Non si sfama il mondo con le monocolture
Dalla Pusteria e dalla Venosta esperienze innovative in agricoltura
Mentre i politici e amministratori si inchinano ai potenti e danno la stura ad aeroporto e cementificazioni, mentre risuona sui mass media del proprietario unico, direttamente dalle loro bocche, il bla bla di promesse di cambiamenti finanziati dal Recovery Found, nelle valli sudtirolesi cresce un fermento che indica un’idea diversa dell’economia e della vita. Il turismo dolce della Bassa Atesina sarà annientato dalle decine di voli che la sorvoleranno. La Provincia non ha fatto nessun progetto innovativo che riguardi l’agricoltura, un settore fondamentale sia per il benessere che per l’inquinamento. Ma in Val Venosta e in Val Pusteria crescono intanto esperienze innovative che ricollegano la tradizione con le tecnologie moderne.
Sono contadini che producono cibo buono e pulito per il territorio, rispettando i lavoratori e gli animali, e ottengono successo, attraverso i mercati contadini e gli acquisti solidali. Chiedono un cambiamento radicale di Provincia e UE e di ascoltarli e non sottomettersi all’agribusiness, agli interessi dell’industria agricola multinazionale. Non si tratta solo delle organizzazioni dei contadini biologici, le proposte vengono anche da iniziative di carattere democratico-partecipativo, come quella della sindaca di Schenna, che ha istituito consigli di cittadini per raccogliere e discutere pareri e idee dal basso, avvicinando l’amministrazione agli amministrati. Decine di alberghi e ristoranti hanno stabilito collaborazioni stabili con produttori agricoli biologici per offrire ai clienti pasti con prodotti locali e di qualità elevata.
La via di Malles/der Malser Weg ha svolto un ruolo di apripista in questo campo, trasformando il problema dei pesticidi in agricoltura in un movimento popolare che coltiva relazioni intense in Italia e in Europa per cambiare l’agricoltura. Ha partecipato alla raccolta delle firme per la petizione europea “Salviamo Api e Agricoltori”. Un milione e quasi 200.000 cittadini e cittadine di 8 paesi europei chiedono che l’Unione approvi un piano di uscita dall’uso di pesticidi entro il 2035. La petizione, che dovrà essere valutata dalla Commissione e poi presentata al Parlamento europeo, è indirizzata al vicepresidente della Commissione e commissario per il Green Deal Frans Timmermans, a Stella Kyriakides responsabile per la salute e la sicurezza alimentare europea e a tutti i ministri dell’ambiente degli stati europei. Sono proprio questi ultimi che da tempo bloccano la proposta della Commissione di eliminare alcuni pesticidi particolarmente tossici.
Tre le richieste chiave della petizione: eliminazione graduale dell’uso di pesticidi sintetici, misure per il recupero della biodiversità, sostegno agli agricoltori. Tre cose che vanno insieme.
250 associazioni agricole e sociali hanno appoggiato la petizione.
In Val Venosta hanno molto da dire sull’agricoltura sostenibile. Non si tratta solo di rinunciare ai pesticidi, spiega Martina Hellrigl, fondatrice di Vinterra, cooperativa sociale di Malles che ha come scopo “l’integrazione di gruppi sociali marginali in un ambiente di lavoro strutturato e redditizio che sia in grado di offrire loro prospettive future”: “Io posso raccontare la nostra esperienza, quella di un’azienda che nei suoi diversi aspetti è a tutti gli effetti sostenibile. Accanto all’attività agricola, con la quale abbiamo cominciato, ma che è solo una parte del nostro progetto, ha molto spazio l’aspetto sociale. Prestiamo molta attenzione a che le condizioni di lavoro siano buone, perché riteniamo che nel concetto di sostenibilità non rientri solo la cura del terreno, ma anche quella delle persone che ci lavorano. Quello che io osservo e ogni giorno ancora mi sorprende è il grande sapere che c’è dietro l’attività agricola, soprattutto all’agricoltura ecologica, che è un sistema molto complesso e richiede che si tengano in considerazione moltissimi elementi diversi”.
Alexander Agethle di Schleis/Clusio, frazione di Malles, ha ereditato l’Englhof, un maso di 200 anni, ha studiato e fatto esperienze in tutto il mondo e poi ha deciso di rivoluzionare la sua attività: mucche di razza bruna originarie delle Alpi, foraggi locali per gli animali invece di soia importata dal Brasile, formaggi biologici. Per allargare l’azienda comprando il caseificio accanto ha usato il crowdfunding e l’ethical banking. Si comprano buoni e si viene ripagati in formaggi buoni. Un’applicazione positiva del concetto di prosumer, il consumatore non passivo, che partecipa alla produzione, con vantaggi sociali, ambientali e in parte economici. Agethle e la moglie hanno avuto successo (guardate in Internet la loro affascinante storia), ma questa imprenditorialità agricola ecologica è diffusa in parecchie situazioni in Sudtirolo, e anche in Trentino.
Il portavoce dell’associazione La Via di Malles, il farmacista Unterpertinger, cita Vandana Shiva. L’ambientalista indiana a Malles, dov’è andata nel 2019 a sostenere gli abitanti nella loro battaglia, ha detto, rivolta ai giovani di FridayForFuture: “Ragazzi, voi avete ragione. Ricordatevi, la miglior protezione del clima è la conservazione della biodiversità e questo è possibile solo attraverso un’agricoltura ecologica, senza pesticidi”. Aggiunge il farmacista, che rappresenta un movimento complesso, in cui si agisce e si manifesta, ma anche si studia accompagnati da scienziati e attivisti (vedi: https://www.der-malser-weg.com/it/ category/storia): “L’esempio più eclatante al mondo è il piccolo Stato indiano dell’ Andhra Pradesh: 50 milioni di abitanti, accompagnati da Vandana Shiva, dimostrano giorno dopo giorno che attraverso l’agricoltura ecologica non solo si può nutrire tutta la popolazione, si può proteggere il pianeta e la salute delle persone, ma si può anche produrre in esubero”.
