La crostata? Tiriamogliela in faccia!
Un referendum contro le tentazioni di ritorno al passato. E per portare a compimento la democrazia del maggioritario. Lo sostengono Vittorio Foa, Di Pietro, Occhetto, Segni,Cossiga...
L'hanno soprannominato "patto della crostata". E' l'accordo siglato durante una cena a casa di Gianni Letta (al momento del dessert) tra i leader dei partiti della Bicamerale. Consiste in un impegno a varare una legge elettorale per il Parlamento che aumenti la quota proporzionale a discapito del maggioritario, che varrebbe solo per il 55% dei seggi anziché, come oggi, per il 75%. Ma non basta. Berlusconi dichiara a giorni alterni che vorrebbe tornare al proporzionale puro. Bertinotti gli da ragione. Bossi pure. Sulla stessa linea quasi tutti i segretari dei partiti minori. Resistono Fini e D'Alema, ma per quanto? Si votasse oggi, in Parlamento, per tornare al sistema proporzionale puro, la proposta rischierebbe di passare alla grande. E potremmo dire addio a Polo e Ulivo, all'alternanza, all'Europa, all'inflazione sotto controllo, al risanamento. Si tornerebbe ai bei tempi dei governi di centro inamovibili, delle classi politiche corrotte, del dissesto finanziario, della deriva verso il nord Africa.
Come e perché si è arrivati a questo punto? Non ci avevano promesso, quando nel '93 votammo i referendum elettorali, che l'Italia sarebbe diventata una democrazia matura, come quelle del resto d'Europa? Ripartiamo daccapo.
C'è qualcuno che ricorda ancora le promesse dei referendum di Mario Segni? D'accordo, promettevano l'alternanza e hanno mantenuto la promessa. Promettevano il diritto degli elettori di scegliere direttamente chi governa e l'hanno quasi mantenuto (a parte il governo Dini), promettevano governi più dinamici ed efficaci e d'accordo, si può storcere il naso, ma se facciamo il raffronto coi governi precedenti si può dire che il risultato è stato raggiunto.
Eppure, la stragrande maggioranza di quel!'83 per cento di italiani che votarono sì a quei referendum lo fece con motivazioni molto più semplici: prima fra tutte, farla finita con i troppi partiti e fare in modo che ve ne fossero solo due o poco più, come negli altri paesi occidentali.
Ebbene, se prima dei referendum i partiti erano una decina, oggi abbiamo superato i 40! E mentre fuori dai confini nazionali i partiti che contano godono tutti di consensi che vanno dal 40 per cento in su, in Italia il partito di maggioranza relativa supera a stento il 20%, rosicchiato dai vari cicidì, cidiù, cidierre, essediì, errecì, pipiì e via complicando, in una italianissima Babele di sigle, capipartito e linguaggi nella quale nessuno riesce a raccapezzarsi.
Colpa del maggioritario? Sciocchezze! Colpa di quelli che il maggioritario non lo volevano e quando è stato imposto a furor di popolo han fatto di tutto per inquinarlo! Ed oggi, coloro che accusano il maggioritario di aver fatto aumentare il numero dei partiti, sono proprio quelli che lo tradirono, varando leggi elettorali che di maggioritario hanno solo la facciata. Cosicché, nei comuni, mentre il sindaco è eletto col maggioritario, i consigli comunali sono eletti ancora con la proporzionale, lasciando dilagare la frammentazione e creando maggioranze consiliari litigiose, la cui debolezza è compensata solo dal potere incontrastato del sindaco, quasi un monarca assoluto. Fosse passato il referendum di Pannella, che estendeva il sistema dei comuni piccoli a tutti i comuni, oggi avremmo nei consigli comunali 2 o 3 partiti, anziché 15 o 20!
Stesso discorso vale per le Province (delle regioni ordinarie), ma peggio ancora stanno le Regioni (ordinarie), dove di maggioritario non è rimasto quasi più nulla. Pazienza se quel sistema fosse stato adottato qui da noi, dove il vincolo proporzionale nello Statuto non ci avrebbe permesso di fare di più, ma in Lombardia e in Lazio l'attuale sistema non trova giustificazione se non nelle convenienze di bottega di chi l'ha varato.
Veniamo quindi al Parlamento. I referendum del '93 introdussero il sistema maggioritario per il Senato: elezione del 75% dei senatori in collegi uninominali, il restante 25% attraverso il ripescaggio dei meglio piazzati tra i non eletti. Doveva risultarne un sistema simile a quello inglese, con 2-3 partiti e solide maggioranze monopartito al posto dei nostrani deboli governi di coalizione, costretti ad adottare il manuale Cencelli per rimanere in piedi.
