UNESCO: soprattutto marketing
Mountain Wilderness ha presentato ai vertici UNESCO un dossier ricco di osservazioni critiche elaborato da undici associazioni ambientaliste.
La voce dell’ambientalismo italiano in difesa delle Dolomiti è arrivata a Parigi, presso i più alti vertici di UNESCO e dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN).
Mountain Wilderness è stata chiamata a illustrare il dossier che undici associazioni ambientaliste nazionali e alcune locali hanno sottoscritto (Mountain Wilderness, Amici della Terra, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Federazione Pro Natura, WWF, Dachverband, Lia Natura Y Usanzes, Peraltrestrade ed Ecoistituto del Veneto Alex Langer).
Si tratta di un dossier severo che illustra i temi principali che hanno portato le associazioni ad un giudizio molto critico nei confronti della Fondazione Dolomiti UNESCO (per i dettagli, vedi su Questotrentino gennaio 2020 “Dolomiti UNESCO. Un incubo?” e altri servizi negli anni precedenti).
L’incontro (online ovviamente) ha grande rilevanza almeno per due ordini di motivi. Il primo riguarda il riconoscimento offerto alle associazioni ambientaliste come interlocutori nei confronti di UNESCO.
Il secondo aspetto è la grande attenzione con la quale i tecnici hanno dimostrato di aver letto il dossier e la volontà di approfondirne i punti più critici. UNESCO infatti ha il potere di monitorare la coerenza della gestione che ha permesso l’iscrizione delle Dolomiti nella lista del patrimonio mondiale. Le associazioni da tempo ritengono che la Fondazione abbia un’unica attenzione: sostenere l’incremento turistico nei beni da conservare.
Come? Con azioni di marketing, con l’uso spregiudicato del marchio (diffuso a tutto l’areale dolomitico, non solo riferito ai territori tutelati). Una azione che viene giustificata in quanto UNESCO sviluppa finalità culturali, approfondisce conoscenze e specialmente vuole diffonderle. Certo è che nel decennio l’areale delle Dolomiti ha visto un incremento dei flussi turistici di circa il 10%. Non si ravvisava proprio questa necessità, un investimento nel turismo di massa. Nel contempo nulla è stato fatto per indirizzare alla qualità, per attuare quanto definito e condiviso, anche con le associazioni ambientaliste e alpinistiche, nella gestione sostenibile dei territori.
Un solo esempio. Da almeno due decenni è evidente a tutti che in determinati periodi e zone gli accessi vanno regolamentati severamente. Oggi alcune di queste emergenze sono dirompenti: al Lago di Braies nel 2018 si è avuto il record di oltre 17.000 presenze in un solo giorno, una media di oltre 9.000 giornaliere nell’estate intera. Le Tre Cime di Lavaredo, il lago di Tovel e i passi dolomitici da anni attendono soluzioni serie, definitive in quanto areali delicati e ormai soffocati dalle auto. Se in alcune di queste emergenze gli enti locali sono intervenuti come a Braies, Tovel o in val d’Ambiez, in altre i territori sono abbandonati a se stessi: vedi i passi dolomitici, le Tre Cime come già ricordato, il lago di Sorapis. Intanto si procede con convegni, molto seri e studi che confermano quanto è evidente a tutti.
Così non si può andare avanti. Il presidente della Fondazione Dolomiti UNESCO Mario Tonina, certo più presente del precedessore, mantiene però il suo standard: sorride, è conciliante, parla di condivisione e sostenibilità, senza imporre ai suoi colleghi, specialmente veneti, alcuna scossa.
Un secondo aspetto che preoccupa gli ambientalisti riguarda l’impiantistica invernale (e la antropizzazione delle alte quote accanto alle piste, strade, rifugi, baite sempre più ampi e fuori misura). Gli appetiti sono sempre più aggressivi. Ora si approfitta dei prossimi mondiali di sci alpino a Cortina (febbraio 2021) e delle Olimpiadi invernali Cortina-Milano 2026: si stanno progettando collegamenti mostruosi. Da Cortina verso la val Badia, da Cortina verso Arabba e quindi l’assalto alla Marmolada, da Cortina verso il monte Civetta e quindi in un secondo tempo verso il Pelmo, il Comelico (vedi QT febbraio 2018 e settembre 2019). In pratica, un insieme di ulteriori sfregi che sommati all’incubo Serodoli e ad altro ancora porterebbero a stracciare quel poco di integro che è rimasto nelle Dolomiti.
