“My life”
Quando la vita allevia la morte
È partita col piede giusto l’avventura del nuovo teatro di Meano. Merito di una proposta ampia (dieci titoli nei primi due mesi di attività) e variegata (prosa, musica, teatro amatoriale e ragazzi) che il pubblico ha subito premiato in termini di presenze. Principale proposito della gestione AriaTeatro è creare una dimensione sì radicata nel territorio, ma in aperto dialogo con le realtà cittadine. È il caso dello spettacolo andato in scena sabato 13 febbraio: “My Life”, nuova produzione Teatro E / EstroTeatro al debutto ufficiale.
Dopo il politico “In nome di nessuno”, Mirko Corradini ritorna al filone della ricerca sull’uomo. Questa sua ultima regia è il perno centrale di una trilogia sulla morte e sulla vita. Cinque anni fa “Big Fish” trattava dell’una, prossimamente “Voglio essere incinto” parlerà dell’altra e “My Life” è l’ideale anello di congiunzione. Liberamente ispirata all’omonimo film del 1993 di Bruce Joel Rubin con Michael Keaton e Nicole Kidman, questa riscrittura scenica in principio ne riprende fedelmente la sceneggiatura, salvo poi imboccare una strada più personale e tagliata sul pensiero del regista e sulla personalità, la freschezza e l’onestà artistica dei giovani attori Laurent Gjeci ed Emilia Bonomi.
“My life” racconta la vicenda di Bob, felicemente sposato e all’apice del successo, che scopre di essere ammalato di cancro e allo stesso tempo che diventerà papà. Come riporta la presentazione, “è la storia di una vita, della vita nonostante la morte, della morte in rapporto a una vita che deve ancora nascere”. È soprattutto una storia di lotta. Bob lo dichiara fin dalle prime battute, quando da un letto d’ospedale parla con Gesù, e il medico (una voce fuori campo) lo informa dello stato avanzato del tumore: “Io voglio lottare ancora”. Nel frattempo, la moglie Gail è incinta del loro primo figlio. Bob non si scoraggia e comincia a girare dei video (quasi tutti in presa diretta) dedicati al nascituro, in modo da essere presente nella sua vita anche quando lui non ci sarà più. Così facendo però si chiude nella sua autoreferenzialità e trascura il rapporto con Gail, evitando un confronto – sulla loro relazione e sulla morte – che lei invece cerca. Gail è ignara della malattia del marito finché – tramite la telecamera – non lo scopre di persona: la reazione è ambivalente, commossa per il gesto ma delusa per la mancata condivisione. La fabula si sviluppa come una sorta di diario degli ultimi mesi, scandito da date proiettate sullo schermo-fondale. C’è un progressivo avvicinamento tra i due, che si abbracciano, si amano, si divertono. Lei lo aiuta in nuove riprese per il figlio… che però sarà una bambina. Gail si immagina intenta a cullarla (la scena dal vivo è raddoppiata da un’ombra cinese) ed è presa dalla paura del “cosa farò dopo”. “Dopo cosa?” ripete Bob, il quale, davanti all’evidenza della sofferenza della moglie a causa sua, comprende di essere “troppo concentrato su me stesso e non riesco a vedere le persone che mi amano”. Quando le sue condizioni precipitano, Bob finalmente impara ad apprezzare ciò che l’esistenza gli ha dato ed accetta la morte col sorriso, in pace con se stesso e col mondo.
“My life” è un riuscito elogio alla vita, un invito alla positività anche quando la morte è ineluttabile, un modo per scoperchiare un argomento tabù. Pur in una storia drammatica che tocca corde profonde, non mancano episodi comici.
I bravi Laurent Gjeci ed Emilia Bonomi rendono con verità ed onestà i personaggi, la loro relazione fatta di dialoghi e silenzi, arricchendo la trama con un pizzico di sé. Mirko Corradini costruisce uno spettacolo intenso e fortemente umano, con un coinvolgimento emotivo che non sconfina mai nel patetismo. L’allestimento, infine, consta di una notevole sezione tecnica (video, computer, musiche, luci dirette e generali). La perizia illuminotecnica è – per chi scrive – il primo elemento che balza all’occhio: l’infaticabile lavoro dietro le quinte di Nicola Piffer merita un sincero encomio.