“La panchina gialla”
Un albero e sei matti, un libro di Lorenzo Avi, Trento, Edizioni del Faro, 2020, pp. 189, euro 14.
Il più normale è l'albero, la voce narrante. Ma anche lui ha qualche problema, a cominciare da una crisi d'identità: è un acero, un pioppo, un frassino...? Sorge solitario sul prato dell'ospedale psichiatrico e non ha attorno fratelli con i quali confrontarsi. Lì piantato nel terreno, può appena intravedere attraverso le finestre quel che accade all'interno del manicomio e lui, curioso com'è, si dedica a fantasiose ricostruzioni di quanto sta accadendo. E poi parla (crede di parlare), ma chissà perché nessuno gli dà retta, anche se un sotterraneo rapporto di affetto riesce ad instaurarsi con qualcuno degli ospiti. Cerca perfino - invano - di spostarsi quando viene preso di mira da Ettore, uno che per abbattere gli ostacoli che lo escludono dalla vita, ogni tanto si lancia a testa bassa contro i muri e perfino contro il pancione della moglie incinta, che per questo lo ha fatto ricoverare.
La sua preferita - ama abbracciare il suo tronco - è Laura, già devastata da una madre insicura, logorroica e bizzarramente ossessionata dal prezzo esoso delle lavanderie, anch'essa ricoverata.
La triste Olivia, guastata dall'arida indifferenza dei genitori, alla fine li ha uccisi ed ora, incapace di relazionarsi col prossimo, nasconde bigliettini e chissà che altro in una sua buca scavata nel prato.
Anche Godhell ha ucciso, anzi, è un pluriomicida, ma suo modo etico e razionale: "Non avrebbe più combattuto come militare, non avrebbe mai iniziato a uccidere per ordine altrui; avrebbe però ucciso ancora nei momenti in cui ci fossero state motivazioni sufficientemente convincenti". (...) Ciò che lo faceva inorridire era che qualcuno potesse essere andato oltre l'omicidio, oltre il semplice uccidere una persona come soluzione di un problema".
Infine, c’è il signor Palermo, amante della conversazione anche dopo aver perso la voce.
Siamo in anni ante-Basaglia, ma l'elettroshock e tutto il resto, come pure i rapporti con i medici, gli infermieri e gli altri numerosi internati, rimangono sullo sfondo. Lo scopo del racconto un altro: mostrare quali esperienze possano farci smarrire la nostra normalità, e come a quel punto appaiano normali, se non inevitabili, le pazzie, tenere o violente, che a quel punto si scatenano in noi. Così, la storia dei rapporti fra i sette protagonisti è ripetutamente interrotta dal racconto di quanto è successo, "prima", a ciascuno di loro.
Aboliti i manicomi con la Legge 180 (siamo dunque alla fine degli anni '70) e allontanati gli ospiti verso una destinazione che ignora, l'albero soffrirà lunghi anni di solitudine (dieci anelli sul tronco), poi l'edificio riprenderà vita, con un quasi lieto fine da non raccontare. La silenziosa sentinella finalmente verrà a sapere di essere una quercia, ma ancora non si rassegnerà a veder misconosciuta la sua facoltà di parola: "Unica nota stonata della giornata, il sindaco che proclama, davanti a tutti, la mia incapacità di raccontare la storia del manicomio, ma io potrei essere perfettamente in grado di narrarla. Avrei voglia di farlo".
Questo breve romanzo, opera di un trentino cinquantenne alla sua prima prova letteraria ma con qualche precisa competenza nel tema che tratta (lavora come educatore sociale nel sostegno a persone con disagio psichico), è qualcosa di più di una favola per adulti. È un breve romanzo scritto con passione e appassionante, di quelli che, arrivato in fondo, vorresti veder proseguire, nel quale circola un'atmosfera di "realismo magico": non quello scintillante dei latino-americani, ma più composto, rarefatto. A me è venuto in mente Dino Buzzati, e scusate se è poco.