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Naziskin ad honorem

Giovanni Mengon, ex sovrintendente della scuola trentina, è angosciato: la “razza italiana” si va estinguendo. E lo spiega in un libro...

"Tenga Giove lontano il pericolo che la barbarie possa contaminare con sguardi profani i templi di Numa e la sede di Quirino" - cantava angosciato il poeta Claudiano, nel V secolo della nostra era, all’avvicinarsi dei Goti a Roma.

"Essi crescono di giorno in giorno, noi diminuiamo… Essi fioriscono, noi ci dissecchiamo" - gli faceva eco il vescovo Salviano.

L'ex sovrintendente scolastico Giovanni Mengon.

Terzo fra cotanto senno, ecco l’ex sovrintendente scolastico Giovanni Mengon, che a fine marzo sarà in libreria con un volumetto che è un grido d’allarme, intitolato "Italiani: tramonto di una razza?".

In attesa che qualcuno ci illustri le specificità della "razza" italiana, che anche il fascismo ebbe qualche difficoltà a costruirsi, vediamo come l’autore ci presenta la sua opera sull’Adige del 2 marzo. Si tratta di una vera e propria auto-recensione (piuttosto positiva, ci è sembrato), equamente suddivisa fra un’analisi della forma e dei contenuti. Quanto al primo aspetto, "il libro presenta in forma argomentativa, ma soprattutto narrativa e figurativa, gli indizi, i luoghi e i volti della decadenza". E ancora: "Il registro linguistico, come conseguenza della situazione di spettatore e dialogante, non sarà sempre quello della domenica (?, n.d.r.), ma quello di volta in volta suggerito dalla ricerca sul campo, perché di ricerca si tratta comunque. Nella modalità narrativa scelta, avverrà spesso ciò che capita ai rigagnoli: sgorgano, si avventurano, magari spariscono, ma si ritrovano poi inevitabilmente nel percorso a valle, che li raccoglie e li porta alla foce, in tal modo evidenziando il senso delle cose e spesso il non-senso. La narrazione del particolare talvolta tenderà a indugiare su se stessa – per quel po’ di inevitabile nostalgia e voglia di trattenere il frammento – ma consapevole del significato globale unitario del racconto".

E per finire, la citazione di un versetto biblico ("L’uomo nella prosperità non capisce. Fa come gli animali che periscono"), che "fa opportunamente da sottotitolo". Parola di Mengon.

Il contenuto del libro (se non altro, più comprensibile) si può riassumere in poche frasi: "Anno 2025: gli italiani saranno 9 milioni in meno rispetto all’inizio del nuovo secolo; gli immigrati nel frattempo saranno a quota 12 milioni". E’ la fine della razza italiana, come dice il titolo, un’estinzione che si presenta come "il triste piano inclinato e incurabile delle malattie degenerative". Eppure, l’incombente catastrofe non mette in allarme nessuno (tranne Mengon, naturalmente, oltre a qualche leghista assatanato): "Si direbbe che l’estinzione non riguardi noi ma altri. Provate a parlarne e fate attenzione alle reazioni: incredulità, finta di non sapere, fastidio, rimozione". Da qui l’amarezza di Mengon, che conclude sarcastico: "Ce lo meritiamo: ci sta bene che altri fruiscano delle ricchezze da noi accumulate, con frenesia e finalizzate a un calcolo troppo miope".

A riportare sulla scena i lumi della ragione, ci pensa - che dio lo benedica - il giornalista Renzo Grosselli, che in una breve "finestra" scrive: "Quando, dopo avergli dato spazio per l’illustrazione dei contenuti del suo libro, abbiamo posto a Mengon alcune domande, non ha capito. Perché questo timore dell’invasione?… Gli italiani, che nel fatidico 2025 dovrebbero ormai essere al lumicino, sono il frutto di secoli di invasioni, innesti, ‘imbastardimenti’. Qual è quindi la paura, dott. Mengon? Ma Mengon non risponde: ‘Io parlo solo del suicidio di un popolo che ha dentro di sé il germe del proprio tramonto’.

In preda al panico per l’inarrestabile decadenza del suo mondo, il Nostro non è sfiorato dal sospetto che "gli ‘altri’ sono uomini come noi, portatori di una cultura e di valori (diversi). E che in un incontro, certamente regolato, potrebbe nascere una terza cultura, chissà, migliore".

Non c’è molto da aggiungere. Solo la considerazione del fastidio che si prova nel leggere certe superficiali banalità esposte con il pomposo eloquio di cui il dott. Mengon è notoriamente maestro. Lo stile deve accordarsi col contenuto; e allora, molto più coerente e adeguato ci sembra l’illetterato naziskin che sull’Alto Adige del 22 febbraio così illustrava i fondamenti della sua trista ideologia: "Hitler ha liberato la nostra patria dagli extracomunitari e da tutti quelli che volevano disturbare o che non facevano come era prima… Anche quando lavorano, loro portano la famiglia, così diventano sempre di più e questo non va".

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