I fiumi trentini diventeranno pietraie?
Da provincia all’avanguardia nella gestione dei corsi d’acqua a zona franca per le società idroelettriche?
La provincia di Trento, specie se raffrontata al resto dell’Italia, vanta un’immagine d’avanguardia nella gestione del patrimonio ambientale. Viene così riconosciuto un lavoro costruito attraverso decenni di lotta dell’ambientalismo trentino e grazie alla sensibilità e capacità di Walter Micheli che portò al successo una serie di normative che anticipavano perfino direttive europee. Anche chi gli è immediatamente succeduto ha saputo far maturare quella diffusa coscienza e attenzione che dalle città si diramava nelle valli; e infatti su temi strategici come la VIA, i parchi naturali, il paesaggio, l’urbanistica, il Trentino ha conquistato una visibilità positiva riconosciuta da tutte le amministrazioni regionali.
L’epoca Dellai e gli attuali amministratori stanno smantellando questi valori un po’ in tutti i campi. Dall’esterno non ci si accorge ancora di come il territorio di questa autonomia si stia omologando in peggio (alcuni dicono che ormai si guarda a Verona e si perde l’ancoraggio con il Nord), in quanto i media, incapaci di fare inchieste, spesso escono con servizi fotocopia diramati dall’ufficio stampa della Provincia, limitandosi a evidenziare alcuni presunti pregi della nostra autonomia; gli aspetti critici vengono alla ribalta solo quando si presentano situazioni di emergenza. Va anche detto che nel panorama istituzionale politico la cultura dell’ambiente è ormai scomparsa, con la sola eccezione del consigliere del Movimento 5 Stelle. Nessun altro partito fa del tema ambientale una priorità.
All’interno di questo scenario si inseriscono le recenti modifiche provinciali alle norme sul deflusso minimo vitale delle acque. Negli anni ‘90 una stretta alleanza fra associazionismo ambientalista e mondo dei pescatori impedì il realizzarsi di alcuni folli progetti di discariche di rifiuti solidi urbani negli alvei fluviali e portò la Provincia di Trento a decisioni coraggiose nel merito di maggiori rilasci di acque rispetto allo sfruttamento idroelettrico.
Dal 2000 al 2009 in tutti i bacini fluviali trentini il rilascio ha assunto dimensioni significative, fino a 4,8 litri al secondo per kmq, un deflusso minimo vitale (DMV) ben al di sopra dei 2 litri al secondo richiesti dall’Europa. In tale modo si cercava non solo di garantire la sopravvivenza della fauna acquatica di grandi dimensioni, utile all’esercizio della pesca, ma si prestava attenzione all’intera comunità biologica, all’insieme delle attività e forme di vita che un corso d’acqua garantisce, senza perdere di vista le necessità delle attività economiche che gravitano attorno a un corso d’acqua.
Un filo d’acqua
Questo impegno non è piaciuto alle grandi e medie società idroelettriche. Come abbiamo detto, la Provincia da tempo mette in secondo piano i temi ambientali e tende a favorire interessi speculativi ai danni del territorio; siamo in presenza di una vera e propria involuzione culturale.
Un recente accordo fra la Provincia e Hydro Dolomiti Energia (delibera 1798 del 14 ottobre) prevede la diminuzione dei rilasci per favorire una maggiore produzione di energia; un accordo che non ha trovato partecipazione in quanto, come accade sempre più spesso sia per le delibere di giunta che per i lavori del Consiglio provinciale, questa legislatura tende a marginalizzare la condivisione con la società civile dei processi decisionali.
Con una attenzione rivolta unicamente ai bisogni delle grandi derivazioni idroelettriche la Giunta provinciale ha così deciso di ridurre del 25% il rilascio delle acque, e in alcuni casi, bacini ampi e periferici, si arriva a decurtare il rilascio anche oltre il 40%. Questo nonostante negli anni si sia assistito a un proliferare di eccezioni e deroghe che già avevano sensibilmente depauperato i corsi d’acqua superando quanto prevedeva il Piano Generale di utilizzazione delle acque pubbliche (PGUAP).
Il monitoraggio delle varie situazioni, gestito per lo più da personale della vigilanza delle associazioni dei pescatori, già durante la siccità del 2015 aveva rilevato notevoli carenze in diversi torrenti, come il Fersina e il Travignolo, più volte ridotti a pietraie, o gli affluenti del Cjiese, luoghi dove a malapena si è mantenuto umido l’alveo.
In questi giorni l’assessore all’ambiente Mauro Gilmozzi si è così trovato perlomeno in imbarazzo quando nelle vallate ha trovato un aspro conflitto con le associazioni dei pescatori, un conflitto che sembrava dimenticato. Anche alcuni sindaci si sono fatti portavoce delle lamentale dei pescatori, come la sindaca di Valdaone Ketty Pellizzari, o Marcello Mosca di Caderzone, o il presidente del parco naturale Adamello-Brenta Joseph Masè. Scelte che sono state definite in contrasto con la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e delle risorsa acqua.
