Frivolezze conflittuali
Rovereto consacrata a Cristo Re: vale la pena fare le barricate?
Dubito che fossero molti i roveretani che fino a venti giorni fa sapessero che la loro città era consacrata a Cristo Re. Questa dedica, deliberata dal Consiglio comunale il 27 ottobre 1946 (per "ringraziare Dio perché il centro urbano di Rovereto venne risparmiato dai bombardamenti ") si ripete ogni anno a S. Marco alla presenza delle autorità cittadine. La 55a. replica della cerimonia non è però andata liscia; durante una messa in S. Rocco, il francescano padre Modesto ha avanzato dubbi sull’opportunità di continuare la tradizione: "La nostra società - ha detto - non è più monoliticamente cattolica. Quindi non si può consacrare una città che non è più solo cristiana". "Il mio - si è poi spiegato il religioso - era un richiamo al rispetto delle altre religioni… e anche un richiamo alla laicità delle istituzioni".
Mentre il sindaco Maffei si defila, limitandosi a dire che lui "alla cerimonia ci è andato in piena laicità" (cosa vuol dire?), mons. Valentino Felicetti, decano di Rovereto, dice qualcosa di più, limitandosi però a deplorare il metodo: il frate "ha fatto male ad usare il pulpito" per esprimere una sua convinzione personale. Sul merito di quella convinzione, però, non una parola.
Poco più articolata, la replica di Remo Albertini, antico boss democristiano, che accostandosi al tema "con molta umiltà e trepidazione" (perché?) ribadisce: "Non mi pare che tale opinione si possa esprimere mentre si esercitano le funzioni attinenti al sacerdozio". Per poi esprimere in modi piuttosto rozzi la sua opinione sui principi che debbono regolare la convivenza fra religioni: "Quando i musulmani avranno fatto, nel concreto, quello che hanno fatto i nostri predecessori per la città di Rovereto, potranno esprimere nel loro modo, nella loro fede, le loro opere. Ora non mi pare che sia il caso".
Ultimo a protestare, in campo cattolico, il Consiglio Pastorale di S. Marco: "L’orientamento pastorale, soprattutto se espresso dal pulpito, non potrà essere quello personale, ma dovrà essere quello maturato nella comunità assieme ai legittimi pastori". Chiarissimo e probabilmente giusto. Del tutto evanescente, invece, l’intervento nel merito delle affermazioni di padre Modesto. Sulla laicità delle istituzioni: "Le persone che rappresentano le pubbliche istituzioni non sono tenute a condividere la fede… dei gruppi sociali che compongono la comunità civica, ma non possono nemmeno essere estranee ad essi". E sul rapporto coi musulmani: "Se c’è rispetto vicendevole, non vediamo dove stia il problema. In una società pluralistica, ogni realtà sociale che opera in positivo, nel rispetto di tutti, merita riconoscimento e appoggio".
Una nota a parte merita certo modo di dipingere le reazioni dei fedeli quando, come in questo caso, si presenta una situazione controversa: se don Felicetti sostiene che le parole del frate hanno suscitato "scalpore", il Consiglio Pastorale parla di cattolici rimasti "perplessi e disorientati" (e manca stranamente il vocabolo solitamente usato: "turbamento"). Non ci pare un modo felice di esprimersi: se ne ricava l’impressione di un gregge bisognoso in ogni circostanza di verità assolute e di ordini univoci, poco abituato al dubbio e alla discussione. E’ fatto così il popolo dei credenti?
Ciò detto, diciamo anche che siamo d’accordo solo a metà col frate di S. Rocco. Giustissimo il suo rilievo sulla necessaria laicità dei rappresentanti delle istituzioni; inopportuno, invece, il riferimento alla presenza di cittadini di altre religioni. Qualche tempo fa ci capitò di seguire un servizio giornalistico sulla vicenda di quella scuola piemontese dove le maestre, in nome del rispetto per i bambini musulmani, avevano eliminato i canti natalizi, suscitando la furia di tutti i genitori italiani e mettendo in grave difficoltà quelli stranieri, che non avevano avanzato alcuna richiesta in merito e però venivano considerati in qualche modo i mandanti della decisione.
Insomma: di fronte a richieste effettivamente avanzate e attinenti questioni di principio quali un luogo di culto o un cimitero, credo che si debba essere pronti a fare le barricate; ma incaponirsi su frivolezze quali la consacrazione di una città a Cristo Re, mi pare uno spreco di energie che oltre tutto rischia di innescare reazioni intolleranti.
E difatti il leghista di turno, Leonardo Boldrini, condannando la "blasfema omelia", ricorda che, a fronte di un 6% di immigrati - e mica tutti islamici - c’è "un restante 94% che vive e convive con gli insegnamenti della religione cattolica". E poi, vai col liscio: L’Islam "è spesso arrogante, prepotente ed escludente, o meglio, non la religione in sé, ma coloro che la promulgano (sic) ottusamente… coloro che se ne infischiano delle regole e dei precetti, coloro che… parteggiano per i seguaci eversivi". Padre Modesto ha dimenticato che "la Chiesa cattolica è la religione dello Stato italiano" (e Boldrini ha dimenticato che da alcuni anno non è più così).
Ecco, non vorremmo che qualcuno di quei fedeli "perplessi e disorientati" trovasse in gente come Boldrini un punto di riferimento.