I soldi della Pat ai soliti noti
Come negli anni ‘80: la Pat sborsa miliardi per comperare edifici dagli amici degli amici. E per precostituirsi la scusante, da anni non costruisce in proprio neanche un metro quadro.
I soldi della Provincia finiscono nelle tasche dei soliti noti: questo il primo commento a due recenti operazioni della Pat, in perfetto stile Prima Repubblica.
Operazione 1: la Provincia, con una delibera clandestina del 25 giugno dell’anno scorso, all’epoca non pubblicizzata (e sì che gli Uffici stampa inondano le redazioni di fax su ogni starnuto assessorile!) e solo ora venuta accidentalmente alla luce, compera per 6580 milioni una serie di uffici al Top Center.
Chi sono i venditori? La Francy srl, di cui lungamente parla il libro bianco di Solidarietà "Politica & affari". E i proprietari? L’arch. Angelo Pallaoro speculatore edilizio rampante in questi ultimi anni, al centro di tutta una serie di spericolate operazioni (Trento-sud, finestra sull’Adige); e Cesare Angeli, affarista legatissimo a Franco Tretter.
Operazione2: la stessa Itea (che gli edifici dovrebbe realizzarli, non comperarli) acquista appartamenti ancora a Trento-nord nell’area ex-Oet, 42 alloggi per 13,2 miliardi. I venditori? La società Ibis, tra i cui proprietari spiccano Giampiero Lazzara, tradizionale socio in affari di Mario Malossini, e suo prestanome nella nota vicenda della villa di Torbole; e Renato Vinante, ex-assessore provinciale Dc ed ex-presidente (nomina tutta politica) della Cassa di Risparmio.
Sgomberiamo subito il terreno da fraintendimenti: non siamo in un caso tipo 3 Torri (per i non veterani fra i nostri lettori, fu l’acquisto pubblico dell’omonimo immobile a prezzi incredibili, denunciato da Questotrentino e che portò in tribunale, e alla fine della carriera politica, l’allora presidente della Pat Flavio Mengoni). I sei miliardi e mezzo alla Francy (per 2450 metri quadri di uffici) e i tredici alla Ibis, non sono di per sé scandalosi, corrispondono ai valori di mercato. (E questo grazie alla legge Malossini-Rella che disciplina gli acquisti immobiliari, e fu conseguenza della storia delle Torri).
Ma il problema resta. Sottolineato dalla stessa Malossini-Rella, che difatti indica l’acquisto di immobili come evento eccezionale, da utilizzare in casi particolarissimi, privilegiando invece la strada maestra dell’acquisizione dell’area e della costruzione in proprio per l’appalto tra più imprese. E non a caso: costruendo gli immobili invece di comperarli già fatti, si tagliano fuori una serie di profitti e rendite che nel settore immobiliare sono particolarmente pesanti; l’ente pubblico insomma dovrebbe agire da imprenditore che sovrintende alla costruzione del proprio patrimonio immobiliare. Il che è la norma in tutta Italia, applicata - dove l’ente pubblico non è investito dalla corruzione o dalla criminalità - con esiti pienamente soddisfacenti.
In Trentino invece c’è l’Autonomia. Con i relativi miliardi facili (almeno finora). Ed ecco che allora non si costruisce, si acquista; e dai soliti noti.
Il meccanismo in realtà è più complesso. E le giustificazioni addotte in Provincia non mancano: "Attualmente, per uffici e archivi, occupiamo una superficie totale di 120.000 metri quadri (qualcosa come mille appartamenti da 120 mq n.d.r.). E di questi solo metà sono in proprietà, negli altri siamo in affitto - ci dice il dirigente del Servizio Patrimonio ing. Milani - E’ chiaro che a questo punto comperare è conveniente."
Il ragionamento di per sé è ineccepibile. Che una qualsiasi entità con attività stabile, pubblica o privata, vada a bruciare soldi in affitti, è una bestialità (ve la immaginate la Fiat, a Torino, pagare gli affitti per i propri uffici?). E che la Pat ogni anno in questa maniera bruci 12 miliardi, è un ulteriore portato dei soldi facili dell’Autonomia (alcuni anni fa aveva suscitato scalpore la pubblicizzazione della lista dei proprietari degli stabili affittati: i soliti noti, con in testa la Curia vescovile).
Quindi acquistare è indubbiamente meglio che buttare i soldi negli affitti. Ma il fatto non sposta il problema di fondo: perché non si costruisce? Questo rimane il problema vero: da decenni ormai la Provincia non costruisce più un metro quadro di uffici. Sembra essere un’attività tabù, preclusa all’operatività del nostro principale ente pubblico. "La realtà è questa e dobbiamo prenderne atto - ci dicono rassegnati.