Ora l’assessore prova a correre ai ripari, afferma che occorre rivedere la delibera di giunta e riprendere un dialogo, un confronto più partecipato: una presa d’atto che comunque matura ad accordi già consolidati. Sarà difficile, a questo punto, imporre a Dolomiti Energia una maggior attenzione in tema di paesaggio e di conservazione della biodiversità nei corsi d’acqua, o riprendere dei processi partecipativi, se non all’interno di un flusso parolaio privo di concretezza nel quale questa amministrazione si dimostra efficace.
Conflitto di interessi
Un altro aspetto riguarda i controlli. Ci si chiede come possa Hydro Dolomiti Energia monitorare la qualità dei corsi d’acqua e la quantità dei rilasci, cioè essere controllore quando lei dovrebbe essere la controllata.
Il conflitto di interessi è evidente. Né si comprende come gli agenti della associazione dei pescatori possano controllare la qualità delle acque quando da tempo non vengono formati in modo adeguato e specialmente quando non possono verificare i dati delle concessioni. I controlli sono resi problematici anche dalla persistente mancata comunicazione sulle verifiche relative alla qualità delle acque: chi dovrebbe sorvegliare si trova così privo di ogni strumento di lavoro efficace. In questa situazione della vigilanza e col continuo depauperamento degli altri corpi di vigilanza ambientale non si comprende infine come possa la Provincia verificare i deflussi minimi vitali in tutte le derivazioni (come previsto dal PGUAP tali deflussi a partire dal 2017 devono essere verificati su tutti i corsi d’acqua) se il personale non c’è e viene tenuto all’oscuro dei più moderni metodi di lavoro. Anche questa dequalificazione del lavoro degli organi di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza non è casuale.
Eppure la gestione delle acque pubbliche è fondamentale per un futuro qualitativo dell’ambiente trentino e per i risvolti economici che vi sono legati. Si tratta di riprendere un filo culturale abbandonato da oltre un decennio, è necessario un salto qualitativo nella nostra normativa, non un arretramento. Non è casuale che l’Europa e il Comitato Italiano per la Riqualificazione delle Acque stiano guardando oltre il dovere del rilascio del DMV. In tutta Europa, perfino in Calabria, quando si affronta un contratto di fiume, si fa attenzione a un insieme complesso di parametri: il paesaggio, i doverosi progressi nei valori chimico-fisici della qualità delle acque, l’insieme dei valori biologici. Il fiume viene visto come un organismo vivo, quindi dove è possibile si superano le orrende canalizzazioni in cemento degli anni ‘70 e ‘80, i tomboni che causano emergenze e danni ad ogni evento alluvionale, si investe nella diffusione di una vegetazione riparia che entri in sintonia con le esigenze vitali non solo dei pesci, ma anche degli invertebrati, che conservi i luoghi di “frega” rispettando tali periodi, e si tutela il lavoro di ripopolamento e innovazione condotto dalle associazioni dei pescatori.
Questo insieme di funzioni e attività proprie di qualunque corso d’acqua, una volta demolito, non si recupera in pochi giorni di rilascio o solo grazie a una abbondante precipitazione: servono anni di attenzione, ulteriore impegno e continuità qualitativa dello scorrere dell’acqua.
Se si è convinti del valore che tutti i corsi d’acqua portano nella nostra vita, nella stessa economia - si pensi al turismo - non vi è dubbio che la nostra Giunta provinciale debba rivedere le ultime scelte tese solo a favorire gli interessi delle grandi derivazioni idroelettriche. Non è possibile affidare il controllo dei fiumi a società che li utilizzano per fare profitti, è necessario un monitoraggio ed una sorveglianza continua affidata all’ente pubblico. Bisogna distribuire sul territorio personale con alto profilo professionale, che sappia leggere la grande complessità del tema. Come per la vigilanza sui corsi d’acqua, anche nella pesca il controllo deve ritornare ad una gestione pubblica, alle Stazioni forestali e ai custodi. Occorre poi intervenire con più efficacia nell’imporre ai proprietari di frutteti un modo diverso di irrigare, smettendo la deleteria pratica dell’irrigazione a pioggia per diffondere quella a goccia, vista l’entità dei contributi pubblici presenti in questo settore.
Questo è l’insieme dei problemi che stanno vivendo i nostri corsi d’acqua, i quali, anche senza la nuova deliberazione, già sono in sofferenza per i periodi di siccità sempre più lunghi: si veda cosa è accaduto da questa estate ad oggi. A meno che l’adozione con tanta fretta della delibera dell’ottobre 2016 da parte della Giunta provinciale non sia casuale e risponda al possibile intervento massiccio di quote di azionariato australiano in HDE. Se questa era, non tanto maliziosamente, la motivazione della delibera, l’insieme del nostro ragionamento deve cambiare profilo.