L’overdose tibetana
La visita a Trento del Dalai Lama fra pettegolezzo e retorica.
Altalenanti fra la retorica ed il pettegolezzo - entrambi comunque gestiti con incontenibile prolissità - i giornali locali ci hanno massacrato con un’overdose di Tibet e di buddismo, rischiando di farci diventare antipatica una figura rispettabilissima come il Dalai Lama (di volta in volta definito "Sua Santità", "scienziato dello spirito", "uomo di pace", "uomo del sorriso", "oceano di saggezza", "pellegrino per il mondo", "leader sorridente", "capo spirituale", fino ad un incolore "personaggio importante" e ad un irriverente "occhietti quasi infantili").
L’uomo, invece, è umanamente simpatico, e se gli si lascia la parola sa essere efficace. Quando dà consigli di vita ispirati alla sua fede ("E’ difficile resistere alle pressioni esterne, ai desideri e agli attaccamenti materiali, ma… la via per la felicità passa dalla rinuncia alle passioni incontrollate di odio, rabbia, gelosia e si alimenta della compassione verso gli altri"), come quando tratta dei rapporti fra religioni ("E’ più sicuro rimanere all’interno della propria tradizione religiosa"), confessando di avere "qualche perplessità quando incontra occidentali ‘travestiti’ da buddisti", e dandoci una lezione di laicità: "Non è indispensabile seguire una tradizione religiosa: i valori umani non sono un’esclusiva delle religioni, appartengono a tutti; le religioni sono strumenti che li rafforzano".
Ma anche sfiorando temi politici, il Dalai Lama sa sorprenderci, come in alcune battute di una recente intervista riportate dall’Alto Adige: "Se la Cina avesse seguito lo spirito genuino del comunismo di Mao degli anni ’50, ora sarebbe un paese molto più prospero. E anche con il Tibet non ci sarebbero stati problemi… Come monaco buddista, non posso non avere una mentalità di sinistra. La dottrina sociale ed economica del marxismo è stata tradita dai totalitarismi, ma è buona".
Una personalità complessa e interessante, dunque, che però rimane affogata in un mare di provincialismo e di chiacchiera. Ad esempio, per poterlo esibire come icona promozionale in quel di Pinzolo, gli viene assegnato il "Premio Internazionale della solidarietà alpina", che per statuto andrebbe riservato "a chi ha dedicato la vita al soccorso alpino e a tutti coloro che si sono distinti in rischiosi salvataggi di vite umane". E lui - chissà cosa gli hanno raccontato - va a ritirarlo. Del resto è una persona gentile, accomodante, "gli piacciono le cose semplici e genuine che vengono dal cuore delle persone umili e dalla gente comune".
Però non disdegna le comodità: al Grand Hotel è alloggiato in una suite da 600.000 lire a notte (ma la Pat ha avuto uno sconto del 50%), e non molto più scomodi stanno i 14 monaci che lo accompagnano (stanze da 300.000 a notte, anche queste scontate).
Particolarmente numerose le informazioni sul rapporto del Dalai Lama con il cibo: fa colazione, preferibilmente da solo, verso le 5 del mattino, gli piacciono le mele e il the, i suoi pasti passano preventivamente al vaglio dei monaci (che ad esempio hanno protestato per della pancetta troppo grassa), ecc. Sua Santità, soprattutto, è una buona forchetta, "un palato esigente": "Chi avrebbe detto che un personaggio come lui mangia così tanto?" - ha commentato il capo responsabile dei facchini del Grand Hotel.
E infine la retorica, poca ma spudorata, concentrata soprattutto sull’incontro di Rovereto, dove fra i presenti, convenuti "per condividere un battito della vita con Sua Santità", "spirava un impalpabile soffio mistico", che non si è dissolto neppure quando Sua Santità se n’è andata: "L’atmosfera elettrica provocata dalla sua aura, è rimasta ancora a lungo".
Così l’Alto Adige. Nella medesima occasione, L’Adige ha invece offerto un raro esempio di giornalismo critico, prendendo in castagna il discorso a pilota automatico del vicesindaco di Rovereto: "Donata Loss ha scoperto, per così dire, il suo lato buddista: ha parlato di una Rovereto ‘che sappia invitare altre città a disarmare e a digiunare… Una città dove non si voglia vivere sempre più veloci, sempre più in alto, sempre più forti; ma una città che sappia vivere in modo forse più modesto, ma certamente più vitale: più lentamente, più dolcemente, più profondamente’. Propositi pii che contrastano con la realtà… Il Tibet è un sogno, ma il frigo deve essere pieno. Poi, inevitabile, il paragone con l’imparagonabile: il Trentino unito al Tibet non solo dalle montagne (ed è già ardua), ma anche dalle forme di autogoverno. La solita storia dell’autonomia come esempio planetario. La solita medaglia che i politici trentini si appuntano al petto ogni volta che arriva qualcuno, dai palestinesi ai tibetani…"
Ma ce n’era - giustamente - anche per l’entusiasmo dei cittadini, i giovani soprattutto: "Avranno lasciato la spianata più felici? A vederli sembrava di sì, ma soprattutto perché sono stati a fianco di una personalità religiosa di alto livello, resa ancor più carismatica dai mass-media e dal cinema".