Le associazioni hanno così potuto evidenziare non solo l’incapacità, ma anche l’assenza di volontà nella Fondazione di “interagire efficacemente mediando interessi locali e politici”, e l’inerzia nell’applicazione di azioni di tutela e conservazione delle Dolomiti in coerenza con il Piano di Gestione 2040.
UNESCO e IUCN hanno ammesso la loro impossibilità di intervento diretto: lo faranno solo quando si intaccherà uno dei nove gruppi del patrimonio, in pratica quando si demoliranno le montagne, vista la ristrettezza degli ambiti tutelati e il loro riferimento residuale alle rocce e a qualche ghiaione; nella sostanza possono chiedere chiarimenti, ma non possono influenzare il livello politico decisionale.
Comunque gli enti internazionali si sono impegnati ad interagire con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed il Comitato Italiano UNESCO chiedendo approfondimenti nel merito delle problematiche sollevate dal Dossier, anche per valutare quali siano le strategie attuate per gestire questo aumento dei flussi turistici nel sito UNESCO.
La Fondazione, invece di promuovere solo studi, per quanto accurati, ora dovrebbe agire. A Parigi, presso UNESCO, ci si illude che la crisi dovuta al Covid si riveli un’opportunità per riscrivere le regole di un nuovo turismo sostenibile, ovvero rispettoso delle tutele che permettono alle generazioni future di beneficiare dell’integrità del Patrimonio e più in generale degli ambienti naturali.
La componente politica che guida il Triveneto, quindi la Fondazione, è invece perlomeno inadeguata ad affrontare una simile sfida, è priva di visione, è ancorata ai vecchi modelli di sviluppo: cemento, strade, impianti di sci.
Senza dubbio le associazioni manterranno attenzione, pressione attiva nei confronti del ministero e delle Regioni, come verso la Fondazione.
Per coerenza con il lavoro svolto, Mountain Wilderness è uscita dal collegio dei soci sostenitori. In dieci anni di attività la presenza dell’associazione si è infatti rivelata inutile: nonostante l’impegno propositivo nessuno dei documenti approvati dal Consiglio di amministrazione ha avuto seguito (motori, eventi in quota, traffico sui passi, impianti obsoleti, riordino paesaggistico, recuperi naturalistici).
L’emergenza Dolomiti sollevata dalle associazioni dovrebbe portare l’UNESCO a riflettere con maggiori approfondimenti sul rilascio di certi riconoscimenti. La sua inadeguatezza nell’intervenire nella tutela dei beni priva l’ente di credibilità sia presso le popolazioni locali (un carrozzone) sia presso la comunità culturale e scientifica internazionale. Riflettiamo solo su alcuni riconoscimenti recenti: l’area del Prosecco a Conegliano (TV), una zona avvelenata dai pesticidi e paesaggisticamente devastata, ora ambito oggetto di speculazione agricola. Oppure alla superficiale dichiarazione dell’alpinismo bene immateriale patrimonio dell’umanità.
Quale alpinismo, quello di Simone Moro che svolazza da un gruppo all’altro in elicottero, quello competitivo della velocità in arrampicata? Decisioni, accanto ad altre che stanno maturando, sicuramente discutibili.
Ritornando alle Dolomiti, UNESCO interverrà solo in casi estremi, probabilmente a danno avvenuto. Infatti le Dolomiti rispondono a due quesiti specifici: il paesaggio e la geologia. Dimostrare che questi due parametri vengono sconvolti o vengono meno non è semplice, specie per dei volontari oltretutto privi di qualunque sostegno economico esterno.