E’ dagli anni Ottanta che si deve costruire di fronte alle 3 Torri la cosidetta "quarta torre", in un terreno a suo tempo acquisito in uno (strano e unico) momento di preveggenza programmatoria: in tutti questi anni i progetti si sono succeduti, non andavano mai bene, c’era sempre qualcosa da rivedere; finché ultimamente è sorto un contenzioso con il Comune di Trento (il quale ha toccato il fondo con l’orrida pianificazione di Trento Nord ad esclusiva misura di immobiliare, ed ora vorrebbe rimediare dedicando a zona verde proprio l’area della Pat, impedendone la costruzione degli uffici: pannicello caldo per la circoscrizione, e ulteriore regalo alle immobiliari).
Da anni si parla di un nuovo polo sui terreni delle FFSS in via Segantini: vi sono previsti ben 25.000 metri quadri di uffici, ma l’acquisizione dei terreni è avvenuta solo nel dicembre dell’anno scorso, e per le realizzazioni si prospettano i soliti tempi biblici.
Più ravvicinata dovrebbe essere la fine della ristrutturazione della sede Pat di Piazza Dante: si parla del 2001, e dovrebbero essere (con l’altra ristrutturazione di palazzo Tambosi in via San Marco) 13.000 metri nuovamente agibili.
Infine c’è a disposizione un’area tra via Vannetti e via Romagnosi, in cui si prevedono altri 10.000 metri quadri: ma anche qui i tempi sono indeterminati.
Morale della favola: negli ultimi venti anni, da Mengoni in poi, le giunte provinciali si sono caratterizzate per l’immobilismo più assoluto sul fronte delle costruzioni. Spendendo/sperperando altrimenti i soldi. In due modi: anzitutto in progetti non realizzati (questa a dire il vero è stata una caratteristica di Malossini, che commissionava i progetti di cui sopra - con il relativo corredo di parcelle miliardarie - a professionisti "contigui": l’arch. Siligardi, l’arch. Pisoni che in parallelo costruiva gratis la casa del presidente, l’arch. Ziosi capogruppo comunista, che negli ultimi scorci di legislatura ammorbidiva le proprie denunce). E poi, dal momento che uffici non ce n’erano e le competenze aumentavano, "per far fronte all’emergenza" e "nell’attesa che si terminino i progetti avviati" si prendevano in affitto i locali più disparati in tutta la città.
In realtà un ente pubblico funzionante, tra gare di appalto, adempimenti burocratici, minor agilità strutturale, a costruire impiega un anno di più - questa ad esempio è la tempistica dell’Itea - rispetto al costruttore privato. Ma un anno, non i 10-15-20 anni che passano senza che nulla accada. Quando siamo in una situazione del genere, con i vari progetti sistematicamente fermi, il problema diventa politico: se la pubblica amministrazione non svolge il proprio normale ruolo e nessuno se ne preoccupa (avete mai sentito un assessore fare fuoco e fiamme su questo?), anzi si approfitta di quest’inerzia per fare affari miliardari con dei privati, che sono poi il solito giro di amici, bene, quando accade tutto questo è doveroso pensare che ci sia del marcio in Danimarca.
Anche perché la prassi degli acquisti è ormai diventata funzionale non all’ente pubblico, ma al venditore. Si acquista cioè - dai soliti, naturalmente - in funzione non delle necessità pubbliche, ma dei bisogni dei costruttori, permettendogli di liberarsi dell’invenduto.
E’ questo il caso clamoroso dell’Itea, ente la cui funzione principe è costruire; e che effettivamente è in grado di costruire con una certa efficienza e convenienza (2 milioni di lire a metro quadro a consuntivo, costi delle aree e di progettazione compresi); ma che invece compra a prezzo di mercato, o con qualche sconto, togliendo qualche grattacapo ai costruttori nei momenti di stanca del mercato (vedi appunto il caso della Ibis).
O vedi - ancora più clamoroso - il tentativo di far acquistare sempre dall’Itea il complesso ex-Artigianelli a Susà di Pergine, immenso edificio della congregazione religiosa dei Pavoniani, ora in disuso e difficilmente riciclabile. Ma ecco l’idea di risolvere i problemi dei Pavoniani facendo comperare all’ente pubblico l’inutile complesso.
La cosa, ideata dall’ormai ex-assessore Zanoni, probabilmente non andrà in porto (anche se i religiosi possono sempre cercarsi un’altra più attuale sponsorizzazione). Ma è indicativa di una certa cultura del bene pubblico.
Vedremo se la giunta Dellai saprà cambiare rotta. Finora nessuno, sulle acquisizioni appena concluse dalla giunta uscente, ha avuto niente da ridire.