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Considerazioni dal mondo contadino

Da una vita mi occupo di difesa dei diritti dei lavoratori in quella zona del porfido assurta negli ultimi anni agli onori della cronaca giudiziaria. Un impegno che, data la distruttività legata all’attività di cava, si è sempre rivolto anche verso le questioni ambientali. Questo in una valle nella quale culturalmente la salvaguardia ambientale è sempre stata tenuta in secondo piano rispetto alle esigenze del cosiddetto “sviluppo economico”, in definitiva del profitto. Da vent’anni però non spacco più pietre nelle cave e mi dedico ad una piccola attività agricola e di allevamento, cercando con fatica di riappropriarmi di quel sapere contadino che sta per andare irrimediabilmente perduto.

Non mi è mai piaciuta la definizione di “imprenditore agricolo”, che ha sostituito quella di “coltivatore diretto” e di fatto ha portato alla sostituzione del sapere e del rapporto contadino con la terra e gli animali con logiche industriali subalterne alle grandi multinazionali dell’agrochimica.

Ho guardato con molta simpatia il movimento No Global che, all’alba del nuovo millennio, contestava quelle scelte politiche in merito agli scambi commerciali che hanno portato alla situazione di gravissima sofferenza il comparto agricolo determinando la caduta continua dei redditi degli agricoltori. Ma dov’erano gli attuali protagonisti della protesta dei trattori (anche se in realtà proprio gli enormi trattori da 200 mila euro ne sono i protagonisti) quando José Bové e la Confederation paysanne francese contestava, con lo slogan “Un altro mondo è possibile”, quegli accordi e quel modello economico figlio dell’estensione globale del neoliberismo? Mai una riflessione è venuta su questi temi, in questi anni, da parte delle associazioni di categoria che, scavalcate oggi dalla piazza, mostrano tutta la loro subalternità ad un modello di agricoltura industriale che costituisce un problema per la salute e per l’ambiente. Una agricoltura ostaggio delle multinazionali sementiere, di quelle agro-farmaceutiche e petrolifere (fortemente intrecciate tra loro), oltre che di quelle che controllano la grande distribuzione.

Così si permette che a rappresentare un settore, fatto anche da molte piccole aziende seriamente impegnate nello sperimentare vie alternative a questa, siano agricoltori che probabilmente quasi mai si sporcano le mani con la terra e gli scarponi, solo quando scendono dai loro enormi trattori, mentre a faticare nei loro campi e allevamenti sono in realtà immigrati extracomunitari spesso senza diritti e sottopagati.

Mai prima d’ora avevo vinto la renitenza ad intervenire su questo tema ma, di fronte alla pronta cancellazione della normativa sui fitofarmaci annunciata dalla presidente della Commissione europea, in spregio all’esigenza di garantire una alimentazione sana ed equilibrata a tutti i cittadini, non ho potuto fare a meno di scrivere queste righe. Mi auguro che l’esigenza di confrontarsi e approfondire le questioni sia condivisa anche da altri e sia di stimolo pure per quelle associazioni di categoria non irrimediabilmente asservite a questo modello distruttivo per l’ambiente e per niente rispettoso della vita, nostra e degli altri viventi.

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