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QT n. 3, 9 febbraio 2002 Monitor

Noi, alberi del Cermis

A quattro anni dallo schianto del Prowler americano contro la funivia del Cermis, il racconto della stupida tragedia: spettacolo - ironico e drammatico - di Andrea Castelli dal libro di Pino Loperfido.

Quattro anni e sembra ieri. Perché quel 3 febbraio non è solo una data, è qualcosa che si spezza dentro, che fa male. E non puoi fingere che sia tutto come prima. Del Cermis s’è parlato ovunque e in ogni salsa: sui giornali, ai TG, per le strade, nelle aule di tribunale… stavolta, all’Auditorium, ed è stato diverso. La val di Fiemme ha raccontato il suo dolore con la voce di un solo uomo. Nomi cambiati per fatti e situazioni, talvolta, di pura fantasia; ma il rispetto della privacy, insieme alla finzione, non rende meno cruda la realtà. "Il racconto del Cermis" ha il sapore amaro della storia, del destino, non quello asettico, distante, del fatto di cronaca. Abbiamo visto noi stessi, le nostre radici violentate da chi abbiamo accolto, ingenui, a braccia aperte. Gli americani sono ospiti graditi, "i porta schei", come i turisti… e intanto han trasformato Aviano in un villaggio yankee e buttato giù una funivia.

Questo l’antefatto, che Pino Loperfido ha ricostruito nel suo libro e Andrea Castelli ha recitato, seguendo il filo tortuoso della memoria; quella d’un piccolo manovratore, l’unico sopravvissuto alla "tragedia". Francesco, così lo chiameremo, la prende alla lontana, tergiversa, torna con la mente a quando era bambino. Vedeva tutti i film di Paul Newman, il suo idolo. Americano, naturalmente. E fu allora che cadde la prima cabina, il 9 marzo ’76. Niente aerei, solo l’incompetenza umana col solito scaricabarile di responsabilità, fra cinismo e lacrime di coccodrillo. Il primo caccia, italiano, arrivò a Cortina, Passo Falzarego, il 27 luglio ’87. La strage fu evitata per miracolo. Poi quel 3 febbraio… perché le coincidenze possono, anzi devono accadere. A sentire l’allora ministro della Difesa, era "inevitabile". Mica si possono infrangere gli accordi USA-Italia di cinquant’anni fa, che sono pure segreto di Stato! Che importa se in val di Fiemme nessuno li conosce? Basta che i Prowler continuino a addestrarsi e sorvolare centri abitati; se possibile, senza tirar giù le funivie.

C’è molta ironia nello "spettacolo", ben dosata soprattutto nella prima parte. Si ha paura di affrontare l’argomento. Emerge piano, a frammenti, anche se ti dicono di dimenticare, perché la vita va avanti e la morte sarebbe meglio lasciarsela alle spalle. E invece resta, come quel sole strano, troppo infuocato per l’inverno. Il racconto esorcizza il passato, l’orrore di ogni giorno. Il lavoro d’un manovratore è già abbastanza alienante, se poi ci si mette pure l’aviazione americana, è finita. "Sotto i cieli delle Alpi ci sono le palme". Anche i fiammazzi, sì, ma quelli non contano, come i turisti. Venti. I loro nomi scorrono su uno schermo come macabri titoli di coda. In qualche caso, delle vittime non è rimasto molto altro dopo lo schianto.

Ci siamo commossi, indignati, sentiti impotenti. E speriamo davvero che molti il libro lo abbiano letto. Il testo teatrale, pur intenso, è stato snellito, persino addomesticato rispetto alla sceneggiatura originale. Mancano i filmati e i notiziari-radio, i dettagli più cruenti o scandalosi dell’"incidente", quasi tutte le musiche e le scenografie: la cabina, la bandiera a stelle e strisce, la gigantografia di Paul Newman, simboli e presenze che Castelli evoca soltanto. Il dialogo col pubblico è ridotto all’osso, mentre il delirio finale, fra streghe e gnomi infernali, è scomparso.

Forse alcune cose era meglio ribadirle, ma il senso è intatto come anche la denuncia, grave, senza perdono, verso l’aereo, il governo italiano e l’imbecillità più che gli USA. Comunque sia, ciò che è accaduto raccontiamolo di padre in figlio, incidiamocelo dentro. "Dimenticate di essere qui ad ascoltarmi. Immaginate di fare parte della storia. Voi ‘siete’ la storia. Ognuno di voi è un albero. E gli alberi, badate, sono spettatori silenziosi, discreti, ma attenti. Le cose che vedono se le ricordano, se le tengono scritte addosso per non dimenticarsele".