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Il presidente, i militari e i “trentini”

Brasile: Lula prova a ridurre a più miti consigli i militari. E fra le centinaia di arrestati a Brasilia spuntano i primi “tirolesi italiani”

Sabato 21 gennaio il presidente del Brasile ha deposto il comandante dell’esercito, generale Júlio Cesar de Arruda, nominando al suo posto il generale Tomás Miguel Miné Ribeiro Paiva, che in passato aveva collaborato con l’allora presidente Fernando Henrique Cardoso e ultimamente col numero due di Lula, il moderato vicepresidente Geraldo Alckmin.

Intanto, dopo il tentativo di golpe dell’8 gennaio a Brasilia, iniziano ad essere divulgate le liste di centinaia di nomi di persone arrestate per terrorismo a seguito di quei fatti e tra loro affiorano dei cognomi trentini.

Luis Inácio Lula da Silva ha deciso di provare a fare i conti con quell’esercito che ha favorito ed organizzato le migliaia di oppositori che all’inizio di gennaio hanno assaltato i palazzi del potere a Brasilia. La nomina di Ribeiro Paiva va in questo senso. Il militare, che possedeva tutte le caratteristiche per assurgere ai vertici dell’esercito, recentemente si era espresso in maniera inequivoca sul fallito golpe, chiedendo a tutti il rispetto dei risultati elettorali che hanno visto Bolsonaro perdente nelle urne con 3 milioni di voti in meno rispetto a Lula. L’esercito, ha dichiarato il generale, deve mantenere una postura apolitica e non schierarsi a fianco di nessun partito.

Tutto si avvia alla soluzione in Brasile dopo che le fondamenta della democrazia sono state scosse dal tentativo di golpe, organizzato da mesi, che ha visto uno dei manifestanti penetrati nelle istituzioni calarsi i pantaloni e defecare su una scrivania all’interno del Parlamento (il video ha impazzato sui social)? Non è proprio così, non per il momento. Già nel 2014 la presidente Dilma Roussef (anche lei del P.T.), messa all’angolo dai poteri forti e tra questi quello militare, aveva nominato a capo dell’esercito un generale - Eduardo Villas Bôas - ritenendolo su posizioni democratiche, che si era poi trasformato in uno dei fautori del ritorno alla politica attiva dei militari. La battaglia per Lula sarà dunque lunga e la posizione “interventista” e antidemocratica dei militari, specialmente dell’esercito, peserà ancora sulla libertà di azione del presidente di sinistra. Proprio il tentato golpe dice quanto gli alti gradi si sentano liberi di agire, certi della loro impunità. Lula ha sostituito il capo dell’esercito, ma il prossimo passo dovrebbe essere la messa sotto accusa di chi ha favorito la nascita di cittadelle “rivoluzionarie” davanti alle proprie sedi di comando, rifocillandoli per settimane. Per poi lasciarli scatenare senza intervenire, in attesa di una presa del palazzo d’inverno da parte di chi (Bolsonaro ha avuto più del 48% del voto popolare) non vuole la sinistra al governo ed è disposto ad avventure antidemocratiche.

I nomi di molti di coloro che hanno vandalizzato le sedi del potere democratico, e sono stati denunciati alla magistratura o anche arrestati, sono stati portati a conoscenza del pubblico. Tra gli accusati di terrorismo (ma anche associazione criminale, attacco violento allo stato di diritto, colpo di stato e altro) appaiono cognomi che vengono dal Trentino: Gadotti, Murara, Dallabona, Pisetta. Gente che risiede in città che hanno conosciuto cospicui afflussi di famiglie dalle zone trentino-brasiliane storiche nell’arco dei 147 anni che ci separano dall’arrivo dei primi tirolesi-italiani in Santa Catarina. Cognomi di origine trentina, ma persone e comunità ormai ampiamente brasiliane anche se portatrici di un “profumo di identità” che ha ancora dei legami con la cultura che veniva dalle Alpi. Comunità catarinensi, di lontane origini tedesche, italiane, tirolesi-italiane, ma anche luso-brasiliane, che al ballottaggio tra Lula e Bolsonaro hanno dato a quest’ultimo il 70% delle preferenze contribuendo a fare di Santa Catarina una roccaforte di quella destra brasiliana che non riconosce i risultati delle elezioni e parla di brogli senza portarne le prove. In un paese in cui la lotta politico-ideologica ha assunto caratteristiche di virulenza e violenza al limite, e anche oltre, di un normale dibattito democratico.

Ma che fine ha fatto l’ex presidente che quei rivoltosi aveva ispirato e che era riparato in Florida due giorni prima della nomina ufficiale di Lula da Silva alla presidenza della Repubblica, dichiarando che sarebbe rientrato in Brasile entro il 31 gennaio? Non tornerà per quella data. I suoi portavoce informano dagli Stati Uniti che è ricoverato in una clinica per un blocco intestinale causato dalla coltellata ricevuta al tempo della campagna presidenziale del 2018 da un oppositore. Ma promettono che il suo ritorno in patria è solo procrastinato. È in Brasile, dicono i suoi portavoce, che Bolsonaro vuole sottoporsi ad un intervento chirurgico. Chissà.

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