di preti e di laici, sul metodo di porre i problemi, prima ancora che sul merito.
"Sono quei cristiani che pensano che i panni sporchi si lavano in famiglia. Invece una riflessione pubblica, anche sulla stampa, sui problemi della modernità, è utile alla Chiesa, e alla società tutta. Ognuno ha diritto di intervenire.
E’ nel prendere atto, coraggiosamente, dello stato di cose presenti, che si possono individuare i rimedi. La scienza, sociologica e storica, fornisce elementi di conoscenza e di dibattito".
Quale può essere il contributo dei laici a una "riforma" della chiesa? La funzione dei laici, come correttivo alla clericalizzazione, è una delle novità più importanti dello stesso Concilio. E tuttavia, proprio in occasione della morte di don Valerio Piffer, abbiamo sentito, da parte di laici, criticarlo perché parlava come un sindacalista, un uomo di sinistra. Ci sono dei laici che protestano se il prete li sollecita a leggere essi le letture durante la messa. Altri, se il prete tenta di attualizzare il Vangelo collegandolo con i fatti successi in settimana, rispondono che, se ne hanno voglia, se li guardano in televisione.
"Se la Chiesa vuole dare testimonianza la darà soprattutto attraverso i laici, vista la caduta delle vocazioni, connessa al processo di secolarizzazione. Purtroppo, anche nei consigli parrocchiali, ci sono laici più clericali dei preti, che mettono in difficoltà il parroco, anche quando non è particolarmente illuminato".
Può dare qualche indicazione il sociologo?
"Il sociologo non dà indicazioni: contribuisce a far conoscere la realtà. La testimonianza che oggi la Chiesa è chiamata a dare - ma è una sfida difficile - è quella di costruire delle ‘comunità’ di credenti. La modernità è caratterizzata da un individualismo esasperato, perciò comunicare, costruire reti di relazioni, è un impegno difficile. In occasione della messa, l’accoglienza iniziale, il favorire la conoscenza, il colloquio, la solidarietà fra i fedeli, può essere più importante della stessa omelia. L’Eucaristia è uno ‘spezzare insieme il pane’, che poi ispira i credenti, finita la messa, nell’azione sociale di ogni giorno. Altro che brandire il crocefisso per affermare l’identità cattolica! Ci sono tentativi in questa direzione, in qualche parrocchia, in alcune comunità, come quella, a Trento, di S.Francesco Saverio, che si riunisce nella chiesa di S.Trinità, il sabato alle 19.30".
Fa impressione sentire il sociologo parlare di "accoglienza". Perché la mente corre a un’altra accoglienza, quella nei confronti di persone di cultura e di religione diverse. Se nei tempi moderni per i cattolici è difficile accogliersi a messa, come faranno ad accogliere gli "altri", europei, africani, asiatici, e i musulmani fra essi?
Questa è la portata della sfida a cui la storia ci impegna. E’ bene che lo sappiamo noi, e speriamo che se ne rendano conto, con pazienza, e ci aiutino, anche gli altri che arrivano.