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QT n. 18, 27 ottobre 2001 Monitor

A.I. - Intelligenza artificiale

Come premessa si può dire che questo ultimo film di Spielberg, pur nato da un progetto-soggetto di Kubrick (tratto da un racconto di Brian Aldiss), che lui stesso ha affidato per la realizzazione al regista americano, è molto spielberghiano, nello stile, nella poetica, nell’atmosfera fiabesca a lui così cara e motivo conduttore dei suoi lavori.

L’impatto emotivo della visione è di grande forza, pari alla forza emotiva che sprigionano le sue immagini, capaci di trascinare lo spettatore nel flusso del loro apparire e sfilare; avvolto nella suggestione di certe ambientazioni, nell’incanto delle figurazioni di un inverosimile dalle forme che emanano eleganza e commozione reali, egli, dimentico di alcune manchevolezze sparse nel film, si abbandona alla visione al seguito del tenero David, che l’attore Haley Joel Osment, dal viso e dallo sguardo quasi ipnotici nel trasmettere i fremiti del suo sentire, interpreta in modo strabiliante.

Gli spunti di Kubrick, l’idea del tempo e della sua ciclicità, degli shining, o intuizioni, quali punti di contatto tra mondo naturale e metafisico, il rapporto massa-tempo e uomo-tecnologia, il tema evoluzione e avvenire dell’umanità, traspaiono via via, sovrastati però dai temi tipici di Spielberg, i leit-motiv del suo immaginario, l’anelito tenace verso l’amore, la ricerca di affetto e protezione forniti dalla casa e da incontri ravvicinati, l’infanzia perenne di Peter Pan su cui chiudere gli occhi e sognare, che, sostenuti da un linguaggio filmico di forte espressività, fanno il senso del film, in un’amalgama di estetica e contenuti.

In un mondo futuro dove le città sono sommerse dalle acque e gli esseri viventi divisi in "orga", esseri umani, e "mecca", esseri artificiali privi di emotività al servizio dei primi, David, mecca-bambino, è stato invece creato e programmato, speciale e unico, per sentire emozioni. Affidato ad una coppia di orga, il cui figlio è in ibernazione per grave malattia, vissuto come inquietante nella sua diversità di creatura meccanica che non mangia e non dorme, che conosce e detiene però i moti dell’anima e ama profondamente la madre, che tenta di ricambiare ma in modo impari, all’imprevisto ritorno del figlio guarito tutto diviene difficile e problematico, anche l’amore materno, le relazioni interfamiliari si deteriorano, minate dall’affiorare di intolleranze e incomprensioni. Quando le richieste di David si fanno più insistite, quale surrogato non più necessario né utile, viene abbandonato nel bosco, con la sola compagnia di Teddy, orsacchiotto-robot che si farà interprete della nuova realtà.

Comincia qui il viaggio alla ricerca della Fata Turchina che lo potrà trasformare in bambino vero, di nuovo amato dalla mamma. Lungo la strada lastricata di complesse esperienze, prove dense di sofferenza, paura, incontri curiosi, il novello Pinocchio si imbatte nel caos del mondo: la città dei balocchi, i campi-lunapark e l’arena gladiatoria, la città dell’eros, la casa del sapiente dott. Know, il laboratorio di nascita dei prossimi mecca-David, le esili e raffinate silhouettes sostitute degli umani ormai estinti. In compagnia di Teddy, che ha assunto il ruolo di grillo parlante, e di Gigolo Joe, un mecca costruito per amare le donne, che si muove leggiadro e lo circonda di premurosa presenza, arriva alla città posta alla fine del mondo, Manhattan, invasa dall’oceano. Scende poi in fondo all’abisso marino, il paesaggio acqueo si fa ghiacciato, e per 2000 anni David rimarrà immoto e ibernato, tutelando nel cuore il suo sogno d’amore. Tutto questo tempo gli è necessario perché l’incantesimo che concede l’amore senza riserve possa realizzarsi, l’intelligenza artificiale trascenda in un’affettività reale, il suo struggente desiderio venga esaudito, sia pure per un unico giorno, non più ripetibile, con la madre concessagli totalmente.

La storia di David è dunque rappresentata, seducente e commovente, come apologo del moderno, o futuro, Pinocchio: da un lato la creazione, in cui l’uomo, lo scienziato, alita la vita, ponendo uno dei grandi temi etico-ontologici, dall’altro il tema psicologico, l’inconscio infantile indagato nell’iter formativo, che cela l’universale bisogno di amore, riconoscimento, accettazione, più tenace di qualsiasi altro, radicato e vivo oltre ogni sventura. L’amore materno incondizionato è l’obiettivo fisso del viaggio iniziatico, ottenuto col divenire bambino vero e ritornando all’inizio della storia, dove affetto e accudimento, in un rapporto esclusivo e simbiotico, sono il succo della vita, soddisfacimento completo di quel bisogno primario che permette di accedere sereni al mondo dei sogni. Un percorso cioè che non prevede la crescita, ma il poter essere bambino vero, restando nel regno di Peter Pan, in una casa del passato remoto che non esiste più nel reale, ma solo in un quadro-ricordo, che è un luogo avvolgente e protettivo, che predispone alla pace interiore.

Il bambino-mecca, nel corso della durata del film, compie davanti al nostro sguardo ammaliato il prodigio di divenire bambino-orga, uno splendido e toccante bambino più umano e intensamente sensibile di ogni orga avvicinato nel lungo cammino.

Anche gli altri personaggi-mecca, in particolare Gigolo (immedesimata e perfetta l’interpretazione di Jude Law), restano impressi per la loro fragilità, la disponibilità dolce e un po’ malinconica che si oppongono in positivo all’incallita indifferenza degli orga, le differenze visibili nell’uso del colore, dell’illuminazione, nel ritmo e nell’intera messa in scena dei due mondi. Che trovano un punto di incontro in David, unico esemplare e anello di congiunzione tra il passato estinto e il futuro in divenire, ancora imperfetto, in grado di capire ma non di provare e vivere i sentimenti.

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