Caro Comune, in ogni caso ti querelo
Storielle di ordinaria amministrazione (e sentenze inquietanti)
“Non c’è più religione” si lamentò il preside, a cui uno dei soliti studenti-delinquenti- rispose: “Allora vuol dire che andiamo a casa un’ora prima” - raccontava Domenico Starnone in uno dei suoi articoli apparsi sul Manifesto sulle esperienze di insegnanti ex sessantottini in un liceo romano.
Si trattasse soltanto di questo! È ben vero che nella nostra società secolare la religione tradizionale non ha più un valore particolare, ma mi pare che siamo vittime di una nuova religione, una curiosa (e schifosa) mescolanza di anti-etica addebitabile alla neoliberale “Ego spa.” e di etica da Stato omnipresente e benefattore. Insomma, lo Stato, le istituzioni pubbliche, vadano a quel paese quando il mio egoismo (economico) non tollera limiti imposti da leggi o ordinanze, ma devono far sì che i cittadini siano liberi da ogni rischio provocato da ciò che combinano nella loro autonomia. Sembra di essere alla fine sia della convivenza civile che della responsabilità personale. E la giurisprudenza dei tribunali pare che agevoli queste tendenze sociopatologiche.
Recentemente, la Corte Suprema (ultima istanza del diritto civile) ha dato ragione a una querela basata sugli articoli 1319 e 1319 bis del Codice Civile, i quali stabiliscono se e in in quale misura (a seconda del grado della negligenza) una persona, anche giuridica, deve rispondere per danni provocati da “opere” (costruzioni o altri oggetti, ovviamente anche strade e vie) difettose.
La storia: nella centrale Maria-Theresienstrasse è situata una fontana con una grande vasca su un ampio piedistallo, dove in estate si siedono tanti; per accedervi da un lato c’è una rampa, dall’altro un gradino. Una signora che non si era accorta di essere salita sulla rampa è caduta dall’altro lato e si è fatta male. Ha quindi querelato l’amministrazione comunale, perché con un difetto di costruzione negligentemente ignorato dai responsabili avrebbe provocato quell’incidente. E i giudici le hanno dato ragione.
La Corte Suprema ha sempre ragione e le sentenze vanno rispettate. Ma in quale mondo vivono questi signori? Dovremmo forse dipingere grandi segnali gialli di pericolo davanti ad ogni piedistallo di fontana, davanti ad ogni gradino, o costruire un parapetto di fronte ad ogni rischio potenziale? Chi cammina nella zona pedonale non deve guardare un po’ dove mette i piedi? Tali sentenze sono pressoché inviti alla irresponsabilità: Videant consules, l’amministrazione comunale mi garantisca contro ogni pericolo, soprattutto quello che potevo evitare con un pochino di attenzione da parte mia.
Grazie a dio, la giurisprudenza su questi casi è contraddittoria, ci sono anche sentenze del tutto diverse. Ad uno che ha querelato il Comune perché durante una partita di ping-pong in un parco urbano è caduto, probabilmente perché c’era un buco nel prato lasciato da una talpa, una corte ha risposto che dovrebbe sapere che un prato in un parco, sia pure comunale, non è il parquet di una sala da ballo, e i giardinieri urbani, nell’ambito della normale manutenzione, non sono tenuti a controllare minuziosamente se magari una talpa ha provocato qualche piccolo danno.
Un’altra corte ha stabilito che il fatto che in autunno le castagne cadono dagli alberi (da che uomo è uomo) è un fatto naturale (e non un difetto di una castagna piantata dal Comune), sicché uno che parcheggia la sua auto sotto un castagno (sebbene in un parcheggio a pagamento) corre un rischio evidente ad ogni persona di buon senso e dunque il Comune non deve pagare per un danno alla vernice di detta auto. Chiedere l’installazione di un tetto o di una rete anti-castagne sopra i parcheggi sarebbe un’interpretazione sproporzionata della dovuta responsabilità del Comune per le sue opere (gli alberi piantati, ovviamente, sono beni comunali).
Resta il fatto che non ci si vergogna di querelare il Comune per castagne cascate dagli alberi o per il buco di una talpa in un prato urbano. Pratiche come queste, probabilmente ogni amministratore le conosce a memoria, e ne abbiamo tante, grazie anche ad avvocati poco scrupolosi.
Ogni tanto i cittadini dovrebbero chiedersi: ma in quale società vogliamo vivere? In uno Stato autoritario che ci protegga da tutti i rischi della vita quotidiana e pure dalla nostra negligenza, o in una democrazia liberale dove siamo personalmente responsabili per i nostri passi e le nostre azioni? I diritti dei cittadini vanno rispettati e tutelati. Ma come esseri sociali abbiamo anche dei doveri, e una certa dose di civica responsabilità personale non guasterebbe.