L’Andreotti della sinistra
Un uomo particolarmente attrezzato all’esercizio del potere. Forse il più adatto per guidare il governo in questi momenti.
Ricordo Giuliano Amato quando, una trentina d’anni or sono, cominciò a frequentare le riunioni della corrente lombardiana del PSI, alla quale io pure partecipavo. Fu quello un momento in cui il Partito Socialista era divenuto, assai prima dell’avvento di Craxi, un centro molto creativo di cultura politica, anche se a tale fervore di pensiero non corrispose una conseguente fortuna elettorale. Il fenomeno ebbe un riscontro obiettivo nella adesione, anche se poco visibile a causa del suo carattere elitario, di un gruppo consistente di intellettuali. Fra questi si distinsero, anche per la loro biografia politica successiva, alcuni giovani docenti universitari, i "professorini". Gino Giugni, esperto di diritto del lavoro, fu la mente nella redazione dello Statuto dei lavoratori patrocinato dal compianto ministro del lavoro Giacomo Brodolini. Stefano Rodotà, con la sua particolare sensibilità per i diritti civili, fu un fecondo consigliere di Francesco De Martino, il "professore" per antonomasia. Alla sinistra lombardiana si aggregarono invece Franco Bassanini e appunto, con minore costanza, Giuliano Amato.
Mi colpirono subito la scioltezza del suo eloquio e l’autocontrollo delle sue emozioni. Quel sorriso sapientemente misurato su quel volto da faina che ormai tutti conosciamo, accompagnarono sempre i suoi interventi gelidi, pronunciati con voce secca che assumeva un risonanza appena un po’ più profonda e con brevi accenti baritonali quando l’argomentazione giungeva al dunque. Anche sulle questioni più banali non rinunciava mai al vezzo di distinguere, precisare, affinare. Appunto, il dottor Sottile. Sempre attento però a non compromettersi mai troppo. Nelle sue sottigliezze intellettuali era sempre presente una via di fuga, un pertugio attraverso il quale sfilarsi dalla cordata. Gelosissimo insomma della propria libertà di scelta, scrupoloso custode della possibilità di decidere sempre, in ogni momento, nella più assoluta solitudine.
Poco dopo infatti, rimanendo sempre se stesso, senza strappi né vergogna, né suscitando risentimenti o riprovazioni, insomma senza nulla di emotivo, prese le distanze da noi e si avvicinò a De Martino. E più tardi, con lo stesso stile felpato, si trovò al fianco di Craxi. Ma anche in prossimità di Craxi mantenne la sua inossidabile autonomia e, bisogna riconoscerlo, restò assolutamente impermeabile ad ogni infezione ed immune da qualsiasi contagio.
Il suo destino, al quale non poteva sfuggire, era il potere, per il cui esercizio era perfettamente attrezzato. Una fotocopia, una clonazione quasi perfetta di Giulio (Giuliano!) Andreotti. Il giocoliere, il prestigiatore, il professionista eccelso del potere. Egli non ha bisogno di una legittimazione popolare: la sua legittimazione risiede nella sua stessa attitudine, nella sua suprema abilità, nel destreggiarsi nella giungla del potere. La successiva esperienza come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, come ministro e capo del Governo ha ulteriormente perfezionato la sua dotazione.
Però Giuliano Amato non è solo la personificazione allo stato puro della tecnica del potere. Pur essendo impossibile classificarlo secondo le abituali etichette del bazar della nostra politica, certamente egli si colloca sul versante di un prudente riformismo, nutre convinzioni morali affini al sentire cattolico (sull’aborto, per esempio), è fautore di una modernizzazione della nostra democrazia, ha dimostrato competenza nel gestire la finanza pubblica assicurandosi per certo una citazione nella storia, se non altro per quella terribile "stangata" di quando prelevò quasi centomila miliardi in un colpo solo, in gran parte aspirandoli direttamente dai depositi bancari.
Ora ha composto un nuovo governo, dopo le dimissioni di D’Alema. Si tratta di completare la legislatura, portare a termine alcune riforme impostate: quella fiscale, quella della scuola e della sanità, tutte però ora affidate a ministri diversi.
Si tratta soprattutto di fare una nuova legge elettorale. E’ improbabile - temo - che il referendum del 21 maggio abbia un qualche effetto. Ve li immaginate gli elettori che si recano ai seggi scegliendo fior da fiore, questa scheda sì, questa no, distinguibili fra di loro da quesiti astrusi e incomprensibili? Non sarà più comodo semplicemente disertare? Quindi tutto il peso tornerà sulle spalle del Parlamento e del Governo, che dovrebbe esserne il motore, ma è una specie di quadratura del cerchio. I partitini inceppano il funzionamento delle istituzioni. Occorre una nuova legge elettorale per far sparire i partitini. Ma per approvarla in tempo occorre l’assenso dei partitini.
Aggiungete al quadro una opposizione che mira al peggio, perché ha capito che l’inefficienza della democrazia le procura consensi. Forse Amato è più di ogni altro dotato per affrontare l’impresa. E per dare al centro-sinistra il tempo di risalire.