A questo proposito Andreas Riedl, presidente del Dachverband für Natur und Umwelschutz (Confederazione per la natura e l’ambiente) dice: “Alla fine sono solo motivi economici quelli che portano avanti l’agricoltura intensiva. E a questo punto dovremmo essere sinceri e dircelo in faccia: nella società moderna ci lasciamo trainare solo dagli interessi economici. Così potremmo finalmente riuscire a superare tutto questo, perché riconosceremmo che non ci sono altri motivi per portare avanti questo tipo di agricoltura: non nutre la gente, perché per la maggior parte serve a nutrire il bestiame e produrre energia. Il 75% della popolazione mondiale è invece nutrita dai piccoli coltivatori” (intervista di Sara Anfos).
I coltivatori parlano della necessità urgente di un riavvicinamento tra la gente e l’agricoltura. Antonia Egger Mair, contadina che vende i suoi ortaggi al mercato dei contadini: “Negli ultimi anni ci siamo abituati a spendere sempre meno per i prodotti che mangiamo, a trovarli nel supermercato a prezzi stracciati. Ma quei prodotti non sono necessariamente salutari per noi, per il terreno su cui vengono coltivati e per le persone che ci lavorano. A volte non si bada a spese per comprare un’auto nuova, il cellulare di ultima generazione o il televisore più grande. Perché risparmiare proprio sulla qualità del cibo?” E conclude: “Un presupposto molto importante per fare in modo che si realizzi un’agricoltura sempre più ecologica, ma in senso più ampio un sistema sempre più ecologico, è quello di partecipare. Il vantaggio di cooperative come BGO (Cooperativa di Comunità dell’Alta Val Venosta) o Vinterra è proprio quello di poterne diventare soci”.
Sul tema dell’adeguamento della produzione al fabbisogno della popolazione, usato spesso come arma contro l’agricoltura biologica, dice Riedl: “In Alto Adige abbiamo una forte specializzazione in pochi prodotti: produciamo prevalentemente mele, vino e latte, in elevate quantità. Non serve a niente produrre grandi quantità di pochi prodotti per poi venderli in altre regioni o all’estero... La produzione globale annuale al giorno d’oggi potrebbe sfamare circa 12 miliardi di persone, ma un terzo di ciò che produciamo viene perso: lo buttiamo via oppure non raggiunge il consumatore perché non può essere stoccato. Non può essere il nostro primo obiettivo quello di rispondere al fabbisogno della popolazione mondiale con mele, vino e latte (che in Sudtirolo viene comunque importato anche in grandi quantità, n.d.r.). Secondo me la priorità deve tornare a essere quella di produrre per il mercato locale e aumentare la varietà. Il modello attuale ha un focus eccessivamente globale dell’economia e dell’agricoltura, il che dipende dal fatto che le maggiori industrie e le multinazionali hanno bisogno di espandere costantemente i loro mercati per sopravvivere. Questo approccio tiene poco conto delle peculiarità locali e regionali, negando e spesso annullando le specificità di un territorio e della popolazione che lo abita”.
Queste considerazioni e il dibattito che coinvolge sempre più giovani contadini e soprattutto contadine, sono ignorati dal Bauernbund, la potente lega dei contadini, che difende a spada tratta monocolture, agricoltura convenzionale e privilegi.
La politica provinciale respinge regolarmente le proposte di modernizzare in senso ecologico e “ripulire” l’agricoltura locale: qualche settimana fa è stata respinta in Consiglio provinciale perfino una mozione delle opposizioni che prevedeva fosse istituito un osservatorio sui pesticidi in agricoltura. Meglio non saperne niente? L’assessore provinciale, nel suo programma per l’agricoltura 2030, scrive che “deve essere rafforzata la considerazione sociale nei confronti dei contadini”. Ma lui li rispetta i contadini veri? O solo gli industriali dell’agricoltura? E invece vietare un po’ di veleni o informare in quali cibi si trovano o non si trovano i pesticidi non sarebbe più efficace? E ridurre le monoculture per ampliare le quali cui si tagliano ancora i boschi? E sostenere produzioni di alimenti variati e favorire il consumo stagionale, invece di importare tutto da fuori regione?
Mentre scrivo è arrivata la notizia della morte di Desmond Tutu. Sono stata in Sudafrica, dal 26 agosto al 4 settembre del 2001, al vertice mondiale dell’ONU sullo sviluppo sostenibile. Lì ho sentito parlare Mandela in uno stadio incantato. Però ho letto soprattutto ciò che scriveva il vescovo (anglicano) Tutu. Nel suo libro “Non c’è futuro senza perdono” racconta la sua idea e la realizzazione della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, che oltre a evitare una guerra civile dopo la fine dell’Apartheid, costituisce un contributo fondamentale alla costruzione di una via di pace nei luoghi del mondo dove ci sono conflitti. Speriamo che la sua morte, come talvolta accade, ne faccia ricordare il pensiero e l’opera, per chi lo piange e per chi non l’ha conosciuto.