Mele: anche qui ci vuole flessibilità
La tendenza al ribasso dei prezzi (per i produttori) è ormai una costante. Il rimedio? Star dietro al gusto volubile dei consumatori.
Mentre in val di Non la raccolta dei "pomi" è ancora in corso, nei frutteti lungo l’asta dell’Adige e sulle colline della val di Cembra l’attività si è praticamente conclusa. Ma se da un lato si registra una certa soddisfazione per la qualità (una buona pezzatura) e la quantità delle mele immagazzinate, non mancano le preoccupazioni per quanto riguarda la campagna di commercializzazione che si è aperta con prezzi al ribasso. La Golden (la classica mela color giallo-verde e dal sapore dolce) viene valutata all’ingrosso in queste settimane a poco più di 300 lire al chilo; va un po’ meglio per la Stark, circa 450 lire al chilo, mentre la Gala viene venduta a 600. Ma queste ultime due qualità colturali rappresentano la quota minore dell’intera produzione e quindi la remunerazione media rischia di risultare particolarmente bassa.
C’è da chiedersi peraltro come sia possibile che al consumatore finale venga fatto mediamente pagare un prezzo dieci volte superiore a quello che l’agricoltore riceve per il suo impegnativo lavoro. Ma il fenomeno dei ribassi non è nuovo. Il fatto nuovo, se mai, è che la tendenza al ribasso dei prezzi si sta in questi ultimi anni pericolosamente consolidando.
Ne parliamo con i responsabili del consorzio ortofrutticolo "Cinque comuni", il presidente Alessandro Zadra e il direttore Carmelo Filippi. "Effettivamente - confermano - la tendenza al ribasso è un dato di fatto. A questo concorrono diversi fattori. A cominciare dai frutteti moderni che, fatte salve le sempre possibili gelate o grandinate, garantiscono una produzione stabile di circa 500-600 quintali per ettaro, mentre i vecchi impianti erano molto più volubili; occasionalmente si avevano produzioni di quasi mille quintali per ettaro, seguite però da anni di magra. Le nuove tecniche agricole, la potatura, i trattamenti chimici mirati hanno assicurato invece una certa stabilità con produzioni medio-alte che, alla lunga, ha portato verso la sovrapproduzione. Parallelamente i gusti sono cambiati, sono calati i consumi della frutta tradizionale a favore di altri prodotti più o meno esotici e l’apertura di nuovi mercati come i Paesi dell’Est, data la loro attuale instabilità (crisi del rublo, ecc.) e le politiche protezionistiche che spesso attuano (i pesanti dazi della Cechia) non rappresentano ancora uno sbocco stabile per le mele europee e italiane".
Che fare allora? La Trentina,il marchio al quale aderiscono quelli di Lavis ed altri consorzi come la Sor di Mezzolombardo e il consorzio di Mezzocorona, spende già un miliardo e mezzo di pubblicità all’anno per cercare di tenere alta l’immagine del prodotto. Ma non basta. Per cercare di ridurre le spese, i direttori dei consorzi hanno costituito un comitato permanente al quale, ad esempio, sono affidati gli acquisti degli imballaggi (i pellets, la carta, ecc.) per tutti i magazzini che aderiscono all’organizzazione. I diversi consorzi stabiliscono assieme anche alcune regole di base per la commercializzazione come un prezzo minimo per i mercati tradizionali e dei referenti unici (ad esempio, al direttore Filippi è affidata la cura di Spagna e Portogallo) per i nuovi mercati. Politiche, queste ultime, che tendono evidentemente a limitare la concorrenza reciproca.
Ma perché non pensare a una fusione dei tre consorzi (Lavis, Mezzocorona e Mezzolombardo)? Sono tre realtà molto simili per numero di soci, fatturato e prodotto, che sembrano naturalmente complementari - osiamo chiedere ad Alessandro Zadra.
"I tempi non sono ancora maturi; - risponde - esistono ancora troppi campanilismi e poi, tutto sommato, la fusione dei consorzi, se rimangono separati gli attuali tre punti di raccolta e di lavorazione, non porterebbe a particolari economie di spesa. In ogni caso attualmente la collaborazione fra le tre realtà si può definire ottima".
Per aumentare le opportunità nella frutticoltura, ci fanno capire i dirigenti del "Cinque Comuni" non resta che la flessibilità (anche in questo settore!). Gli agricoltori dovranno rassegnarsi a cambiare gli impianti con più velocità per essere pronti a cogliere il gusto del consumatore.
Intanto dovrà certamente essere ridotta la produzione di Golden Delicious a favore delle qualità emergenti, come la Fuji, la Braeburn e la Pink Lady. Gli agricoltori del vicino Sudtirolo, favoriti anche dal loro mercato naturale, l’area germanica, con la Golden non arrivano nemmeno alla metà della produzione complessiva, mentre in Trentino, come si diceva, la mela gialla supera abbondantemente il 60%. La mela biologica non sembra invece rappresentare uno sbocco credibile. Il consumatore preferisce ancora la mela bella, lucida e perfetta che, a detta dei dirigenti del "Cinque Comuni", non si può produrre senza l’uso di trattamenti, se pur bilanciati, di tipo chimico. Senza contare poi che la produzione biologica è possibile solo su larga scala e praticamente impossibile nella situazione locale in cui i fondi agricoli sono parcellizzati.
In ogni caso al consorzio "Cinque Comuni" non sembrano attestati sulla difensiva. Burocrazia permettendo (e pare che la questione pesi loro in maniera particolare) partirà a breve un investimento di 5 miliardi. Il magazzino verrà in parte ristrutturato e ampliato per poter raggiungere una capacità di conservazione di 110.000 quintali (ora sono "solo" 80.000) e ridurre quindi le attuali spese necessarie per l’affitto di celle frigorifere in altre strutture.