Turismo in Fassa: troppi posti letto
È necessaria una decrescita: lo dicono gli albergatori
Ha suscitato sorpresa il “manifesto futuristico” sul turismo discusso dall’Asat di Fassa. Per la prima volta l’associazione degli albergatori di una rinomata località turistica lo ammette: per vivere in montagna è doveroso decrescere. I posti letto in una comunità di diecimila abitanti, oltre 60.000, sono troppi, entro il 2040 si deve scendere a 45.000. L’intero modello turistico va ripensato - si aggiunge - deve essere più sostenibile. Si deve pensare a lungo termine, così si pronuncia l’albergatore Guglielmo Lasagna, presidente di Asat di Fassa.
Con queste affermazioni, riportate in una indagine comparsa sul Nuovo Trentino, si offre spazio a un'analisi sul sistema dell’accoglienza in valle. Allarma anche il fatto che le nuove attività siano solo il 15% e manchi un ricambio generazionale: l’invecchiamento non è solo della popolazione, ma anche degli ospiti. Una realtà dolorosa da ammettere, ma il sondaggio condotto da Valentina Doorly, esperta europea nel settore del turismo e ospitalità, non lascia spazio a interpretazioni diverse. Nell’analisi non potevano mancare i temi del riscaldamento globale, la probabilità di una conseguente parziale migrazione di cittadini dalle pianure verso le alte quote, la qualità dei servizi, la necessità di riequilibrare il settore dell’accoglienza attraverso responsabilità e maggiore creatività.
È un'ottima cosa che il mondo degli albergatori si interroghi. Diciamo finalmente, perché una decina d’anni fa un ampio tavolo di confronto aperto dal Comun General di Fassa e guidato dall’allora Procuradora Cristina Donei questi temi li aveva già presenti. Erano stati sviscerati in modo ampio discutendo anche di sociale, di qualità del lavoro, di recupero degli edifici dismessi, di consumo di suolo, di qualità. Ma allora furono proprio gli albergatori l’unica voce critica che non accettava le analisi impietose portate dal volontariato e dal rimanente settore lavorativo e produttivo della valle. Subito dopo, la destra di Fassa, guidata dalla Lega, strappò il Comun General ai ladini più coscienti e ogni riflessione venne cancellata. Ora il sasso è stato rilanciato.
All’assessore Failoni piace scherzare
Nella diversità delle situazioni i problemi sono simili su tutte le Alpi. A Riva del Garda come a Campiglio. Nel vicino Alto Adige, solo un anno fa, la val Badia ha detto no alla candidatura per i mondiali di sci alpino del 2029. Abbiamo già troppo - si era detto nei consigli comunali. In val Gardena, a Ortisei, i dubbi sull’opportunità dell’evento sono trasversali alle forze politiche: solo nell’alta valle, ormai privata di ogni spazio vivibile di natura e paesaggio, ancora si insiste nel promuovere l’appuntamento. Alle Tre cime di Lavaredo, da luglio fino a metà settembre, la situazione è insostenibile. Il versante delle magnifiche torri, da Misurina fin sotto le rocce, si trasforma in un unico parcheggio: vi si arriva a contare oltre 3000 auto al giorno. Le Dolomiti trasformate in una camera a gas.
Nell’inchiesta del Nuovo Trentino, a Campiglio il direttore dell'Azienda di promozione turistica dott. Bruno Felicetti ha sostenuto la necessità del numero chiuso nella vendita dei giornalieri nelle giornate di punta, nei fine settimana, per interdire in modo soft il turismo del mordi e fuggi. Potrebbe avvenire 6-8 volte in una stagione, ma sarebbe già qualcosa. Ammette Felicetti: “Gli sciatori, quando trovano le piste intasate, non si divertono, tornano a casa scontenti. Si è superato il limite. Conta di più investire nella qualità e nella continuità delle presenze, allungare le stagionalità”.
Se gli operatori turistici si confrontano sul loro specifico tema, alberghi o aree sciabili, è evidente che qualcosa di importante si è rotto nel giocattolo del turismo, un’economia sempre più invadente, mai sazia, forte nel rincorrere numeri e cieca nei confronti della comunità. Non serve leggere l’ultimo lavoro di Michil Costa, “FuTurismo”, per comprenderlo (il libro ha vinto il Premio ITAS al Film Festival della montagna di Trento 2023 nel settore Ricerca e Ambiente). In valle di Fiemme i giovani, i dipendenti delle strutture sanitarie o assistenziali, gli insegnanti, per trovare un alloggio in affitto a costo ragionevole devono spostarsi verso Cembra. In valle di Fassa. per motivi logistici. non ci sono alternative, quindi il personale non accetta il lavoro, né nei servizi, nel pubblico, e nemmeno nel turismo. Chi è fortunato a trovare lavoro per 1400-1500 euro al mese (paghe già alte) non ne può spendere 800-1000 per un affitto. Così succede a Cortina: i residenti scappano dal loro paese e comprano un alloggio o vanno in affitto anche a trenta km di distanza. I figli della montagna vengono cacciati perché costretti dalle cieche conseguenze della monocultura turistica.