Invece, solo pochi mesi dopo il voto referendario, nel tradurre sulla legge elettorale della Camera il risultato del referendum, il Parlamento fece rientrare dalla finestra quel sistema proporzionale che si era cacciato dalla porta. Così, mentre nei collegi uninominali di Camera e Senato si vota per le persone, sotto i simboli di Ulivo e Polo, per assegnare il 25% dei seggi della Camera rispunta la scheda proporzionale, coi simboli di partito, dove i partiti alleati nei collegi uninominali si ritrovano ad essere avversari sulla quota proporzionale.
Alla fine, rimasti di tipo proporzionale i sistemi elettorali dei consigli comunali, provinciali e regionali, per il Parlamento e addirittura per le elezioni europee (dove ogni Stato può darsi la propria legge elettorale, ma nessuno in Italia ha mai pensato di passare al maggioritario), era inevitabile che i vecchi vizi del proporzionale continuassero a proliferare, finché - il patto della crostata - non si sono sentiti abbastanza forti per tentare il colpaccio: il ritorno al passato.
Ecco, questo nuovo referendum ha un valore soprattutto simbolico: contrastare la tentazione del ri:orno al passato attraverso una espressione diretta in favore del maggioritario.
Concretamente, la proposta referendaria si prefigge di abolire la seconda scheda per l'elezione della Camera, quella dove oggi compaiono i simboli lei partiti. Anche per la Camera, :così come già avviene per il Senato, si voterebbe quindi con un'unica scheda, attribuendo la quota proporzionale attraverso il ripescaggio dei primi dei non eletti nei collegi uninominali. In questo modo, alle elezioni politiche la competizione avverrebbe solo fra Ulivo e Polo (a parte Lega e Re), e non anche - come avviene oggi - tra Ppi e Pds, Forza Italia e An, Verdi e Lista Dini, Ccd e Cdu.
Altro effetto positivo avverrebbe nella distribuzione dei seggi, 3ve la ripartizione della quota proporzionale col nuovo metodo premierebbe maggiormente i due poli, i discapito di chi non si schiera.
Insomma, non si tratterebbe ancora d'una soluzione definitiva (per ottenerla bisognerebbe agire sui sistemi elettorali di tutti i livelli istituzionali e si dovrebbe abolire la quota proporzionale), ma pur sempre di una chiara indicazione per il bipolarismo e contro la frammentazione dei partiti. Un segnale importante nel momento in cui [patto della crostata) si rischia di fare un passo indietro.
A sostegno di questa iniziativa 5i sono schierati personaggi dal passato, dalle idee e dalle culture diversissime, ma tutti accomunati dall'obiettivo di fare dell'Italia una democrazia moderna, seria, rispettata. Fra i promotori: Antonio Di Pietro, Vittorio Foa, Antonio Martino, Achille Occhietto, Mario Segni, Francesco Cossiga, Marco
Taradash, Alfredo Biondi, Augusto Barbera, Luigi Abete, Carlo Scognamiglio, Letizia Moratti, Peppino Calderisi e tanti altri.
La squadra c'è, si tratta di vedere se si riuscirà a creare quel clima di entusiasmo che fece la fortuna dei referendum del '93. La strada oggi è evidentemente molto più in salita: i tempi sono cambiati, e molti al solo sentir parlare di referendum storcono il naso.
In provincia, dove il comitato promotore, come già avvenne nel 1993, è ancora presieduto da Giorgio Tonini, si sono mobilitati gran parte dei big della quercia (dai consiglieri Bondi, Alessandrini e l'immancabile Chiodi, agli onorevoli Schmid e Olivieri, al presidente Bressanini e all'attivissimo Giuliano Andreolli), il segniano Flavio Paiar, una ritrovata Franca Berger (mai assente sulle battaglie civili), i professori Fabbrini e Branz, i nuovi dipietristi come Luigi Galvagni, i retini alla Silvano Zucal, i giovani industriali, gli ambientalisti alla Giorgio Rigo. Assenti all'appello, sinora, gli esponenti del Polo di centrodestra, che pure dovrebbero avere interesse ad appoggiare l'iniziativa. Non sorprendono invece le irritazioni dei tanti partitini, che dopo essersi visti approvare la soglia del 5% per le elezioni regionali, rischiano ora di vedersi sbarrare la strada anche a livello nazionale.
La campagna è appena iniziata ed entro il 20 luglio si dovranno raccogliere le fatidiche 500 mila firme. Oltre che nei comuni, a Trento si può firmare presso il tavolo del comitato promotore, allestito tutti i pomeriggi in piazza Pasi dalle 15 alle 19 (esclusa la domenica). In allestimento un altro punto a Riva del Garda.
Auguri!