Nell’inchiesta condotta dal quotidiano si intervista anche l’assessore al turismo Roberto Failoni. A tutti sembrerebbe ovvio che le risposte a un disagio ormai incancrenito debbano venire dalla politica. L’assessore invece la butta sullo scherzo: “Non vedete che nevica?”. E su Panarotta, l’esperienza di successo di un inverno con impianti chiusi: “Non ho notizie, approfondirò non appena dispongo di numeri”. E sui cambiamenti climatici? “Non c’è troppo da preoccuparsi, non credo ci siano troppi turisti, miglioriamo la loro distribuzione nel tempo”.
Sono risposte previste da chi conosce il personaggio, abituato a ospitare il guru della Lega, Matteo Salvini, ma poco propenso all’analisi e alla riflessione. Risposte che mettono in evidenza il profilo culturale e sociale della giunta provinciale che ci governa da cinque lunghi anni.
A Bolzano si ragiona diversamente. L’assessore provinciale al turismo Arnold Schuler è stato esplicito: “Il nostro territorio è arrivato a un livello di sfruttamento che non va superato”. E da Halstatt, in Austria, patrimonio mondiale UNESCO, nella lotta contro l’overtourism, si impongono sul lago le barriere in legno anti-selfie. Il messaggio è esplicito: se venite ad Hallstatt per un selfie meglio rimaniate a casa. Failoni ha presente queste situazioni?
Un turismo senza governo
In mille occasioni sono stati affrontati gli effetti negativi che la monocultura turistica porta nelle montagne. Un tema trattato da alpinisti (fra tutti, Enrico Camanni), antropologi, sociologi, docenti di economia e scrittori. Ma anche dall’ambientalismo, negli anni ‘80-‘90 del secolo scorso in analisi approfondite da SOS Dolomites, da CIPRA, dal Segretariato della Convenzione delle Alpi, da Dolomiti UNESCO (2018, a Sesto Pusteria, il convegno sul numero chiuso). In Fiemme fin dal 1987 il Comprensorio aveva sostenuto un’analisi di marketing sul turismo che arrivava a una conclusione oggi consolidata: “Il turismo privilegia i luoghi validamente tutelati”. O dalla giornalista e ricercatrice Astrid Marzola nel suo studio, curato con la collaborazione dell’Istituto Culturale ladino pubblicato da UCT nel 2011: “A che svelup ge corone pa do?” (Quale sviluppo rincorriamo?). Già allora la studiosa, riprendendo anche le proposte provenienti nel 2003 da Moena (collaborazione fra ambientalisti e operatori economici), denunciava il deterioramento dei legami di comunità, la presenza di una montagna che aveva rinunciato a pensarsi come tale, che aveva scordato di pensare a se stessa, che aveva rinunciato a governare il turismo.
Bene, se da quasi quarant’anni queste riflessioni sono presenti nelle comunità e in tanti studi, perché si è insistito a percorrere una strada opposta, incapace di equilibrio?
Perché ancora oggi a Campiglio si invoca il collegamento attraverso le aree intonse di Serodoli, in Fassa si pretende un nuovo collegamento da Pera a Pala del Geiger, a Moena si sostiene la follia del collegamento dal paese verso Valbona, ad Alba-Ciampac si vuole un nuovo bacino di innevamento, si sono allargate le aree sciabili verso il Belvedere (Canazei) e in Marmolada? Perché, nonostante tutto sia pronto per regolamentare severamente i transiti sui passi, l’assessore altoatesino rivendica il bisogno di ulteriori studi e umilia la proposta di personalità di alto profilo sociale e economico che ne proponevano la parziale chiusura per due ore al giorno?
Sono domande rimaste senza risposta. La politica insiste nel proporre un turismo mangiatutto, territorio, paesaggi e culture, fine a se stesso, rivolto alla massificazione, che trascura ogni visione sociale e i reali bisogni di cura e gestione dei territori. Si contraddicono le mature riflessioni degli albergatori di Fassa, di alcuni direttori delle APT, del saggista e già consigliere provinciale Michele Nardelli (coautore di “Inverno liquido”), che sembra invocare nel deserto “un turismo delle relazioni, che non significa rinunciare all’intrattenimento, ma che permette ai territori di vivere ed evolversi senza ridursi a uno stereotipo e ai visitatori di capirli... Non possiamo trasferire le dinamiche urbane del fondovalle in alta quota”.
È urgente che la politica raccolga il confronto e lo traduca in azioni dirette, coerenti. Con le tante crisi del settore e una crisi climatica che ancora non ha mostrato il suo volto più feroce, il cambiamento andrebbe accelerato. Anche per invertire una tendenza ormai consolidata. Lo afferma Corrado Del Bò, docente di etica del turismo all’Università di Bergamo: “Va in scena la turistificazione, ovvero la sostituzione di una comunità con una non comunità come quella turistica”. Se risulta ormai impossibile invertire questo processo in valli come la Rendena e Fassa, ci sono ancora ampie possibilità di intervenire in Fiemme, nel Primiero, negli altipiani di Folgaria, in valle di Ledro. Importante è iniziare da subito, senza più attendere volumi di analisi. Con scelte precise e partendo da un obiettivo assoluto: non si deve più consumare suolo libero da insediamenti.